La mia adesione alla Costituente comunista, dopo un percorso convergente
L’avvio della Costituente comunista rappresenta un momento di svolta al quale mi sento di aderire con assoluta convinzione. Personalmente sono da diversi anni convinto della necessità di superare le attuali organizzazioni, nate dalla fine del PCI, per questo nel 2013 ho abbandonato con grande travaglio il partito nel quale ho militato per 22 anni. Con compagni del PRC, del PdCI e altri senza organizzazione, due anni fa provammo a innescare un processo come questo, lanciando l’appello “Cominciadesso” e organizzando una serie di assemblee aperte, non per creare l’ennesimo partitino destinato a sommarsi a quelli esistenti, né, tanto meno, costruire una nuova tendenza politico-culturale trasversale con la ben misera ambizione di condizionare vita e scelte delle organizzazioni attuali. L’obiettivo era un altro, più ambizioso: superare tutti gli arroccamenti precostituiti, rimuovere i ruderi di vecchi, inutili, controproducenti acquartieramenti, legati spesso a scontri personali tra ristretti gruppi dirigenti, o comunque a una fase oramai sorpassata. Non ci interessava nemmeno l’obiettivo di una fusione a freddo degli organismi dirigenti di quel che restava di PRC e PdCI, l’unione delle rispettive segreterie, ne chiedevamo dialetticamente il superamento.
Purtroppo, pur individuando correttamente i problemi di fondo e le possibili risposte, non fummo capaci di dare contituità politica e sbocco organizzativo a quel tentativo, tuttavia, credo che nulla di quelle discussioni sia andato perso. Oggi, nella Costituente ritrovo gran parte delle tematiche e delle parole d’ordine di quello sforzo unitario e ricostruttivo, in particolare i due obiettivi strategici che allora avevamo avanzato sul piano teorico e oggi, finalmente, trovano una prima traduzione politica (e speriamo organizzativa): 1) porre su basi nuove, in termini positivi e finalmente unitari, la questione comunista nel nostro Paese, superando i problemi politici di inefficacia provocati dalla diaspora e dalla polverizzazione dell’iniziativa negli ultimi due decenni; 2) costruire un più ampio fronte di lotta della sinistra contro le politiche sociali dell’Unione Europea, all’interno del quale i comunisti devono giocare un ruolo propositivo e non di retroguardia.
Come mi è capitato di ripetere molte volte in questi anni, i due termini sono essenziali l’uno all’altro, devono procedere assieme, e ognuno di questi preso singolarmente non sarebbe sufficiente: la sola ricostruzione del primo di per sé non servirebbe, in una fase nella quale per prima cosa bisogna rilanciare le lotte sociali e dunque c’è bisogno di ricostruire un tessuto di rapporti anche al di fuori del proprio campo strettamente ideologico; ancora meno servirebbe sciogliere i comunisti in un nuovo soggetto di sinistra generica e senza aggettivi, trasformando la loro presenza in “tendenza culturale” (come sognava Bertinotti ai tempi della Sinistra e l’Arcobaleno), perché inevitabilmente si troverebbero ancora più deboli e dispersi, subendo la direzione di altri anziché esercitarla egemonicamente.
Ci troviamo in una fase di modificazione repentina dei tradizionali punti di riferimento per rapporti sociali di produzione, circuiti finanziari di remunerazione dei capitali, lo stesso rapporto di rappresentanza dei sistemi parlamentari liberali. Il capitalismo, sebbene in crisi, sta vincendo l’obiettivo storico di tutte le sue rivoluzioni passive: ridisegnare il mondo, a partire dai suoi interessi particolari, con la marginalizzazione più completa delle grandi masse popolari, in modo da evitarne l’irruzione nella vita politica e sociale; ottenerne una delega passiva per un nuovo più regressivo sistema dei rapporti tra capitale e lavoro, ottenuto con la passività sociale più assoluta.
