di Antonio Frattasi, Segretario Provinciale PdCI Napoli
PdCI, 9 giugno: convegno a Napoli sulla cantieristica
Nello scorso aprile, alcuni quotidiani della provincia di Napoli hanno dato notizia, nella pagine di cronaca, del drammatico gesto di protesta compiuto da un operaio dell’indotto della cantieristica navale campana che, esasperato perché non percepiva la cassa integrazione da 4 mesi, era riuscito ad introdursi nello stabilimento Fincantieri di Castellammare e aveva scalato una delle gru più alte, minacciando di gettarsi nel vuoto. A Napoli e nella sua vasta provincia questi episodi accadono,purtroppo, molto frequentemente, si può anche dire ,senza timore di esagerare, che si verificano almeno un paio di volte al mese. Ogni giorno il centro di Napoli è attraversato da cortei di protesta di disoccupati, cortei che concludono il loro percorso con manifestazioni davanti ai palazzi del “potere”: a Santa Lucia dove vi è la sede del Presidente e della Giunta regionale; a Piazza Municipio dove vi sono gli uffici del Sindaco e della Giunta comunale; a Piazza del Plebiscito dove ha sede la Prefettura. Talvolta è accaduto che un manifestante abbia all’improvviso compiuto qualche gesto dettato da rabbia ed esasperazione,minacciando di darsi fuoco o di lanciarsi da un balcone.
Una realtà terribile, che diventa sempre più intollerabile e preoccupante quanto più la crisi economica e sociale morde, rende la vita difficile a migliaia di famiglie, nega diritti fondamentali,toglie ogni speranza di un futuro diverso e migliore ai giovani.
Dalla fine degli anni Settanta in poi,Napoli e la sua provincia, come tutta la Campania e gran parte del Mezzogiorno, hanno vissuto un continuo ed inesorabile declino dell’apparato industriale e produttivo, declino che, nel corso dei decenni successivi, ha assunto- per effetto delle ripetute crisi economiche internazionali, delle politiche neoliberiste imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla BCE pedissequamente applicate dai governi nazionali, dei processi di mondializzazione- dimensioni crescenti.
Nel contesto di generale crisi dell’economia napoletana e campana,la situazione dei Cantieri Navali di Castellammare di Stabia è quella che presenta aspetti di particolare gravità,non soltanto dal punta di vista economico e sociale, ma anche storico e culturale. Indubbiamente, le enormi difficoltà della cantieristica sono un fenomeno nazionale(ed anche europeo),quindi non limitato alla sola Campania, e costituiscono un aspetto della più generale scomparsa dell’ Italia industriale di cui ha a lungo parlato il sociologo Luciano Gallino. Ma la crisi dei Cantieri navali di Castellammare di Stabia rappresenta una ferita più profonda e lacerante di ogni altra inferta negli ultimi due decenni al tessuto economico e sociale della regione perché i Cantieri hanno una storia nobile, lunga, secolare che risale addirittura al lontano 1783, una storia che non può e non deve essere cancellata o rimossa. Raggiunta l’Unità nazionale , negli anni Settanta dell’ Ottocento,come ha scritto lo storico dell’ economia Silvio de Majo, i Cantieri riuscirono a dar prova di elevate capacità produttive con la costruzione della corazzata Duilio di 11.190 tonnellate e, successivamente, dell’ Italia di stazza analoga. Altre importanti costruzioni sarebbero state poi realizzate nel secolo scorso, con la produzione di navi rappresentative come l’Amerigo Vespucci (varata nel 1931), la Vittorio Veneto (1967),l’ Ardito (1968), la Carducci (1970),la Domizia (1978), la Scilla (1985) .
I Cantieri navali hanno svolto un ruolo da protagonista nella società italiana non soltanto perché hanno dimostrato,in momenti decisivi della vita del Paese, le straordinarie capacità produttive dei dirigenti, degli operai e delle maestranze, che hanno progettato e costruito navi rimaste nella storia della cantieristica e della marina,ma anche perché, negli aspri conflitti e nelle vertenze sorte all’interno di quella straordinaria realtà produttiva, sono cresciuti,nel corso dei decenni, quadri sindacali e politici di grande valore.
Sin dai primi anni del dopoguerra e ,con maggiore intensità, dopo la sconfitta del Fronte Popolare nelle elezioni del 1948, si formarono leve di dirigenti e militanti comunisti e socialisti, capaci di guidare lotte memorabili per far avanzare e rendere più solida la democrazia nel nostro Paese. Sul piano locale, fu molto forte il contrasto con il potere della famiglia Gava – impersonato dal senatore Silvio, l’ anziano patriarca, e dal giovane, e più spregiudicato Antonio,entrambi esponenti di rilievo nazionale del doroteismo democristiano .
