Il partito comunista e “le tre terribili domande”

falcemartello toppadi Luca Cangemi ( Associazione per la ricostruzione del Partito Comunista – direzione nazionale PRC)

Intervento conclusivo all’assemblea nazionale per la Costituente Comunista del 12 luglio a Roma

Cari compagni e care compagne,
con questa assemblea abbiamo fatto un passo in avanti importante.

Con l’appello per la ricostruzione del Partito Comunista nei mesi scorsi abbiamo provato a rispondere, e ad offrire alla prova di una verifica larga, tre terribili domande.

E’ necessario ricostruire un partito Comunista in Italia?
E’ possibile ricostruirlo?
Quali sono i passi necessari?

A nessuno sfugge che già porsi queste domande significa scegliere di nuotare contro una corrente, almeno all’apparenza fortissima, mettersi in una posizione fuori dal dibattito politico-culturale dominante.  Eppure abbiamo la presunzione di dire che dalla discussione che abbiamo avviato e che ha avuto esiti di partecipazione, di ascolto, passione e di qualità del dibattito, francamente superiori alle nostre attese, noi traiamo risposte che sono in sintonia con quanto scritto nell’appello, e ne costituiscono una prima superiore articolazione.

Con ancora maggiore presunzione affermiamo che quanto accaduto in questi mesi in Italia e nel mondo conferma una analisi e rende ancor più stringente una esigenza.

Affermiamo che è necessario ricostruire nel nostro paese un partito comunista. Necessario, perché emerge con una urgenza straordinaria il tema, o meglio, il concreto rischio della guerra.

Dall’Ucraina alla Siria, ma anche nell’Estremo Oriente e in America Latina l’aggressività imperialista degli Usa impone -come ha detto il compagno Maringiò, nella sua importante introduzione e come ha sottolineato il compagno Losurdo- la guerra e la destabilizzazione a popoli e Stati che non si allineano ai suoi voleri e mette l’intera umanità di fronte al rischio di un devastante conflitto generalizzato, come avverte il Papa. E il Papa non è solo un’autorità morale, è il capo di una istituzione globale che sa le cose del mondo, coglie i processi.

La guerra imperialista è la risposta ad una crisi capitalistica che è crisi geopolitica e di divisione internazionale del lavoro, crisi di modello economico-finanziario, crisi di egemonia politico-culturale.

Contro la guerra serve un fronte amplissimo e plurale ma serve, per questo lavoro unitario un soggetto politico che abbia chiaro il meccanismo che anima la politica di guerra, un partito comunista che faccia dell’antimperialismo la sua scelta di fondo, che non scambi le bandiere di re Idris per vessilli di liberazione o per partigiani i dipendenti di Soros che animano le “rivoluzioni colorate”. Un partito che dica senza esitazioni che la Nato è il pericolo numero uno alla pace nel mondo e che l’Italia per fedeltà alla sua Costituzione ed ai suoi interessi nazionali non deve farne più parte. E invece essere, a partire dal Mediterraneo un ponte di pace.

Abbiamo necessità di un Partito Comunista per affermare nella società italiana un punto di vista di classe, da troppo tempo assente. I lavoratori e le lavoratrici di questo paese sono stati protagonisti e protagoniste in questi anni di straordinarie battaglie, battaglie generali e battaglie nei singoli luoghi di lavoro eppure mai come oggi in Italia non solo le condizioni materiali di lavoro e di vita arretrano continuamente ma il riconoscimento del lavoro, la sua dignità e autonomia sono sradicati dalle leggi e dal senso comune del paese. Questa situazione si può combattere solo se emerge dal seno stesso della classe operaia e dei settori più avanzati del mondo del lavoro un soggetto che si faccia portatore di un punto di vista di classe generale, profondamente politico. Appunto un partito Comunista aperto, capace di stare nel vivo nelle lotte, unitario dentro le lotte per propensione naturale, ma al contempo di affermare senza eclettismi culturali in ogni momento un analisi di classe delle contraddizioni sociali.

Ma un simile Partito, un Partito capace, progressivamente di pesare nella sinistra, nel mondo del lavoro, nel paese è possibile ?

Qui la questione si fa ancora più aspra:

Non è possibile rispondere propagandisticamente a questa domanda, né moralisticamente (…deve essere possibile): un ragionamento sulle condizioni generali e  oggettive va istruito.

Torna qui ad essere decisivo il mondo. Quelli di noi che non sono più giovanissimi ricordano il clima del mondo mentre contrastavamo lo scioglimento del PCI: il clima del monopolio mondiale del potere degli USA e del pensiero unico, il clima in cui Fukujama poteva parlare di fine della storia. Quanto quel clima pesò sui limiti delle nostre lotte e delle nostre costruzioni e sui successivi fallimenti?Tantissimo, come è ovvio.

