Intervento di Bruno Steri al CPN del PRC

prc1 600x276di Bruno Steri | da ricostruirepc.it

C’è un’evidente frizione tra la prima parte della relazione introduttiva di Paolo Ferrero, in cui trovo anche considerazioni analitiche condivisibili, e l’ultima parte dedicata all’immediato che fare: c’è ai miei occhi una significativa divaricazione tra valutazioni politiche generali e comportamenti concreti. Ferrero ha ad esempio accennato al peggioramento del clima internazionale, caratterizzato da un preoccupante “ritorno della guerra fredda”. Condivido tale giudizio. Assistiamo da tempo a ripetuti strappi determinati dall’attivismo aggressivo della Nato e ispirati dalle mire egemoniche degli Stati Uniti. In questo quadro, è stato evocato dal segretario il pesante capitolo dell’ambiguo ruolo giocato dalla coalizione anti-Isis, con Paesi Nato come la Turchia che hanno concretamente supportato, in termini di armi letali, la barbarie oscurantista del Califfato. A fronte di tale criminale ambiguità (alimentata dall’interno dell’establishment Usa) e con essa in drammatico contrasto, c’è stata – tra altre sciagure – l’esplosione in volo di un aereo di linea russo con 250 vittime civili: attentato di cui l’Isis ha rivendicato la paternità. Si può capire quale sia il carico di tensione nelle relazioni internazionali che simili episodi provocano. Non va dimenticato che l’anno prossimo si svolgeranno le elezioni presidenziali statunitensi, evento destinato a condizionare il futuro prossimo del mondo.

E, sinceramente, non mi pare ci sia da star tranquilli: stando a quel che riferiscono le cronache sulle intenzioni dei diversi candidati e sugli umori prevalenti in quel grande e potente Paese, non vorrei che giungessimo perfino a rimpiangere Barack Obama… Bene ha quindi fatto Ferrero a richiamare questi temi: purtroppo però questi stessi temi sono poi derubricati dal percorso di avvicinamento al nuovo soggetto della sinistra. Capisco che nell’ambito del nascente partito socialdemocratico (la Sinistra italiana) non sia il caso di porre il tema dell’imperialismo; e che convenga enfatizzare ciò che unisce. Tuttavia è difficile pensare che l’obbligo del silenzio – un silenzio davvero assordante – su simili questioni non faccia problema.

Se poi passiamo al tema dell’Europa, ripreso prima di me da molti compagni, le cose si fanno ancora più complicate: qui la contraddizione è addirittura “in seno al popolo”. Su questo la Sinistra Europea è evidentemente spaccata: la presa di posizione di quattro autorevolissimi suoi esponenti (tra cui l’italiano Stefano Fassina) rappresenta un fatto politico di assoluto rilievo. E, a mio giudizio, assai opportuno. Ma, rispondendo positivamente all’urgenza di mettere con i piedi per terra un “Piano B” che punti al superamento della moneta unica, si apre nella suddetta famiglia politica una contraddizione non da poco. Anche su questo Rifondazione appare silente, ferma alla giaculatoria “con Tsipras da qui all’eternità”. Così non è possibile restare: l’Europa non è un tema tra altri; è un tema che sovradetermina gli altri. Non ho qui bisogno di ricordare che è impossibile trattare una qualsiasi questione di carattere interno senza tirare in ballo l’Unione Europea. Da temi generali quali il lavoro (il Jobs Act è stato concepito sulla scia delle prescrizioni di Bruxelles e Berlino) alle più diverse tematiche locali: se le strade di Roma sono piene di buche non sarà solo per l’inefficienza del sindaco uscente, ma anche per gli effetti di un Patto di stabilità che strangola le amministrazioni locali. Voglio specificare che non mi appassiona entrare nella querelle attorno al giudizio su Alexis Tsipras. Non è qui il punto. Mi interessa piuttosto capire quale lezione trarre dalla vicenda greca. Questa – ma anche quella portoghese – ci impongono oggi un salto di qualità nell’orientamento da tenere in merito. Io stesso ho dovuto progressivamente aggiornare le mie opinioni. Oggi ritengo l’epilogo della vicenda greca un punto di non ritorno: una fase (quella caratterizzata dallo schema “Sì all’euro, No a Maastricht”) si è chiusa; ora occorre fare i conti con l’ennesima riprova dell’irriformabilità di questa Europa. Recentemente, nell’ambito di un’iniziativa promossa dall’Associazione “ricostruirepc”, l’economista comunista Vladimiro Giacchè ha messo in fila in termini per me conclusivi i dati di tale irriformabilità. Tuttavia voglio anche usare le parole – anch’esse pesanti come pietre – dello stesso Fassina e di Lafontaine, secondo i quali questa Europa è una gabbia entro cui la sinistra muore.