E che dire scenari degli internazionali di guerra? In passato il rischio di nuove deflagrazioni belliche prodotte dagli appetiti imperialistici del campo occidentale ha sempre generato movimenti significativi di opposizione alla guerra, abbiamo fatto caso all’anestetizzazione del nostro campo anche in questo suo tradizionale versante d’iniziativa? Quando mai è accaduto che a monopolizzare le manifestazioni per la pace fosse il Vaticano e non la sinistra? Se non ci poniamo queste domande, e dunque abbiamo il coraggio di fare i conti con le cause di questo nostro ulteriore arretramento è giusto non opporre ostacoli al processo inesorabile di estinzione che ci riguarda. Non è un caso dunque se, in Italia, tutto questo avviene proprio nella fase di maggior crisi storica del movimento comunista e nell’assenza di una coerente sinistra del lavoro.
Di fronte alle contraddizioni sempre più colossali del modo di produzione capitalistico a livello internazionale, e alla crisi di egemonia delle sue classi dirigenti (tanto liberiste quanto socialdemocratiche) è paradossale che ad ammainare le loro bandiere debbano essere proprio i comunisti. La crisi organica del capitalismo mondiale, il susseguirsi di una serie infinita di guerre imperialistiche legate alla lotta per l’accaparramento delle risorse energetiche, l’intensificarsi nel nostro Paese dell’offensiva padronale contro il mondo del lavoro, hanno fornito più di una conferma oggettiva all’esigenza di un Partito non solo genericamente di sinistra, bensì di un’organizzazione che fondasse la sua ragion d’essere su una inequivocabile scelta di campo all’interno del conflitto capitale lavoro. Alle conferme oggettive si sono sommate quelle soggettive, nel senso che a dispetto di chi per trent’anni ha preconizzato la fine del conflitto sociale e l’inutilità di un’organizzazione autonoma delle classi subalterne, in questi anni è salita quasi spontaneamente la richiesta di una salda rappresentanza sociale e politica, seria e credibile, capace di andare oltre la classica oscillazione schizofrenica tra settarismo e opportunismo. Su questo dobbiamo inziare a lavorare, con umiltà, senza velleità o ingenui volontarismi. Una cosa è certa, il quadro politico da cui veniamo è oramai superato, le nostre rispettive forze politiche, non il comunismo in quanto tale, hanno fallito nella loro missione e funzione storica, bisogna andare oltre per riaggregare, a partire dai comunisti, una sinistra di classe capace di invertire la tendenza alla sconfitta. Per tutte queste ragioni l’Appello per la ricostruzione del partito comunista e il processo Costituente sono a mio avviso la risposta adeguata a una serie di domande attualmente inevase dalle forze esistenti o potenziali. Per ragioni di lavoro, non sarò fisicamente presente all’Assemblea di Roma del 12 di luglio, ma, al di là dell’adesione formale, intendo fornire tutto il mio sostegno ideale a questo progetto, con la speranza di poter dare al più presto anche un più sostanzioso contributo sul piano della militanza.
Buon lavoro compagni
Gianni Fresu*
* Gianni Fresu è uno studioso di storia del pensiero politico-filosofico e dell’età contemporanea. Nei suoi libri e saggi si è occupato in particolare di Antonio Gramsci, Lenin, fascismo e antifascismo, storia del movimento operaio. Attualmente è Professor convidado presso l’Universidade Estadual Paulista (Brasil) e lavora nel gruppo di ricerca “Politica e cultura del mondo del lavoro” diretta da Marcos Del Roio, dove si occupa della diffusione dell’opera e del pensiero gramsciano in Brasile. Dal 1991 al 2013 ha militato nel Partito della Rifondazione Comunista, è stato Segretario regionale della Sardegna ed ha ricoperto diversi incarichi dirigenti nei vari livelli dell’organizzazione.
Gianni non lo dice (conosciamo il suo riserbo e la sua modestia), ma egli può a buon diritto considerarsi un precursore di questa Costituente comunista, che oggi riesce finalmente a decollare dopo un travaglio di anni. E proprio Gianni Fresu ne richiama alcuni aspetti. E’ quindi con particolare soddisfazione e riconoscimento del lavoro svolto che recepiamo oggi la sua adesione formale, e ci auguriamo di averlo presto tra noi, anche fisicamente (oggi Gianni insegna Gramsci in una università brasiliana) per assumere il ruolo che gli spetta nel nostro lavoro. E che egli si è guadagnato sul campo dopo anni di impegno coerente.