di Fosco Giannini, responsabile nazionale Lavoro di Massa PdCI
“Si è stabilito un precedente inaudito con la rielezione del medesimo Capo dello Stato, che di fatto muta la natura della nostra Costituzione. Per giunta quale frutto di un patto tra centrodestra e Pd che rende cupo il quadro politico in vista del prossimo Governo. Prepariamoci ad una dura e ferma opposizione”.
Non si può non partire da queste essenziali, quanto lucide, parole del compagno Diliberto, per analizzare quel vero e proprio dramma democratico e politico, quella grave violazione dello spirito della Costituzione e della nostra migliore tradizione repubblicana, che hanno preso violentemente corpo con la seconda elezione di Napolitano.
Sia lo sciagurato atto finale (la scelta del PD di riconsegnare il Quirinale e la partita politica a Napolitano), sia l’intera, ondivaga e nefasta modalità con la quale il PD ha affrontato la fase post elettorale, evocano diverse e grandi questioni (istituzionali, politiche, sociali), entro le quali possono precipitare i destini della democrazia, della sinistra e dello stesso movimento comunista italiano.
La prima questione è relativa al fatto in sé, alla rielezione di Napolitano e alle sue conseguenze. Va innanzitutto rimarcato che la drammatizzazione dell’elezione del Presidente della Repubblica, la grave novità storica di un secondo e consecutivo mandato allo stesso Presidente, la consegna nelle sue mani del problema della costituzione del governo, la ricerca, con Napolitano, dell’uomo della provvidenza, sono tutti eventi che accelerano ( assieme alle “quirinarie” di Grillo) quel processo – già avviato e sostenuto anche da aree importanti del PD e oggi, significativamente, rilanciato da Renzi – di costruzione di un senso comune di massa volto al presidenzialismo, all’elezione diretta del capo dello Stato (ecco l’essenza populista delle “quirinarie” grilline) e, dunque, ad una restrizione del quadro democratico, ad un giro di vite autoritario oggi particolarmente in sintonia con la prepotenza dei poteri forti, dei voleri dell’iperliberismo dell’Ue e del capitalismo italiano. Sul piano politico vanno, inoltre, rimarcati due fatti di grandissimo, e negativo, rilievo, due conseguenze dirette della scelta Napolitano: primo, l’inevitabile formarsi di una seconda Grossa Coalizione PD-PDL , che costringe il PD a rinnegare platealmente una parte di sé, della propria linea politica immediatamente successiva al governo Monti ( una linea, seppur già tradita durante la campagna elettorale, che diceva “ mai più con Berlusconi”), che lo costringe a passare sotto le forche caudine del PDL, a subordinarsi alle linee guida, conservatrici e liberiste, messe a punto dai “10 saggi” indicati da Napolitano, a rompere ancor più – dunque – i propri legami di massa, ad allontanarsi ancor più dal “popolo di sinistra”; secondo, il rafforzamento e il rilancio del centro-destra che, già traballante come un toro infilzato da cento banderillas prima del governo Monti, ha potuto, incredibilmente, rialzare la testa durante la campagna elettorale per l’insipienza di Bersani e di tutto il PD e, ora, nei sondaggi e nella percezione generale, è tornato ad essere la prima forza politica italiana. A ciò si aggiunge il rafforzamento del M5S, che, alla luce dell’ambiguo populismo che segna di sé la diarchia Grillo-Casaleggio ( che, allo stato delle cose, egemonizza e inquina la sicura bontà politica e morale di tanti eletti e militanti del movimento) non è certo il miglior viatico per la difesa della democrazia e il rilancio di un’alternativa antiliberista e di sinistra.
E’ del tutto evidente, inoltre, che l’egemonia esercitata su tutto il PD da parte della sua ala destra (che si era già chiaramente manifestata nella fase della crisi del IV governo Berlusconi, che avrebbe dovuto portarci alle elezioni anticipate e non al governo Monti) oggi, oltre l’elezione di Napolitano e la costituzione di una nuova Grossa Coalizione, produce altri due effetti di grande impatto politico: primo, chiude ogni prospettiva di svolta democratica, che, pure, in questa fase, era possibile, anche in relazione ai rapporti di forza in Parlamento e se il PD, con un atto di coraggio, avesse scelto, come Presidente della Repubblica, Stefano Rodotà); secondo, accelera, sino all’esplosione, le contraddizioni interne, e mai risolte, allo stesso PD. Ed è proprio questo fatto che si riverbera sull’intera sinistra italiana, sul movimento comunista, sullo stesso Partito dei Comunisti Italiani.
Le contraddizioni interne al PD investono l’intera sinistra italiana e i comunisti poiché, oggi, la scissione di un’ala di sinistra del PD è più verosimile che mai ed è su questa base che Vendola lancia il progetto di “ un nuovo partito di sinistra, moderno e di governo”, che prenderà verosimilmente le mosse dall’assemblea convocata a Roma il prossimo 8 maggio.
