di Fabio Pasquinelli, Segretario provinciale PdCI – Federazione di Ancona
Dai cantieri navali, da Venezia a Napoli, da Genova a Trieste e Palermo, passando per Ancona, i delegati Fiom Cgil della Fincantieri hanno animato l’iniziativa nazionale del PdCI intitolata “Crisi della cantieristica. Lotte operaie e progetto per il lavoro”.
La scelta di Ancona come sede dell’evento non è stata casuale, perché nel capoluogo marchigiano si è consumata una battaglia centrale, nella più ampia lotta per il lavoro e per i diritti dei lavoratori. Questa battaglia, per usare la prosa didascalica del segretario regionale della Fiom Marche, Giuseppe Ciarrocchi, è stata paradigmatica, in quanto ha visto gli operai resistere per mesi e senza lavoro al ricatto occupazionale della dirigenza Fincantieri, mantenendo un presidio permanente di fronte all’arsenale ed in piazza, occupando sedi istituzionali, ferrovie ed autostrade e, soprattutto, mantenendo l’unità e la coesione dei lavoratori, non solo del cantiere di Ancona.
Non a caso c’è Silvestro Turicelli, delegato RSU del cantiere di Marghera, tra i sindacalisti relatori, tra gli operai seduti nei banchi della sala del consiglio comunale; lui viene accolto come un compagno fraterno dagli operai di Ancona, come un eroe dei nostri tempi dagli applausi della platea.
Lo presenta subito Pierpaolo Pullini, delegato RSU anconetano, Silvestro, il quale incarna il semplice e prezioso eroismo di un operaio che lotta per il lavoro, ma anche per i diritti, per la dignità e per l’unità dei lavoratori. Ci tiene a ricordare Pierpaolo, tra la commozione collettiva, che se i colleghi di Venezia non avessero rinunciato alla commessa spettante al cantiere di Ancona, offerta altrove a causa del rifiuto da parte degli anconetani del piano esuberi imposto dall’azienda, il cantiere dorico sarebbe già chiuso, gli operai marchigiani sarebbero tutti disoccupati, l’unità dei lavoratori di tutti i cantieri si sarebbe spezzata e tutti, oggi, saremmo più deboli di fronte ai ricatti. Tuttavia, Pullini ha sottolineato che l’accordo strappato ad Ancona, lungi dal rappresentare una vittoria, è soltanto un avanzamento nella lotta, il quale non risolve né i problemi strutturali di Fincanitieri né, tanto meno, le difficoltà dei lavoratori di fronte a padroni arroganti e ad una politica sempre più ostile. Una politica ostile come quella della Regione Marche, che si è schierata con i licenziamenti dell’azienda, abbandonando i lavoratori nel pieno della vertenza e ad un passo dallo storico risultato ottenuto.
Dopo Pullini di Ancona è la volta, quindi, dello stesso Turicelli, che affronta il tema dello sfruttamento del lavoro nei cantieri, ed in particolare di quello nelle ditte appaltatrici, una paga globale minima, una piaga, dentro la quale vengono monetizzati tutti i diritti, cosicché al padrone conviene esternalizzare la lavorazione a danno degli operai qualificati e dello sviluppo delle risorse interne, a danno dei diritti e della sicurezza dei lavoratori appaltati.
Il delegato Fiom della RSU del cantiere di Napoli, Antonio Santorelli, ricorda come i cantieri navali svolgano nel suo territorio un ruolo fondamentale, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sociale. Questi insediamenti produttivi sono un’occasione di riscatto per i giovani del posto, ma oggi sono a rischio, perché è al sud che l’aggressione ai diritti dei lavoratori è più violenta ed è dal sud che prendono le mosse le strategie politiche di annientamento dei diritti e di eliminazione fisica del sindacato di classe, come è accaduto alla Fiom nello stabilimento Fiat di Pomigliano.
Il delegato Fiom della RSU del cantiere di Genova, Giulio Troccoli, ripercorre le vertenze e le lotte costruite nei cantieri liguri, la loro capacità di dialogare e di essere punto di riferimento per tutte le lotte dei lavoratori, sottolineando nello stesso tempo le difficoltà derivanti dal ricatto occupazionale e la capacità di resistenza degli operai dei cantieri navali.