Mi fermo qui. E non intendo soffermarmi su ulteriori elementi per noi assai indigesti che, sul piano dei “fondamentali”, lastricano la strada del nuovo soggetto della sinistra (vedi in particolare la caratterizzazione “ulivista”, tesa alla riesumazione di un “nuovo” centrosinistra). Lo hanno già fatto altri compagni, con limpidi argomenti. Voglio solo rassicurare il compagno Domenico Moro, il quale ha sottolineato come la globalizzazione dei rapporti mercantili e il conseguente sfarinamento del blocco sociale del Pd, renda conto della mutazione centrista di questo partito e, nel contempo, apra un terreno fertile per la costruzione di un soggetto di sinistra. Cosa che, a suo dire, non può esser trascurata da Rifondazione. La tesi è in generale condivisibile; ma non è questo a far problema. Anch’io guardo con favore alla nascita di una forza socialdemocratica che contrasti la deriva del Pd; nè contesto minimamente l’opportunità di verificare a sinistra la possibilità di un’unità d’azione. Ma appunto: c’è una grande differenza tra la promozione di un’ alleanza politica o anche di una coalizione elettorale, caratterizzate da specifici contenuti, e la costruzione di un unico soggetto politico, di un partito entro cui finirebbe per estinguersi quel che resta della nostra identità.

C’è un ultimo argomento, anch’esso fondamentale e che non riguarda solo le questioni di contenuto. Lo hanno toccato altri compagni: io prendo le mosse da un’acuta osservazione di Gesso. Siamo poi così sicuri che lavoratori, giovani precari, donne, il Sud stiano tutti con l’attenzione puntata su quel che accade al teatro Quirino? E che il faticoso corpo a corpo a ridosso del nuovo soggetto della sinistra, ingaggiato dal gruppo dirigente di Rifondazione con le dette pesanti contraddizioni di contenuto, valga la fatica (e il prezzo da pagare)? Non mi riferisco all’altalena dei sondaggi: ricercando spasmodicamente un consenso elettoralmente decente, troppe volte abbiamo preso lucciole per lanterne. Faccio un ragionamento più di fondo. Tutti noi siamo consapevoli delle difficoltà che oggi incontra una forza dichiaratamente comunista, del fatto che i comunisti si trovano nella condizione di dover rilegittimare la propria presenza sulla scena politica (non solo del nostro Paese). Detto questo, siete tuttavia così sicuri che il brand “sinistra” (mi scuso per la terminologia) sia meno logoro di quello comunista? Io penso di no. Chiedo a mia volta a Domenico Moro di dare dei robusti pizzicotti sulla faccia di chi si fosse in questi anni addormentato. Si è infatti prodotto, in particolare nel nostro Paese, un vero e proprio tracollo del sistema politico, istituzionale e morale: il disastro Roma ne è il drammatico emblema. La cosiddetta sinistra, al pari della destra, è situata nell’epicentro di tale disfacimento. E così viene oggi diffusamente percepita. Lo scenario politico è strutturalmente cambiato, oggi c’è attorno a noi un altro mondo. Dice niente il fatto che la metà dei cittadini italiani non vota più, che il M5S continua ad avanzare con percentuali più vicine al 30 che al 20 per cento, che nelle ultime elezioni in Toscana il Pd ha perso 400 mila voti e che la nostra lista di sinistra non solo non ne ha intercettato nemmeno uno ma anzi è andata indietro? In un tale contesto, è sufficiente limitarsi ad aspettare il classico Godot, cioè la prossima fuoriuscita di dirigenti dal Pd? Io penso che non sia più sufficiente. Ho sentito Ferrero assicurare che non vanno chiuse le porte alla nostra sinistra. Giusto. Ma forse sarebbe meglio fare noi, il partito comunista, quel che fanno altri alla nostra sinistra, anziché continuare a lasciare che la nostra identità, elezione dopo elezione, continui a impallidire fino ad essere irriconoscibile ai più.