Siamo in un altro mondo: emergono in maniera tumultuosa nuovi protagonisti, gli assetti economici mettono in crisi gerarchie secolari. Innanzitutto i BRICS ma dietro e accanto a loro un mondo intero, a partire dalle straordinarie esperienze dell’America Latina. I comunisti e la sinistra anticapitalistica sono protagonisti in moltissime di queste situazioni. L’interesse e l’appoggio che il nostro ancor così embrionale tentativo ha riscosso è significativo. Ci sono contraddizioni in tutto ciò, si, ovviamente, molte, moltissime. Ma decisivi sono per noi il quadro – che è aperto e non soffocante-  e la tendenza che è quella di un progressivo collegamento tra BRICS, altri paesi emergenti, esperienze avanzate della sinistra.

E questo mutamento gigantesco sul piano dei poteri materiali ha riflessi sul piano del pensiero politico. Quanto tempo abbiamo passato a parlare di “moltitudine”? Oggi possiamo parlare di stato, nazione, classe e ne parliamo non perché abbiamo avuto qualche freccia intellettuale, letteraria, in più al nostro arco ma perché questa realtà nuova fa riemergere i fondamentali, i nostri fondamentali.

Terza domanda: E allora se questa è la situazione, se questa situazione tocca così profondamente anche il nostro paese, e se quindi c’è una possibilità, c’è uno spazio, quali sono i passi necessari che noi dobbiamo compiere?E veniamo ad un elemento che non possiamo saltare. Ai dubbi, alle richieste che agitano i cuori e le menti dei compagni, di tutti noi che siamo venuti a questo appuntamento con grandi speranze ma anche con grandi preoccupazioni. Io credo che dobbiamo avere in testa, e finora io credo l’abbiamo avuto, il tema del rapporto tra qualità del processo e tempi del processo. Noi abbiamo operato bene, in questi mesi, con le forzature necessarie ma senza avventurismi, aperti ma non eclettici, lavorando sui fondamentali ma dichiarando, a partire dal nome dell’associazione, che noi abbiamo un obiettivo politico e dicendo che il momento politico è ora. E quindi su questo indirizzo dobbiamo lavorare e accelerare. Avendo, voglio dirlo con grande chiarezza, sancito che la ricostruzione del partito comunista è oltre le esperienze di questi ultimi vent’anni. Sono esperienze che sono state animate spesso da straordinaria generosità ma sono esperienze che non hanno conseguito l’obiettivo, sono esperienze che non possono essere né continuate né riproposte. Si deve, compagni, tirare una riga. E oltre questa riga, innanzitutto, c’è un punto che diciamo con grande forza e senza tornarci più: le divisioni devono finire per oggi e per il domani.

Il compagno Hobel, ma anche altri compagni hanno parlato – e ne abbiamo ragionato in un’iniziativa specifica – del senso di un nuovo centralismo democratico. Io in queste conclusioni – dove andare veloci –dico che i compagni e le compagne si aspettano che il senso di questa nuova vita interna, di questo nostro sistema di relazioni è affermare una volta per tutte che stabiliti i confini, i nemici sono fuori (e sono tanti) e non sono più dentro il partito.

Perché per troppo tempo la nostra forza è stata lacerata, logorata, dispersa da una vita interna che nulla ha a che vedere con la tradizione comunista. Un partito, anche su questa caratteristica c’è una condivisione larga, e il senso dell’appello viene confermato, con una propensione unitaria nel mondo del lavoro, nei movimenti, nella sinistra.

E però lo diciamo con chiarezza, per noi propensione unitaria non significherà né oggi né mai abbandonare l’autonomia politica ed organizzativa dei comunisti. Questo non è in discussione. Ne verrebbe vanificata la stessa serietà della nostra azione. Autonomia politica ed organizzativa dei comunisti di cui c’è grande bisogno, se guardiamo i temi essenziali.

Il compagno Giacchè ha detto, polemizzando giustamente con Vendola, cose essenziali sull’Europa. Non diverso dalle parole di Vendola è l’articolo di Viale sulla prima pagina del Manifesto, non diverso quello che abbiamo letto tante volte in questi giorni. Noi dobbiamo affermare – e sappiamo che questo è tema di battaglia politica – che quello che sta accadendo nell’Unione Europea non è frutto del caso ma è un cancro che è originario nella costruzione europea, che sicuramente non può essere curato con dosi di retorica federalista. Su questo dobbiamo aprire una grande discussione e anche lavorare ad un’idea di Europa diversa, diversa anche rispetto ai confini che arbitrariamente vengono imposti all’Europa. La nostra Europa va dall’Atlantico agli Urali.