L’intervento finale del responsabile nazionale della cantieristica Fiom, Alessandro Pagano, ripercorre le tappe della vertenza nazionale tra sindacato e Fincantieri, nel quadro di una lotta unitaria degli operai cantiere per cantiere, per difendere il posto di lavoro e, contemporaneamente, i diritti e la dignità. Tale lotta rappresenta un valore esemplare anche per tutte le altre, in quanto, nella crisi dell’economia nazionale, quella della cantieristica rappresenta una crisi nella crisi. Le cause non possono, tuttavia, essere scaricate sulla globalizzazione ed i rimedi sui lavoratori; il problema reale di Fincantieri è la mancanza di investimenti sulla ricerca, sulla progettazione e sull’innovazione tecnologica. Su questo campo perde la cantieristica italiana e tutto il “sistema paese”. I lavoratori, invece, con i loro diritti, i loro salari, le loro conoscenze e le loro competenze, rappresentano una risorsa fondamentale per il rilancio strutturale dell’industria, e non il piombo nelle ali, come vorrebbero far credere Confindustria ed i governi liberisti che si sono succeduti alla guida dell’Italia.
Dopo l’introduzione del segretario regionale del PdCI Cesare Procaccini, che assieme al consigliere regionale della Federazione della Sinistra Raffaele Bucciarelli ha ricordato la mobilitazione del partito sul territorio e nelle istituzione al fianco degli operai e della Fiom, l’analisi e la proposta politica del segretario Oliviero Diliberto concludono la partecipata iniziativa anconetana.
Emerge con forza ed evidenza un attacco ai lavoratori, al diritto al lavoro ed al diritto del lavoro, senza precedenti. È un assedio che vede schierata una grande coalizione, che coinvolge tutto il governo Monti, la Confindustria, i maggiori schieramenti politici parlamentari, le più grandi testate giornalistiche ed i mass media, con la complicità di importanti sigle sindacali e la benedizione del Quirinale.
Al tempo stesso, ed in controtendenza, accanto alla centralità della resistenza della Fiom, si è manifestato il malessere della Cgil, sull’ennesima controriforma delle pensioni (prima) e del lavoro (adesso), e si è determinata l’importante opposizione parlamentare dell’Italia dei Valori, con la quale bisogna trovare maggiore coesione; ma, soprattutto, sono emerse tutte le contraddizioni e le divisioni in seno al Partito democratico.
È necessario ed urgente, quindi, che i comunisti e tutta la sinistra – SeL, prima di tutto – raggiungano un’intesa unitaria, che ponga al centro l’opposizione sociale e politica all’esecutivo tecnocratico (oligarchico, in verità) ed un programma di governo alternativo, il quale riparta dai diritti sociali, dai salari e dai beni comuni. Per questa ragione è utile aprire un dialogo e stringere alleanze con le istanze democratiche, politiche e sindacali, più sensibili ai temi sociali e meno inclini al sostegno acritico al governo Monti ed alle sue politiche liberiste, socialmente inique ed economicamente depressive.
È prioritario e fondamentale, dunque, partecipare in massa allo sciopero generale indetto dalla Fiom il 9 marzo, facendo della manifestazione di Roma una grande manifestazione democratica e di opposizione al governo: un nuovo inizio di lotta, di proposta politica e di unità a sinistra.
Il rischio, sempre più attuale e fondato, che corre il nostro paese, è una sospensione a tempo indeterminato della democrazia, una prosecuzione dello stato d’emergenza culminato con la nomina di Monti a Palazzo Chigi, di cui ne è la prova il fatto che, a differenza di Spagna e Grecia, non sono state neppure prese in considerazione le elezioni anticipate, unico e solo strumento per uscire dalla crisi investendo sulla sovranità popolare.
Anche la libertà fondamentale, la libertà di espressione e di stampa, viene sostanzialmente colpita dalle misure del governo, il quale, tagliando i finanziamenti all’editoria, colpisce le voci critiche e gli editori liberi, mentre blinda l’oligopolio dell’informazione che lo sostiene e che fa capo ai maggiori gruppi finanziari.