Silvio Gava,che era originario del Veneto, si era trasferito a Castellammare all’indomani della rotta di Caporetto, ed aveva iniziato, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, la professione di avvocato, attività alla quale affiancava la militanza politica nel Partito Popolare di don Luigi Sturzo.Negli anni Cinquanta ebbe inizio la sua irresistibile ascesa politica, che lo portò ad essere uno dei maggiori dirigenti nazionali della Democrazia Cristiana(con un potere fortemente radicato nella provincia di Napoli, che lo rendeva il vero “dominus” del partito dei cattolici, dopo aver relegato il più giovane e brillante Giovanni Leone nel ruolo di notabile di alto profilo ) e più volte ministro(Industria, Tesoro, Giustizia, Riforma della pubblica amministrazione), nonché per dieci anni capogruppo al Senato. Nel 1964,nella politicamente caldissima estate durante la quale sarebbe scattato il famoso “Piano Solo”, Silvio Gava, allora capogruppo a Palazzo Madama, partecipò, con Zaccagnini, Moro e Rumor ad un drammatico vertice, convocato a casa del dirigente democristiano Tommaso Morlino, con il generale Giovanni De Lorenzo,Comandante dell’ Arma dei carabinieri. Silvio Gava,quindi, non era una figura di secondo piano, contava moltissimo nel suo partito e nelle istituzioni, era un abile costruttore di una fitta rete di rapporti con il mondo dell’ economia e delle banche. Ma era anche un anticomunista talmente ostinato e tenace da aver stretto accordi persino con la destra monarchica di Achille Lauro pur di strappare il Comune di Castellammare al Partito Comunista. Contrastare Silvio Gava nella sua città di adozione era una sfida difficile, alla quale gli operai dei Cantieri non si sottrassero. Gli straordinari successi elettorali ottenuti dal PCI dagli anni Settanta in poi furono originati proprio dalla grande capacità di resistenza della classe operaia stabiese.
Sulle problematiche relative al futuro del Cantiere di Castellammare ,la Fincantieri è stata incapace di dare risposte ai lavoratori perché non ha saputo indicare linee credibili di un possibile piano di rilancio industriale e produttivo. Questa politica di corto respiro,che annaspa, che balbetta, che non sa indicare obiettivi chiari e precisi, che nella migliore tradizione andreottiana ritiene che il tirare a campare sia meglio del tirare le cuoia non può infondere fiducia. Giustamente la FIOM la contrasta, ed afferma con nettezza che Fincantieri ha un’ attenzione tutta ragionieristica ai conti ma scarsa propensione ed attitudine ad inserirsi negli spazi aperti dai mercati internazionali.
Per sostenere le ragioni dei lavoratori e per una riflessione a più voci sulla cantieristica navale e sulle prospettive di rilancio dell’ economia meridionale, il PdCI ha organizzato un convegno a Napoli, svoltosi sabato 9 giugno,presso l’ Hotel Plaza. Hanno partecipato:il segretario regionale della Campania,compagno Giacomo De Angelis; il segretario provinciale di Napoli, compagno Antonio Frattasi; il segretario provinciale di Avellino,compagno Giovanni Sarubbi; il segretario provinciale di Caserta,compagno Mimmo Pascarella; il capogruppo alla Provincia di Napoli, compagno Giorgio Carcatella ed il compagno Antonio Fellico, consigliere comunale di Napoli. Dopo aver salutato i partecipanti ed illustrato i motivi dell’ iniziativa , il compagno Frattasi ha dato la parola al compagno Antonio Santorelli,responsabile FIOM per Castellammare di Stabia,che ha svolto la relazione introduttiva. Sono poi intervenuti nel dibattito: il compagno Luigi Izzo, presidente della cooperativa navale Megaride; il compagno Francesco Barra, coordinatore provinciale della FdS di Napoli; l’on. Nello Formisano, segretario regionale dell’ IDV; il compagno Andrea Di Martino,della Presidenza Nazionale di SEL; Alessandro Pagano, responsabile nazionale FIOM per la Cantieristica navale. I lavori sono stati conclusi dal compagno Fosco Giannini, membro della Segreteria nazionale del PdCI.
In sala erano presenti sindacalisti, lavoratori, consiglieri comunali di Napoli, intellettuali, dirigenti e militanti della Federazione della Sinistra. Il dibattito è stato molto vivace, serio e ricco di spunti interessanti. Sono stati trattati i temi della cantieristica navale, ma anche quelli della crisi economica, dell’ azione devastante del Governo Monti, dello sviluppo del Mezzogiorno, dei diritti dei lavoratori, della difesa dell’ articolo 18, del futuro della sinistra nel nostro Paese. Il confronto è stato di estremo interesse perché sono state discusse questioni molto concrete, ma anche di prospettiva politica. I toni sono stati sempre appassionati,ma determinati. Il compagno Izzo,Presidente della Cooperativa Megaride, ha rivendicato con orgoglio la capacità dei lavoratori del Cantiere, associatisi in forma cooperativa, di costruire navi solide e di essere competitivi,pur se dotati di risorse limitate, con colossi del settore che operano nel bacino del Mediterraneo. Si sono confrontate,poi, alcune ipotesi di possibile sviluppo del Mezzogiorno e sulla sua vocazione economica.
