Crisi sociale e crisi democratica. Quale ruolo per i comunisti

di Stefano Barbieri (segreteria nazionale Pdci) e Alexander Höbel (direzione nazionale Pdci)

stoffa rossa1. Da tempo ormai, i paesi a capitalismo avanzato, l’Unione europea nel suo complesso e l’Italia in particolare sono immersi in una crisi che non è solo di carattere economico, ma è anche una crisi sociale e una crisi democratica. Non è la prima volta, nella storia dell’ultimo secolo, che l’intreccio tra questi fattori si presenta in modo così chiaro e preoccupante. D’altra parte, la risposta del movimento dei lavoratori appare ancora estremamente debole, frammentata, di gran lunga più debole rispetto a ciò che la gravità stessa della situazione richiederebbe. Per molti versi, anzi, i lavoratori – oltre a vedere gravemente indeboliti o trasformati i loro tradizionali strumenti organizzativi – sono ormai privi di una effettiva rappresentanza politica e istituzionale. In questo quadro, e in stretta connessione con esso, si colloca dunque la crisi dei comunisti e della sinistra nel suo complesso.


Se le cose stanno almeno in parte così, è evidente che i comunisti e la sinistra non potranno affrontare e risolvere le loro difficoltà a partire solo da se stessi, dalle proprie dinamiche interne, ma dovranno piuttosto contribuire a ricostruire questa rappresentanza perduta (e in questo quadro si colloca la battaglia per il proporzionale), puntando a restituire ai lavoratori strumenti organizzativi e politici adeguati – a partire da un Partito comunista forte e unitario e da un fronte di sinistra con una chiara connotazione di classe – e a ridare loro il ruolo che ad essi spetta, il ruolo che essi hanno avuto in molti passaggi cruciali della storia del Novecento. Naturalmente questo ruolo e questa rappresentanza vanno ricostruiti a partire dalle nostre stesse organizzazioni, dal Pdci in questo caso, promuovendo nuove leve di quadri che provengano dal mondo del lavoro e del precariato e dalle tante lotte sociali e politiche sviluppatesi in questi anni; e al tempo stesso dotandoci di un programma minimo in grado di rappresentare una credibile proposta alternativa rispetto alle devastanti politiche neoliberistiche che continuano a essere propinate dalle classi dominanti e dai partiti oggi conviventi nel governo delle “larghe intese”.

La stessa nascita del governo e della maggioranza delle “larghe intese” – preceduta dall’esperienza del governo Monti dentro al quale si è trovata una condivisione di fatto in materia di controriforma del mercato del lavoro e del sistema pensionistico con le devastanti riforme Fornero – e la convergenza che Pd e Pdl hanno trovato su un tema cruciale come quello della riforma della Costituzione segnalano che l’intreccio tra crisi sociale e crisi democratica si è fatto ancora più stretto e che la situazione complessiva, in mancanza di risposte adeguate, è destinata ad aggravarsi.

2. Per organizzare questa risposta in modo credibile, mirando a costituire anche un punto di riferimento per le tante lotte di resistenza che pure, spesso fuori e talvolta addirittura contro i partiti, si sono sviluppate in questi anni, e anche per un’area di malcontento che nel “popolo di sinistra” diviene sempre più vasta, occorre però non solo un programma adeguato – che torni a porre al centro della proposta politica il tema della centralità del lavoro e dei diritti dei lavoratori, la questione proprietaria, il ruolo della proprietà pubblica e quindi un nuovo ruolo dello Stato nella produzione e nel credito, la programmazione democratica dell’economia, la costruzione di un nuovo Stato sociale –, ma anche un minimo di massa critica e di radicamento organizzativo che consentano di veicolare tali proposte tra i lavoratori e di presentarle come qualcosa di credibile, attraverso campagne ad hoc, proposte di legge di iniziativa popolare e così via.

Per fare questo, i comunisti non possono rimanere ancora divisi. Occorre portare a sintesi il vasto confronto che si è sviluppato, nazionalmente e molecolarmente in questi ultimi anni, procedendo di pari passo con una crescente unità d’azione (altro che “fusione a freddo” o processo limitato ai gruppi dirigenti, è vero proprio il contrario!), e porre finalmente all’ordine del giorno l’obiettivo della ricostruzione di un unico partito comunista, di quadri e di massa, adeguato alle sfide del presente e al tempo stesso forte della sua tradizione, della sua storia e della sua cultura politica, che nel corso dei decenni, anche nel confronto con altri contributi, è andata sempre più arricchendosi.

È questo il primo passo, ormai improcrastinabile, da compiere. Ma anche un partito comunista unitario e con ispirazione di massa oggi, di fronte alla gravità e vastità della crisi, non basterebbe. Attorno e assieme a un Partito comunista unitario va costruito un fronte delle sinistre ampio e forte, come in altri paesi europei e non solo si è fatto in questi anni, ridando ai lavoratori la possibilità di individuare un punto di riferimento politico dotato di quel minimo di peso necessario a reggere l’urto dell’offensiva economica e sociale portata avanti dalle classi dominanti.