Ma al centro dell’attacco alla Costituzione ed alla democrazia c’è, come sempre, il cardine del compromesso del ’48, il lavoro, tanto che Marchionne si permette – oltre che di minacciare la chiusura degli stabilimenti italiani – di escludere la Fiom dalle rappresentanze sindacali, così negando la stessa agibilità sindacale (che si concretizza proprio nel momento in cui chi si oppone ad un accordo non perde per questo i propri diritti); di non assumere in fabbrica gli iscritti alla stessa Fiom, così negando il fondamentale principio costituzionale dell’eguaglianza e della non discriminazione; di non rispettare una sentenza giudiziaria di reintegra dei lavoratori, così negando la vigenza della legalità negli stabilimenti Fiat e nel paese. E su questo il silenzio del Presidente della Repubblica, per altre questioni molto loquace, è davvero assordante!
Consegue da questa analisi che l’art. 18, oltre che – naturalmente – un diritto da difendere, è un vero e proprio simbolo nel quale riunificare i lavoratori, i sindacati, i movimenti, i partiti democratici e della sinistra: la Federazione della Sinistra ed i Comunisti Italiani, quindi, si impegnano a sostenere una mobilitazione politica e sociale unitaria in tutto il paese, in difesa dell’art. 18, dei diritti dei lavoratori e contro la precarietà.
Infine, l’intervento del segretario del PdCI si conclude con l’appello alla ricostruzione, oggi più che mai attuale e necessaria di fronte alla durezza dell’offensiva capitalista, del partito comunista in Italia, a cominciare dalla riunificazione con Rifondazione comunista, quale elemento unificante alla base ed al contempo cardine di una più ampia unità politica e programmatica a sinistra, quantitativamente e qualitativamente in grado di sostenere le lotte dei lavoratori e la difesa della democrazia e della Costituzione.
La lotta organizzata, l’autonomia politica, la coerenza tra pensiero e azione e, soprattutto, l’unità della base, alla fine pagano sempre, e non c’è più margine di compromesso sui valori democratici e sui diritti dei lavoratori, sarebbe una sconfitta senza neppure l’onore delle armi; questa è la chiara testimonianza ed il prezioso esempio che gli operai e la Fiom hanno offerto alla folta platea intervenuta all’iniziativa del PdCI, ad Ancona, in un sabato pomeriggio improvvisamente primaverile…
L’INTERVENTO DI FOSCO GIANNINI, SEGRETERIA NAZIONALE PDCI
Il tempo breve che abbiamo a disposizione per intervenire può e deve essere un’opportunità. Essere costretti ad una estrema sintesi può aiutarci a enucleare le questioni essenziali. D’altra parte era Luigi Pintor a dire che si abbonda nei particolari quando oscuro è il senso delle cose.
Dichiarata la sintesi potrà sembrarvi stravagante che io parta da una questione che sembrerebbe non entrarci molto con il problema della cantieristica e della sua crisi.
Ma stravagante non è, e la questione è la seguente: alcuni giorni fa la compagna Rossana Rossanda pone, dalle pagine de Il Manifesto, un problema non da poco: si chiede, la Rossanda, se sia il caso o meno di superare, abbandonare, la questione del comunismo, l’obiettivo del comunismo. Domani, sulle pagine dello stesso Manifesto, le risponderà Mario Tronti, il cui pensiero è questo: il comunismo è per dopodomani, oggi dobbiamo mettere in campo una soggettività di sinistra unita. Noi, sulla sinistra unita, siamo d’accordo; il punto è che non sia una sinistra vaga, moderata e una “ soggettività di sinistra ” depurata dalla presenza comunista corre fortemente il rischio di divenire proprio così : vaga e moderata.
Seppur partendo da postazioni diverse sia la Rossanda che Tronti affermano che oggi può e deve essere rimossa la questione della costruzione, in Italia, del Partito Comunista. La cultura e la prassi del comunismo, per Rossanda e Tronti,, non sono oggi necessarie. Dopodomani si, dice Tronti. Mentre la Rossanda sembra ben più scettica anche per il dopodomani.