Che giudizio dare, da comunisti, su questo progetto “vendoliano”? Non posso esserci dubbi: il giudizio non può che essere positivo, poiché il quadro politico e sociale italiano richiede con forza che la sinistra italiana si rafforzi. E che i comunisti, che hanno anch’essi un gran bisogno di riorganizzarsi, di unirsi, di rafforzarsi, si alleino, in tutte le forme possibili, nelle lotte e nel progetto di trasformazione sociale, alla sinistra italiana.
Ma, appunto, debbono unirsi alle forze della sinistra, non sciogliersi in essa. E siamo costretti a ribadire quest’assunto assolutamente ovvio ( ovvio, quantomeno, per i compagni e le compagne del PdCI, essendo, quella dell’autonomia comunista e dell’unità a sinistra, la linea guida del PdCI) perché in questi giorni, in queste ore, anche dei militanti e dei dirigenti comunisti dell’intera area comunista italiana sembrano essersi innamorati – sino alla rinuncia della propria storia e autonomia comunista – dell’opzione Vendola, del “partito di sinistra moderno e di governo”.
Dobbiamo essere cristallini, come richiede lo “stato delle cose”: i comunisti saluterebbero con grande favore il costituirsi di un più vasto partito di sinistra, col quale interagire fortemente nel conflitto sociale e nel progetto politico. Ma, essi, i comunisti, rimangono autonomi, poiché la loro cultura, il loro antimperialismo, il loro anticapitalismo conseguente, il loro rapporto col movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario mondiale, il loro progetto strategico per il socialismo, la loro lontananza dal gruppo e dal Partito socialista europeo, li separa nettamente dal partito di sinistra che ha in mente Vendola. Unità si, abbandono dell’autonomia comunista no! L’Italia ha oggettivamente bisogno di una forza dai caratteri socialdemocratici seri e conseguenti come sarebbe, nell’essenza, il partito di Vendola. Ma il suono della sirena socialdemocratica non può incantare anche i comunisti: essi hanno un altro progetto strategico, che può essere tenuto in vita solo attraverso l’autonomia comunista, che, certo, prende vigore anche dall’unità d’azione e di lotta con le forze della sinistra.
L’attacco del capitale è oggi più forte che mai. Non è un modo di dire: assieme alla disoccupazione, alla precarizzazione, alla miseria di massa, al potere del FMI, degli USA, della NATO e dell’Ue, aumentano i rischi del populismo e dell’autoritarismo, che trova nel presidenzialismo il suo primo ed essenziale cavallo di Troia.
In questo contesto, il ruolo sociale e politico dei comunisti non è un’opzione tra le altre: è una necessità. Questo, noi, del PdCI, l’abbiamo in testa chiaramente e al più presto vogliamo tornare ed essere in campo, nelle lotte necessarie, assieme all’intera sinistra, ai movimenti e alle forze democratiche. E per quest’obiettivo (rilanciare il partito comunista) vogliamo andare presto al nostro Congresso anticipato. E ancor più presto vogliamo tornare ed essere in piazza. La svolta negativa del PD, l’involuzione istituzionale, l’ormai vicino secondo governo di Grossa Coalizione e l’altrettanto “grossa” subordinazione ai diktat liberisti dell’Ue germanizzata lo richiedono e, nel suo comunicato, il compagno Diliberto lo ribadisce chiaramente: “prepariamoci ad una dura e ferma opposizione”. I comunisti non mollano, sono unitari e, insieme, consapevoli di sé, della loro, improponibile in altre sedi, cultura anticapitalista dal carattere strategico.. Debbono essere, per questo, in piazza sin da oggi, a lottare contro ciò che è accaduto, contro la svolta generale di destra, contro il governo, in fieri, dei “10 saggi”, il governo di Napolitano, D’Alema e Berlusconi, un governo liberista, antioperaio, subordinato ai diktat guerrafondai della NATO e volto alla costruzione istituzionale dell’autoritarismo.
Il 25 aprile ci attende: che nel giorno della Liberazione tutti i comuniste e le comuniste siano in piazza, costruendo, partecipando e chiamando all’unità le forze di sinistra e democratiche. E che dal 25 aprile sino al 18 maggio, il giorno della manifestazione nazionale della FIOM a Roma ( volta a rilanciare la lotta operaia e dell’intero mondo del lavoro) vi sia una continuità di lotta, di iniziative, di presenza nelle piazze, di fronte alle fabbriche, ai luoghi di lavorio e di studio: così ricostruiamo l’unità, di lotta, tra i comunisti, tra le forze della sinistra, i movimenti e le forze democratiche. Così, solo così, facciamo di nuovo respirare il futuro.