Un partito, quindi che abbia questo senso anche della propria necessità storica, della propria necessità politica. E che lavori, a partire da questa sua convinzione, ad un fronte alternativo al PD. Noi dovremo istruire su questo un’analisi più profonda. Molte cose sono già state dette. Il compagno Vita, la cui interlocuzione io considero assai positiva,anche se ci sono molte cose su cui non siamo d’accordo, cose che probabilmente riguardano anche il processo di unità a sinistra, ha proposto il tema del PD come partito moderato.

E’ una definizione che si può accettare. Ma moderato cosa significa? Moderato oggi significa che il Partito Democratico si pone l’obiettivo di chiudere la transizione italiana e di chiuderla nella duplice dimensione di riunificazione dei settori fondamentali delle classi dirigenti, delle classi dominanti e di una nuova egemonia politica e culturale e sociale di queste classi dirigenti sulla società italiana. E proprio per questa sua collocazione strategica, per questo senso del suo proporsi come il partito della nazione, il fatto che noi siamo radicalmente alternativi al PD non è un fatto di valutazione delle singole scelte:è un fatto assolutamente strategico. E anche da questo punto di vista io credo che la realtà spinga, in qualche modo, questa nostra iniziativa.

Già è una realtà mutata da quando abbiamo lanciato l’appello, nel senso che i processi si sono accelerati da tutti punti di vista. Va avanti nel nostro paese un processo di controriforma sociale, economica; va avanti con contraddizioni, perché io credo che dobbiamo salutare la lotta degli insegnanti e delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola pubblica come primo grande esempio di lotta sociale che è in grado di contrastare – seppure non fino in fondo – questa stagione controriformistica. Si aprono contraddizioni, si aprono sommovimenti dello stesso sistema politico, degli stessi schieramenti politici. E’ chiaro che questo chiama in causa la nostra impresa. Poiché noi stiamo facendo un partito comunista, non un’associazione, è chiaro che il nuovo soggetto comunista deve porsi il problema di intervenire in questa situazione. E quindi non solo perché abbiamo fatto nel paese, tra i compagni, una verifica che è risultata positiva, che ci incoraggia, ma anche perché ci sono necessità che attengono alla vita politica italiana, io credo si ponga il tema di fare un salto nel processo della costituente comunista.

A settembre poniamo un appuntamento per prendere decisioni che costruiscano, che definiscano questo salto e che lo propongano al paese, ai compagni ed alle compagne,ai lavoratori e alle lavoratrici. Ma questo salto, compagni, chi lo deve fare? Lo dobbiamo fare tutti insieme. Noi qui siamo venuti sostanzialmente – noi e tanti e tante di più che sono con noi in tutta Italia–per fare tra di noi un patto di intervento immediato. La costituente comunista da domani deve vivere, con le iniziative che noi abbiamo intrapreso moltiplicandole, lanciandole nelle lotte. È stato dettala questione dei referendum.

Ci sono le lotte sociali, generali e punto per punto nei luoghi di lavoro; c’è la necessità della ripresa del movimento per la pace, contro le basi militari. Facciamolo! Noi prendiamo qui l’impegno per farlo e poi per vederlo crescere a settembre lungo una via più definita. Un processo, compagni, democratico – questa è la richiesta che viene molto forte –costruire un processo in cui ogni compagno, ogni compagna sia valorizzato, possa dire la propria, possa dare il suo contributo ma dentro un corso comune di cui abbiamo stabilito già nel documento i punti essenziali. Come avete visto – ma credo che sia stato un’impostazione comune a tutti gli interventi–tutte le ragioni che militano alla costruzione di un nuovo partito comunista sono ragioni che stanno nel presente e nel futuro. Sono ragioni che stanno nelle contraddizioni sociali, nei rischi e nelle prospettive future.

Il passato è una risorsa. Noi non abbiamo niente da rinnegare e abbiamo tutto da rivendicare. Ma lo abbiamo in questa prospettiva, una prospettiva che guarda tutto verso il domani, che guarda tutto verso l’avvenire e che è attenta alle giovani generazioni. Perché non c’è sinistra senza giovani. Non ci sono comunisti senza giovani. Noi abbiamo, come dicono alcuni marxisti indiani l’ambizione di essere il passato che non passa ed il futuro che non aspetta. Noi siamo i comunisti, quelli che vogliono impedire che il mondo venga travolto da questo capitalismo in decadenza. Con questo impegno, con questo senso della nostra presenza, da domani lavoriamo tutti e tutte per questa grande impresa. Viva il Comunismo!