Questa posizione ricorda molto quella che espresse a suo tempo Achille Occhetto quando, dopo la caduta dell’URSS e nella fase – del tutto conseguente – dell’acutizzazione dell’aggressività imperialista degli USA e della NATO, nella fase che preparava – senza più il contrappeso sovietico – lo scatenamento degli spiriti animali del capitalismo mondiale, scelse ( Occhetto) di cancellare dalla storia il Partito Comunista italiano.
Le riflessioni attuali della Rossanda e di Tronti e quelle di vent’anni fa di Occhetto si somigliano, dunque e su questo punto: tutte e tre pongono il problema del superamento del comunismo, del Partito Comunista proprio nel momento in cui più alto è l’attacco del capitale. Occhetto lo afferma nella fase storica nella quale l’imperialismo recupera, finalmente libero dall’URSS, il suo ruolo aggressivo ed espansionista, mentre Rossanda e Tronti lo affermano nella fase più alta dell’attacco capitalista nell’area dell’Unione europea, un attacco condotto – questione che inquieta ancor più – dall’imperialismo tedesco, volto a sottomettere a sé gli stati e i popoli d’Europa. Ed è come se i carri armati tedeschi, oggi, avessero occupato Atene.
E’ proprio in questa fase, nella fase che richiede ancor più un pensiero ed una prassi dell’anticapitalismo e dell’antimperialismo; nella fase in cui serve ancor più una progettualità anticapitalista, nella fase che chiede ancor più una lotta per riconsegnare agli stati, ai governi, un loro ruolo nella direzione dello sviluppo economico ( ecco che ci avviciniamo al problema della crisi della cantieristica) che Rossanda e Tronti raccolgono la vecchia e nefasta lezione occhettiana volta alla rimozione dal quadro sociale e politico italiano del Partito Comunista, del suo ruolo, della sua cultura e della sua politica alternative a quella capitalistica dominante.
.Sarebbe come se Palmiro Togliatti, nel 1944, visto che si era di fronte, innanzitutto, alla necessità di battere in breccia il fascismo e rispetto ai vincoli insiti nel Patto di Yalta, avesse deciso di rimuovere la questione comunista, posticipandola al “dopodomani”, rinunciando a costruire il PCI a favore di una più “morbida”, adattativa e vaga forza di sinistra.
Togliatti fa esattamente il contrario: indicando e perseguendo nella prassi e nella lotta un progetto di ricostruzione democratica per l’Italia costruisce – dialetticamente – un Partito comunista di massa, il più grande Partito Comunista al mondo non al potere. Erge, cioè, il PCI a costruttore della democrazia antifascista senza rinunciare, per questo, all’autonomia culturale e politica comunista, ma – anzi – sviluppando tali qualità e peculiarità nella lotta di fase per la democrazia.
Qual è il nesso tra questa riflessione e la questione della cantieristica? Il nesso è evidente: i comunisti, le forze più avanzate della sinistra italiana, la FIOM, la CGIL hanno il compito di indicare un progetto complessivo di fuoriuscita dalla crisi economica, di indicare un progetto per la risoluzione della crisi della cantieristica, invertendo i paradigmi del potere economico e politico; non partendo, cioè e naturalmente, dall’accettazione ideoloica dello stato presente delle cose, dalla difesa del profitto, come fanno i padroni, come fanno i governi liberisti, ma dalla difesa degli interessi dei lavoratori, interessi che sono essi stessi funzionali – oggi più mai, ed è questo il punto centrale della questione – alla messa in campo di un nuovo modello di sviluppo, un modello virtuoso che richiede, per affermarsi, il ritorno del ruolo dello Stato nell’economia, di grandi investimenti strategici di carattere pubblico, di una pianificazione, quantomeno di una regolazione, dello sviluppo economico generale, di investire dunque le risorse economiche pubbliche in comparti strategici ( come quelli della cantieristica, appunto) non dissipandole più in aiuti a fondo perduto al grande capitale italiano ( innanzitutto la Fiat) che investe poi tali risorse per il proprio profitto e per una politica industriale dal carattere anarchico, imperialista, volto alla delocalizzazione e dal perenne segno antioperaio.