In questo quadro, uno dei punti su cui fare leva per respingere l’attacco rimane certamente la Costituzione repubblicana che, è bene ricordarlo, afferma all’art. 1 “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Benché già gravemente intaccata, infatti, la Carta costituzionale non solo è ancora in vigore, ma delinea un modello di fuoriuscita dalla crisi, nettamente alternativo a quello proposto da classi e partiti dominanti. Non è un caso quindi che essi, in linea con le indicazioni della JP Morgan e con le tendenze complessive del capitale transnazionale, stiano trovando un’intesa per aggredirla e trasformarla, svuotandola della sua carica innovativa. Al contrario, nel portare avanti la mobilitazione per la difesa e l’attuazione della Costituzione, è proprio tale carica che va messa in luce, evidenziando che tale lotta non costituisce una battaglia di retroguardia, ma al contrario un impegno rivolto al futuro, al modo per uscire dalla devastante crisi capitalistica in atto.

3. È dentro a questa cornice che va sviluppata una scelta di campo netta e, oggi più che mai, necessaria verso la capacità di rappresentare politicamente e socialmente il mondo del lavoro salariato, la cui destrutturazione rappresenta non un incidente di percorso o una errata valutazione sulle forme di competitività delle aziende, bensì un vero e proprio modello di società capitalistica e imperialistica che non possiamo non contrastare al fine di costruirne l’alternativa.

Occorre quindi immettere nell’iniziativa politica una serie di rivendicazioni troppo spesso sottovalutate, a partire dall’abolizione delle oltre 46 forme di precariato per riportare il contratto a tempo indeterminato come formula “normale” del rapporto lavorativo, fino alla stabilizzazione dei lavoratori precari del pubblico impiego, gia penalizzati da un blocco sui rinnovi contrattuali pesantissimo.

In ogni luogo di lavoro, nella stessa filiera, deve valere per tutti i lavoratori lo stesso contratto che, nella sua condizione primaria, deve rifarsi alla contrattazione nazionale, al fine di ridare unità e forza contrattuale ai lavoratori, sia a livello aziendale e settoriale che nazionale. Per questo non vi possono essere dubbi nella richiesta di abrogazione della Legge 30 e all’art. 8 della legge finanziaria del 2011, che concede la possibilità di deroghe sostanziali al contratto nazionale di lavoro.

Va ripristinata la formulazione originaria dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, unita alla creazione di lavoro diretto da parte del sistema pubblico, a favore di giovani, donne, lavoratori disoccupati e ancora lontani dalla pensione, in settori di pubblica e sociale utilità, come l’assistenza ad anziani e disabili, manutenzione del territorio, del patrimonio urbano e di quello storico.

Serve poi una legge sulla rappresentanza e sulla democrazia sui luoghi di lavoro che certifichi la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e delle Rsu, disciplini il carattere elettivo e definisca i diritti di consultazione e di voto dei lavoratori, considerandolo vincolante per l’applicazione degli accordi.

E ancora: occorre una legge che blocchi le delocalizzazioni produttive, e quando esse vengano tentate, comporti l’obbligo per la proprietà alla restituzione dei sostegni finanziari e fiscali ricevuti da parte pubblica.

Sono necessarie misure di ritorno al carattere progressivo della fiscalità, così come stabilito dalla Costituzione Italiana, cancellando i privilegi fiscali a favore dei più ricchi e tassando, in maniera progressiva, le proprietà immobiliari che non siano le abitazioni popolari, così come vanno tassate in maniera altamente progressiva le rendite finanziarie e speculative.

4. Su questi terreni, accanto a quello della lotta per la difesa della Costituzione e il ripristino del sistema proporzionale e contro il presidenzialismo – mirando cioè a saldare la battaglia democratica con quella sul terreno economico e sociale – sarà possibile costruire un’interlocuzione di massa, che vada al di là dei comunisti e della stessa sinistra e consenta di affrontare in modo nuovo anche il tema della politica delle alleanze. Il fronte democratico, oggi, è composto di fatto da tutte quelle forze che si oppongono allo stravolgimento della Costituzione, e per usare la terminologia della storia del movimento operaio è una sorta di “fronte unico dal basso” in costruzione in tutto il paese.

Agendo attivamente all’interno di questo fronte, i comunisti e la sinistra possono ritrovare un rapporto di massa che consenta loro di andare al di là dei propri confini, non per porsi in modo subalterno rispetto agli altri, ma al contrario per tornare a condurre una lotta per l’egemonia, tra i lavoratori e nella società. Solo la sinistra, infatti, e in particolare solo i comunisti colgono fino in fondo il nesso tra la crisi economica in corso e le sue ricadute sul piano sociale e sulla tenuta democratica; essi soltanto, quindi, come già in altre fasi drammatiche della nostra storia, possono farsi promotori di uno schieramento vasto e consapevole, che consenta di respingere l’attacco e avviare la controffensiva.