Il ricordo del compagno Guido Cappelloni

di Fosco Giannini

cappelloniIn queste ultime ore, d’improvviso, ma non inaspettatamente, il compagno Guido Cappelloni ci ha lasciati. L’ultima immagine che ho di lui rompe la diga dell’oblio e rapidamente riaffiora: si era fianco a fianco in una riunione della direzione nazionale del PRC. Guido – marchigiano – mi chiedeva dei compagni di Ancona, di Fermo, voleva notizie di loro. Il suo corpo era smagrito, il viso affilato, la malattia – quella che ancora non perdona – lo aveva assalito da tempo. Come stai ? – gli chiesi. Non ho molto- rispose. La debolezza del suo corpo si vedeva; la sofferenza che lo attraversava si sentiva. Ma debolezza e sofferenza erano controllate, dominate. Esse non alteravano lo stile sobrio, composto, il modo d’essere di Guido, che non tradiva, in nessun gesto, in nessuna parola né paura né ansia. Era, ancora, il “suo” stile, che sempre lo ha contraddistinto, attraverso tutti i marosi – sia politici che esistenziali – che pure nella vita ha attraversato. Guido ha combattuto contro il male sino alla fine, con pazienza e determinazione, altre qualità della sua intera esistenza, della sua stessa esperienza politica. Negli ultimi anni si era ritirato a combattere e gestire il suo male a Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno, in una sorta di ritorno a casa, dopo tanto peregrinare – come dirigente comunista – in tutta Italia.
 

Era nato a Macerata il 9 agosto del 1925 e nel 1944 era già iscritto al PCI. Dopo la guerra si laurea in giurisprudenza e, sin da subito, mette a valore la propria cultura e le proprie capacità nel processo di costruzione del PCI come partito di massa. Dal 1948 al ’68 si distingue, esercitando un ruolo di direzione politica, nelle proteste popolari successive all’attentato a Palmiro Togliatti; nelle lotte dei mezzadri marchigiani; nei moti studenteschi “sessantottini” e nelle lotte operaie dell’ “autunno caldo”. Di quegli anni rimane vivido, tra i comunisti marchigiani, il ruolo centrale, prioritario, di Guido in una battaglia particolare, quella per mandare i figli dei contadini, dei mezzadri, a scuola; una battaglia condotta – girando per le campagne – contro il parere pesante dei padroni delle terre, che puntavano a convincere i mezzadri che mandare a scuola i loro figli era sbagliato, che li impoveriva, togliendo braccia alla terra.

Guido è consigliere comunale ad Ascoli Piceno, segretario della Federazione del PCI nel 1956 e poi segretario regionale delle Marche nel 1964. Nel 1968 si trasferisce a Roma e nel 1976 è eletto per la prima volta deputato alla Camera. A Roma emerge nel Partito e gli viene dato l’incarico, prima, di responsabile nazionale dei ceti medi e delle cooperazioni e poi di tesoriere nazionale. Non accetta passivamente l’involuzione socialdemocratica del PCI e nel Congresso del 1983 presenta, con Armando Cossutta, emendamenti al documento politico nazionale. Da qui si lega a tanti altri compagni e compagne, si lega ai giovani del PCI che alzano la testa; si batte – prima e dopo la “Bolognina” , al XIX e al XX Congresso del PCI – contro lo scioglimento del più grande partito comunista al mondo non al potere e il 15 dicembre del 1991 è tra i fondatori del Partito della Rifondazione Comunista, per il quale svolge il ruolo di tesoriere nazionale dal 1992 al 1996 e del quale rimane dirigente nazionale sino alla fine. Da un certo momento in poi dirigente fortemente critico verso le posizioni “bertinottiane”, volte alla liquidazione della cultura e dell’autonomia del Partito comunista. In questo lungo arco temporale che va dalla battaglia contro la socialdemocratizzazione e poi la cancellazione del PCI sino alla battaglia contro le posizioni altrettanto liquidazioniste di Bertinotti vi è tutto il Guido Cappelloni che abbiamo conosciuto e a cui abbiamo voluto bene: un comunista.

Oggi , a nome di tutti i compagni e le compagne che hanno condiviso la tua lunga battaglia, dal PCI al PRC, ti abbraccio forte e ti saluto, Guido, e a te, che avevi orrore culturale dell’enfasi, dico solo: trasmetteremo ai più giovani il tuo ricordo, dicendo loro che sei stato un uomo coerente, un comunista che non si è fatto togliere la giacca dai venti delle mode, dalle folate degli opportunismi.