Imporre, far passare l’idea che la difesa degli interessi dei lavoratori oggi più che mai coincide con un progetto generale dello sviluppo economico è compito prioritario dei comunisti e delle forze più avanzate, come la Fiom e la CGIL; far capire che attraverso la sottosalarizzazione di massa e l’abbattimento dei diritti si chiude ilo mercato interno; far capire che la mortificazione e la schiavizzazione – così come la vuole Marchionne e tanta parte del capitalismo italiano – della classe operaia e dei lavoratori italiani tende anche – dialetticamente – a impoverire e squalificare i processi produttivi generali e a dequalificare la merce prodotta; a chiudere i mercati interni rinunciando –di fatto – a quelli internazionali; far capire e lottare socialmente per la divulgazione e la popolarizzazione dell’idea di un’economia pubblica è compito prioritario dei comunisti. Che possono farlo per la loro stessa natura anticapitalista. Altroché, cari Rossanda e Tronti, cancellare il ruolo e il senso sociale e storico del Partito Comunista!
La questione della cantieristica.
Circa un anno fa alcuni operai del Cantiere Navale di Ancona e alcuni dirigenti FIOM mi dissero: noi indichiamo una strada per superare la crisi del Cantiere Navale di Ancona, per conquistare nuove commesse, per costruire altre navi e dar lavoro agli operai e senso economico all’intera città dorica, all’intera regione Marche. La strada è questa: occorre che tra la Fincantieri e l’ENI si stabilisca un patto di ferro, si metta in campo un progetto comune. L’ENI chiede ai Cantieri Navali italiani di costruire navi di proprietà pubblica, navi dell’ENI, per il trasporto per mare di gas e altri combustibili. Già questo darebbe lavoro per anni. Ma questa strada – proseguivano gli operai e i dirigenti FIOM- non viene perseguita.
Questo fatto dimostra due cose: dimostra la razionalità operaia ( i lavoratori conoscono il proprio lavoro, i problemi del proprio lavoro e sanno avanzare proposte concrete per la risoluzione dei problemi e anche per questo la loro estromissione dalle postazioni decisionali è grave) e dimostra l’alta qualità analitica e progettuale – oltreché di lotta – della FIOM.
In questa proposta operaia, relativa al possibile connubio progettuale tra Fincantieri e ENI e nel rifiuto, da parte del governo, da parte del capitalismo italiano, degli armatori privati italiani e da parte della stessa maggioranza dei gruppi dirigenti ENI e Fincantieri, di tale proposta, vi è tutta la questione della cantieristica e tutta la questione della crisi economica italiana.
Il punto è che la proposta degli operai del Cantiere Navale e della FIOM di un rapporto produttivo tra Fincantieri ed ENI, è parsa alle attuali classi dominanti un disegno di sovietizzazione dell’economia italiana e si preferisce la crisi, la sofferenza operaia e la distruzione di uno dei comparti strategici più importanti del sistema produttivo italiano – la cantieristica – piuttosto che riconsegnare allo stato, al governo, un ruolo centrale nella direzione dell’economia e nel sistema produttivo. Creando così un danno non solo ai lavoratori, ma all’intero sistema economico del Paese. E’ questo un segno chiaro della follia pauperistica di fase del capitalismo, italiano e no, probabilmente diretto –strategicamente- a distruggere se stesso, a bruciare la stessa ricchezza capitalistica per ricostruirla in quell’immensa e tradizionale macchina di accumulazione capitalistica che è stata sempre e può ancora essere per i padroni la guerra, una guerra di vaste proporzioni o cento guerre in punti diversi del pianeta. A cominciare dalle guerre sempre più vicine contro la Siria e l’Iran.
E’ chiaro che anche la crisi della cantieristica cresce all’interno di un quadro generale che da oltre vent’anni è segnato dalle politiche sempre più liberiste dell’Unione europea, dai dettami ferocemente antioperai e antipopolari provenienti dai trattati di Maastricht, di Lisbona e di Amsterdam.