Il compagno Giannini,nelle sue conclusioni, ha posto l’ accento sulla grave offensiva condotta dal Governo Monti,in piena continuità con il precedente esecutivo, ai diritti dei lavoratori,alle condizioni materiali di vita delle classi popolari. Le misure sinora adottate per arginare gli effetti della crisi economica hanno colpito,infatti, in una sola direzione:il mondo del lavoro e quello del precariato, i giovani, i pensionati. Gli evasori fiscali, i grandi capitali, le grandi fortune, i” padroni del vapore” hanno mantenuto intatti i loro privilegi. Gli indirizzi economici neoliberisti sono statti tutti riaffermati da Monti, sostenuto pienamente dalla BCE e dalla Germania della Merkel. Il pensiero dominante nonostante sia sotto gli occhi di tutti il fallimento delle classi dirigenti europee ed italiane, vuole imporre ulteriori riduzioni dei diritti dei lavoratori, vuole trasformare le fabbriche e gli uffici in prigioni, in luoghi di umiliazione e sofferenza, in cui comandano capetti altezzosi, volgari ed arroganti. I padroni pensano che lo Statuto dei diritti dei lavoratori sia un fardello e non una conquista di civiltà. Giannini ha parlato dello Statuto dei lavoratori, avanzatissimo e inapplicato proprio come la Costituzione italiana, di cui tutti discettano – “come l’Ulisse di Joyce o il secondo libro del Capitale di Marx” – senza nemmeno averlo letto e che invece tutti dovrebbero leggere.
L’ attacco allo Statuto è molto grave perché è un attacco alla democrazia: se si cancellano i diritti nei luoghi di lavoro,si abolisce la libertà di critica, di pensiero, si riduce il lavoratore ad uno schiavo perennemente sotto ricatto.
Oggi l’ Italia ha bisogno di un nuovo e vasto processo democratico, di un ritorno ai valori ed ai principi della Costituzione del 1948, ha bisogno di un lavoro culturale e politico che smascheri l’ideologia dominante e che ponga al centro le questioni di un nuovo modo di produrre e della creazione di occasioni di lavoro stabile.
La borghesia imprenditrice italiana è mediocre, ignorante,presuntuosa, priva di cultura, incapace di pensare il futuro ed attenta soltanto al proprio tornaconto. Ma tutte le classi dirigenti del nostro Paese non hanno ricette valide per indicare vie di uscita dalla crisi perché sono esclusivamente interessate alla conservazione del proprio potere.
Occorre,quindi, una risposta forte che nasca dai luoghi di lavoro, di studio, dai territori, una risposta che unifichi lotte e vertenze, e che sappia individuare punti programmatici qualificanti, chiari e precisi. E’ indispensabile che tutte le forze che si collocano a sinistra del PD costruiscano rapporti unitari, mettendo da parte antiche divisioni ed incomprensibili gelosie. La FIOM chiede unità e decisione ai partiti della sinistra. Ha perfettamente ragione! I giovani,i pensionati, gli intellettuali chiedono anche essi uno sforzo unitario. Lavoriamo insieme! La manifestazione del 12 maggio ha reso evidente la volontà dei comunisti, delle persone di sinistra, dei giovani dei movimenti di non arrendersi, di non dare per scontato che le uniche ricette per uscire dalla crisi siano quelle dei professori bocconiani(spesso in difficoltà persino nel fare i conti, come la vicenda degli “esodati” ha ampiamente dimostrato). Luigi Einaudi, uno dei grandi economisti liberali del secolo scorso, aveva le sue certezze teoriche che un marxista non può certamente condividere,ma non dimenticava che l’economia deve essere una scienza che deve dare risposte alle esigenze delle persone. Oggi,invece, Monti e Fornero,affascinati dai loro modelli econometrici costruiti in laboratorio, disegnano il futuro ignorando i bisogni di milioni di uomini e donne.
Un grande economista marxista, parlamentare e dirigente politico del PCI, Antonio Pesenti (docente universitario, uomo di profonda cultura ed antifascista militante, fu condannato,nel 1936, dal Tribunale Speciale a 24 anni di reclusione) lasciò alle giovani generazioni un monumentale Manuale di Economia Politica che si apriva con queste premesse metodologiche:<<Ciò che vuole sapere lo studente(di economia) è perché egli ha diecimila e non centomila lire in tasca, perché se ,appena laureato, cerca una occupazione e non la trova…………Ciò che vorrà sapere il disoccupato è perché in questa società non trova lavoro e l’operaio perché nella struttura sociale in cui vive ha una posizione subordinata da cui non può liberarsi;e lo stesso imprenditore vorrà sapere non come si comporta rispetto al prezzo del mercato,ma come nasce quel prezzo,quella struttura di prezzi. Altrimenti la scienza non serve a comprendere la realtà e ad un certo punto non serve neanche ai fini pratici immediati>> .
Gli economisti Monti e Fornero ,così certi della infallibilità della loro teoria,avrebbero molto da imparare dalle semplici ma precise osservazioni del compagno Pesenti, economista di valore,illustre parlamentare, ma soprattutto comunista convinto.
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