Bruno Steri  

 

C’è un’evidente frizione tra la prima parte della relazione introduttiva di Paolo Ferrero, in cui trovo anche considerazioni analitiche condivisibili, e l’ultima parte dedicata all’immediato che fare: c’è ai miei occhi una significativa divaricazione tra valutazioni politiche generali e comportamenti concreti. Ferrero ha ad esempio accennato al peggioramento del clima internazionale, caratterizzato da un preoccupante “ritorno della guerra fredda”. Condivido tale giudizio. Assistiamo da tempo a ripetuti strappi determinati dall’attivismo aggressivo della Nato e ispirati dalle mire egemoniche degli Stati Uniti. In questo quadro, è stato evocato dal segretario il pesante capitolo dell’ambiguo ruolo giocato dalla coalizione anti-Isis, con Paesi Nato come la Turchia che hanno concretamente supportato, in termini di armi letali, la barbarie oscurantista del Califfato. A fronte di tale criminale ambiguità (alimentata dall’interno dell’establishment Usa) e con essa in drammatico contrasto, c’è stata – tra altre sciagure – l’esplosione in volo di un aereo di linea russo con 250 vittime civili: attentato di cui l’Isis ha rivendicato la paternità. Si può capire quale sia il carico di tensione nelle relazioni internazionali che simili episodi provocano. Non va dimenticato che l’anno prossimo si svolgeranno le elezioni presidenziali statunitensi, evento destinato a condizionare il futuro prossimo del mondo. E, sinceramente, non mi pare ci sia da star tranquilli: stando a quel che riferiscono le cronache sulle intenzioni dei diversi candidati e sugli umori prevalenti in quel grande e potente Paese, non vorrei che giungessimo perfino a rimpiangere Barack Obama… Bene ha quindi fatto Ferrero a richiamare questi temi: purtroppo però questi stessi temi sono poi derubricati dal percorso di avvicinamento al nuovo soggetto della sinistra. Capisco che nell’ambito del nascente partito socialdemocratico (la Sinistra italiana) non sia il caso di porre il tema dell’imperialismo; e che convenga enfatizzare ciò che unisce. Tuttavia è difficile pensare che l’obbligo del silenzio – un silenzio davvero assordante – su simili questioni non faccia problema.
 
Se poi passiamo al tema dell’Europa, ripreso prima di me da molti compagni, le cose si fanno ancora più complicate: qui la contraddizione è addirittura “in seno al popolo”. Su questo la Sinistra Europea è evidentemente spaccata: la presa di posizione di quattro autorevolissimi suoi esponenti (tra cui l’italiano Stefano Fassina) rappresenta un fatto politico di assoluto rilievo. E, a mio giudizio, assai opportuno. Ma, rispondendo positivamente all’urgenza di mettere con i piedi per terra un “Piano B” che punti al superamento della moneta unica, si apre nella suddetta famiglia politica una contraddizione non da poco. Anche su questo Rifondazione appare silente, ferma alla giaculatoria “con Tsipras da qui all’eternità”. Così non è possibile restare: l’Europa non è un tema tra altri; è un tema che sovradetermina gli altri. Non ho qui bisogno di ricordare che è impossibile trattare una qualsiasi questione di carattere interno senza tirare in ballo l’Unione Europea. Da temi generali quali il lavoro (il Jobs Act è stato concepito sulla scia delle prescrizioni di Bruxelles e Berlino) alle più diverse tematiche locali: se le strade di Roma sono piene di buche non sarà solo per l’inefficienza del sindaco uscente, ma anche per gli effetti di un Patto di stabilità che strangola le amministrazioni locali. Voglio specificare che non mi appassiona entrare nella querelle attorno al giudizio su Alexis Tsipras. Non è qui il punto. Mi interessa piuttosto capire quale lezione trarre dalla vicenda greca. Questa – ma anche quella portoghese – ci impongono oggi un salto di qualità nell’orientamento da tenere in merito. Io stesso ho dovuto progressivamente aggiornare le mie opinioni. Oggi ritengo l’epilogo della vicenda greca un punto di non ritorno: una fase (quella caratterizzata dallo schema “Sì all’euro, No a Maastricht”) si è chiusa; ora occorre fare i conti con l’ennesima riprova dell’irriformabilità di questa Europa. Recentemente, nell’ambito di un’iniziativa promossa dall’Associazione “ricostruirepc”, l’economista comunista Vladimiro Giacchè ha messo in fila in termini per me conclusivi i dati di tale irriformabilità. Tuttavia voglio anche usare le parole – anch’esse pesanti come pietre – dello stesso Fassina e di Lafontaine, secondo i quali questa Europa è una gabbia entro cui la sinistra muore.
 