Da dove prende corpo, liceità storica- per così dire- il rifiuto netto da parte del governo e dei potentati economici italiani della proposta operaia e FIOM di unire produttivamente Fincantieri ed ENI?
Prende corpo da un fatto: il grande capitale transnazionale europeo ha deciso– già vent’anni fa- di conquistare i mercati mondiali battendo la concorrenza degli USA, degli altri poli imperialisti e delle forze economiche mondiali in crescita, i paesi del BRICS.
Per raggiungere tale obiettivo il capitale transnazionale europeo si è posto l’obiettivo di una nuova e grande accumulazione capitalistica propria, da raggiungere attraverso la spoliazione dei lavoratori e dei popoli europei. Per cogliere questo obiettivo occorrevano delle leggi sovranazionali e tali leggi il capitale transnazionale europeo se le è forgiate attraverso l’occupazione e la degenerazione delle istituzioni politiche ed economiche dell’Unione europea.
In questo contesto – e in seguito alla scomparsa e alla demonizzazione dell’esperienza sovietica e del campo socialista – si è costituito il tabù del ruolo pubblico nell’economia e il presidente della BCE, Draghi, due giorni fa, in una lunga intervista al Financial Times, ha ratificato tale progetto economico “tatcheriano”, dichiarando chiusa per sempre la fase storica, in Europa, dell’economia sociale e del welfare, annunciando l’orizzonte storico del liberismo sfrenato, del monetarismo e del lavoro precario assunto quale parte costituente e perenne del nuovo ordine sociale..
In questo quadro, particolarmente difficile, ci muoviamo, controcorrente. Ma proprio perché questo è lo stato concreto delle cose che ancora più importante è il nostro ruolo, il ruolo dei comunisti , delle forze della sinistra e di forze come la FIOM e la CGIL.
La goccia scava la pietra. Ciò che si semina può improvvisamente fiorire. Lo ha dimostrato storicamente proprio il Partito comunista italiano dopo il fascismo, quando improvvisamente fiorì e divenne celermente di massa dopo tanto buio, tanta difficile e dura resistenza, dopo le galere, il confino e la mortificazione sociale e politica mussoliniana. Proprio perché il capitalismo e il liberismo non sono natura, non sono un destino, noi dobbiamo continuare a lottare, a proporre un’altra visione del mondo, dello sviluppo economico.
Nelle lotte a fianco dei coraggiosi operai dei cantieri navali d’Italia ( vera avanguardia di lotta dell’intera classe operaia italiana) vogliamo portare e far crescere le nostre proposte per la cantieristica:
– È necessario puntare sulla ricerca, sull’innovazione tecnologica e sulla progettazione industriale ( che è un intero settore da costruire), mediante la costruzione di sinergie forti con il sistema pubblico di formazione e ricerca e con società controllate dallo Stato (ad esempio con l’Eni, come già indicato dai lavoratori e dalla FIOM).
– Occorre differenziare la produzione spostando la produzione principale dalle navi da crociera (che va comunque mantenuta, in quanto rappresenta un’eccellenza) alle navi da trasporto e per la produzione ed il trasporto di energia ( navi di trasporto ed estrazione di gas liquido ed altri combustibili).
– Bisogna mettere in campo una nuova politica di trasporti marittimi (in un Paese quasi completamente circondato dal mare), potenziando i porti e le tratte. Una politica, questa dei trasporti marittimi, non solo ricca di potenzialità occupazionali ma anche in grado di abbattere notevolmente i livelli di inquinamento ambientale, nel momento in cui può sostituire gran parte del nefasto trasporto su gomme.
– È necessario un piano di commissioni pubbliche per rilanciare subito produzione ed occupazione cantieristica, sia da parte dello stato italiano sia da parte di stati esteri (in particolare è necessario stringere alleanze industriali con i paesi in crescita economica – i paesi del BRICS -, evitando di essere scavalcati autonomamente dai privati, come nel caso Fiat e simili).
– E’ necessaria un’autonoma politica estera, che oltre alle relazioni politiche ed economiche con i BRICS, rilanci una politica mediterranea ponendo l’Italia come stato leader dell’area, potenziando nel Mediterraneo un mercato che dia impulso al trasporto marittimo.
Il cuore della lotta, per i comunisti e le forze più avanzate, è quello, oggi più che mai, di rimuovere il tabù che si è costituito in relazione al ruolo pubblico nell’economia. Sarà una lotta dura e probabilmente lunga. Ma poiché cancellare questo tabù è razionale, è cioè è un bene per l’intero Paese, per il movimento operaio complessivo e non solo per gli operai dei cantieri navali, per gli stesse mercati borghesi, per una volta ci affidiamo ad Hegel, all’Hegel che afferma che ciò che è reale è razionale, battendoci affinché ciò che è razionale torni ad essere reale. E cioè che si torni a pensare che al ruolo pubblico nell’economia non vi è alternativa. Per parafrasare: o ruolo pubblico o barbarie liberista.
Infine, ciò che principalmente è necessaria, come hanno chiaramente detto in questo stesso, magnifico Convegno di Ancona gli operai FIOM dei cantieri navali di Ancona, Venezia, Napoli, Genova, Palermo è la lotta, che questi stessi lavoratori hanno concretamente portato avanti, assieme ai loro compagni, in questi mesi, in questi anni difficili per i Cantieri Navali.
Ciò che è importante è che riesca lo sciopero FIOM del 9 marzo prossimo, a cui tutti parteciperemo.
Ciò che è importante è unire i lavoratori, come abbiamo cercato di fare oggi con questo Convegno.
E anche se non si può vincere subito, ciò che è importante – per parafrase un grange poeta comunista, Ghiannis Ritsos – è battersi come se si potesse vincere, come se vincere si potesse subito, per l’oggi e per il domani!
Alcuni colleghi della sede Fincantieri di Palazzo Marineria, non potendo essere presenti personalmente a causa del clima repressivo e per le forti ritorsioni che già stanno fronteggiando, chiedono tuttavia di poter inviare il loro contributo a questo meeting, al fine di denunciare la situazione di grave emergenza che si sta verificando a Trieste.
2 gennaio 2012: alcuni lavoratori di Palazzo Marineria – ai quali il badge per timbrare l’entrata sembra non funzionare – vengono fermati dalla vigilanza, non potranno salire negli uffici di appartenenza. “Ci sono dei problemi..”, riferisce impacciato l’addetto, “..non è stato avvisato dall’azienda che…? Forse è meglio se aspetta qui il responsabile dell’ufficio del personale”.
Ad altri colleghi, invece, il badge funziona, ma arrivando in ufficio e accendendo il computer si accorgono che il proprio ”profilo utente” non funziona e chiamano il collega dell’assistenza; stesso dialogo imbarazzato, stessa sorpresa: “ehmm.. forse è meglio se chiami il dottor…”.
3 gennaio, 4 gennaio, molti altri colleghi che ignari tornano dalle ferie natalizie vengono fermati “ai cancelli”: ”a causa di un disguido postale, anche chi veniva da fuori Trieste non è stato avvisato in tempo”, spiega il vice del direttore delle risorse umane (ci sarà chi, tra i capiservizio, si vanterà di esserne stato a conoscenza ma di aver ricevuto ordine di non avvertire il personale).
E’ così che funziona ora in Palazzo Marineria: nessuna informazione, nessun preavviso, nessuna data di rientro ufficiale, nessuna prospettiva sicura né la possibilità di organizzarsi la propria esistenza, con o senza Fincantieri, perché decidono il Se, il Come e il Quando della tua vita, ma non hanno alcuna intenzione di comunicartelo.
L’unica indicazione ufficiale, messa per iscritto e approvata dalla maggioranza dei delegati FIM e FIOM, è la squalifica come tecnico, progettista, segretaria, come “lavoratore che al momento l’azienda ritiene non avere adeguata professionalità” (per citare testualmente il comunicato delle RSU). Improvvisamente, anche chi non ha mai subito nel corso degli anni alcun richiamo scritto o verbale che abbia messo in discussione il suo operato professionale, anche chi ha finalmente raggiunto una certa abilità e autonomia, e persino chi ha sempre condiviso e trasmesso le proprie competenze al collega meno esperto, si ritrova ora bollato come inadeguato, e ciò è avvenuto senza che nessuno di quelli che firmano accordi e scrivono comunicati gli abbia spiegato se e dove abbia sbagliato, così tanto da essere messo alla porta, da restare inaspettatamente fuori dall’ingranaggio produttivo con l’odioso marchio di inidoneità.