Mi fermo qui. E non intendo soffermarmi su ulteriori elementi per noi assai indigesti che, sul piano dei “fondamentali”, lastricano la strada del nuovo soggetto della sinistra (vedi in particolare la caratterizzazione “ulivista”, tesa alla riesumazione di un “nuovo” centrosinistra). Lo hanno già fatto altri compagni, con limpidi argomenti. Voglio solo rassicurare il compagno Domenico Moro, il quale ha sottolineato come la globalizzazione dei rapporti mercantili e il conseguente sfarinamento del blocco sociale del Pd, renda conto della mutazione centrista di questo partito e, nel contempo, apra un terreno fertile per la costruzione di un soggetto di sinistra. Cosa che, a suo dire, non può esser trascurata da Rifondazione. La tesi è in generale condivisibile; ma non è questo a far problema. Anch’io guardo con favore alla nascita di una forza socialdemocratica che contrasti la deriva del Pd; nè contesto minimamente l’opportunità di verificare a sinistra la possibilità di un’unità d’azione. Ma appunto: c’è una grande differenza tra la promozione di un’ alleanza politica o anche di una coalizione elettorale, caratterizzate da specifici contenuti, e la costruzione di un unico soggetto politico, di un partito entro cui finirebbe per estinguersi quel che resta della nostra identità.
 
C’è un ultimo argomento, anch’esso fondamentale e che non riguarda solo le questioni di contenuto. Lo hanno toccato altri compagni: io prendo le mosse da un’acuta osservazione di Gesso. Siamo poi così sicuri che lavoratori, giovani precari, donne, il Sud stiano tutti con l’attenzione puntata su quel che accade al teatro Quirino? E che il faticoso corpo a corpo a ridosso del nuovo soggetto della sinistra, ingaggiato dal gruppo dirigente di Rifondazione con le dette pesanti contraddizioni di contenuto, valga la fatica (e il prezzo da pagare)? Non mi riferisco all’altalena dei sondaggi: ricercando spasmodicamente un consenso elettoralmente decente, troppe volte abbiamo preso lucciole per lanterne. Faccio un ragionamento più di fondo. Tutti noi siamo consapevoli delle difficoltà che oggi incontra una forza dichiaratamente comunista, del fatto che i comunisti si trovano nella condizione di dover rilegittimare la propria presenza sulla scena politica (non solo del nostro Paese). Detto questo, siete tuttavia così sicuri che il brand “sinistra” (mi scuso per la terminologia) sia meno logoro di quello comunista? Io penso di no. Chiedo a mia volta a Domenico Moro di dare dei robusti pizzicotti sulla faccia di chi si fosse in questi anni addormentato. Si è infatti prodotto, in particolare nel nostro Paese, un vero e proprio tracollo del sistema politico, istituzionale e morale: il disastro Roma ne è il drammatico emblema. La cosiddetta sinistra, al pari della destra, è situata nell’epicentro di tale disfacimento. E così viene oggi diffusamente percepita. Lo scenario politico è strutturalmente cambiato, oggi c’è attorno a noi un altro mondo. Dice niente il fatto che la metà dei cittadini italiani non vota più, che il M5S continua ad avanzare con percentuali più vicine al 30 che al 20 per cento, che nelle ultime elezioni in Toscana il Pd ha perso 400 mila voti e che la nostra lista di sinistra non solo non ne ha intercettato nemmeno uno ma anzi è andata indietro? In un tale contesto, è sufficiente limitarsi ad aspettare il classico Godot, cioè la prossima fuoriuscita di dirigenti dal Pd? Io penso che non sia più sufficiente. Ho sentito Ferrero assicurare che non vanno chiuse le porte alla nostra sinistra. Giusto. Ma forse sarebbe meglio fare noi, il partito comunista, quel che fanno altri alla nostra sinistra, anziché continuare a lasciare che la nostra identità, elezione dopo elezione, continui a impallidire fino ad essere irriconoscibile ai più.
 
Bruno Steri