E mentre si aspetta nell’atrio, educatamente bloccati dal servizio di vigilanza, si vedono entrare e salire i colleghi che invece pare posseggano ancora adeguata professionalità, e quelli che hanno votato a favore dell’accordo ben sapendo di mandare al macello un centinaio di compagni di lavoro, sperando di non essere tra quelli, ovviamente… Si vede anche entrare il proprio capo, lo si guarda allibiti e con aria interrogativa cercando una risposta, ma lui abbassa lo sguardo, abbozza un buongiorno stentato per poi correre via perché si sa, c’è sempre così tanto lavoro da fare… ma non per te.
Si sa che Palazzo Marineria non brilla certo per il livellamento delle gerarchie estreme, l’orizzontalità e l’incoraggiamento a una leadership naturale, o per l’empowerment delle risorse a tutti i livelli, strategie ampiamente efficaci per un sano sviluppo dell’impresa, ma che a Passeggio S. Andrea purtroppo non sono di casa.
Tutt’altro: ci si chiede invece quando la seppur scatenata competitività e il carrierismo fisiologico dei colletti bianchi si siano trasformati in un vero e proprio bullismo adulto, detestabile e destrutturante alla pari di quello infantile, che tutti conosciamo. E’ una manipolazione adulatoria riservata ai livelli intermedi, ma che diventa vergognosamente aggressiva e castigatrice quando colpisce i più vulnerabili. E’ una vera e propria contraffazione dei ruoli e della percezione di diritti e doveri, una distorsione che richiede coraggio, ragionevole lucidità, vitalità etica e una resistenza morale non indifferenti per non rimanerne invischiati. In una parola, l’integrità che ci si aspettava soprattutto dai propri rappresentanti sindacali, e che sembra venuta meno in questi ultimi mesi.
Le ultime concitate settimane di dicembre avevano fatto presagire a un’imminente e drammatica svolta ma forse, poi, le feste natalizie avevano favorito quell’ottimismo ingenuo che faceva ancora credere nell’esistenza di un limite alla prevaricazione e alla ritorsione personale, perché di questo si tratta, nella maggior parte dei casi. Quella stessa ingenuità che ha fatto credere nella buona fede di chi dovrebbe tutelarti contro la prepotenza e la violazione dei diritti, quella fiducia che ti faceva difendere i tuoi delegati davanti a chi generalizzava a proposito del sindacato.
Ma ora che si è soli, violentati nella fiducia proprio da chi era stato delegato per rappresentare e difendere, rimane davvero poco spazio alla comprensione e all’indulgenza, poiché le conseguenze sono realmente troppo gravi, e spesso coinvolgono gli affetti più cari, i sogni, la vita e l’identità stessa di quelli che, fino a ieri, erano colleghi di lavoro, spesso amici, e che mi avevano dimostrato fiducia.
Oggi non si tratta più di adeguarsi ai morbosi e deformanti meccanismi di palazzo, di tollerare nostro malgrado i meschini narcisismi di questo o quel manager bizzoso che, di fronte alla richiesta di ricevere un biglietto aereo di classe economica o un albergo senza piscina rifiuta con un: “me ne fotto”.
Il continuo proliferare di nuovi dirigenti, manager che non si ritirano in quiescenza e approfittano dell’abbondanza di benefit e premi, elargiti con scandalosa generosità da un’azienda in crisi che chiede aiuto agli istituti di previdenza pubblica, ex direttori che tornano (ma se n’erano mai andati?) con contratti di consulenza milionari, il moltiplicarsi di nuovi enti e uffici, di controlli e controllori… è un dispendio enorme di energie e ricchezza che potrebbero essere destinati alla valorizzazione di quelle risorse umane, disgustate e diffidenti, saccheggiate di quel naturale dinamismo che gli è stato eroso da un management incapace di interazioni relazionali di qualità.