Approfondire la discussione per l’unità dei comunisti in Italia alla luce dell’attuale situazione politica ed economica

Gramsci Stampariceviamo e volentieri pubblichiamo

di Giuseppe Amata

1. L’intervento di Roberto Gabriele sul ruolo dei comunisti in Italia e su come “affrontare le prospettive” sollecita un dibattito tra i compagni che sono impegnati nella ricerca di ricostruire una forza comunista in grado di mobilitare vaste masse. 

Gabriele, dagli interventi che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni su marx21, deduce che il pensiero manifestato da molti compagni “non si è trasformato in un progetto politico che sia collegato alla situazione” e pertanto ritiene che si debba aprire “la discussione” partendo dalle “sconfitte subite sin dagli anni ‘90”. Inoltre, si domanda “qual è oggi il ruolo dei comunisti italiani (…) evitando le autoproclamazioni”, dopo aver costatato che “il fallimento della rifondazione comunista promossa da Cossutta e Bertinotti è stata la conferma che senza un pensiero scientifico e una strategia non si va da nessuna parte”. Riconosce, però, che “la questione del resto non era solo italiana (…) ma riguardava anche la crisi epocale del movimento comunista internazionale”.


Una prima riflessione di quanto riportato mi suggerisce la seguente domanda: La crisi ideologica del movimento comunista in Italia risale a trent’anni addietro oppure più indietro nel tempo, ancor prima di quel fatidico 1956, al quale nel seguito dell’articolo si fa cenno? 

Non si possono analizzare, a mio modesto avviso, le cause che portarono alla fine del PCI senza analizzare in profondità ogni aspetto di quel partito di massa che nella sua essenza, oltre a mobilitare milioni di lavoratori in giuste lotte di difesa dei lavoratori e delle libertà democratiche per affermarsi grande a livello elettorale (tanto da tallonare la DC e addirittura tentare di sorpassarla!), conteneva il virus del revisionismo, allorché cominciava a trascurare l’aspetto principale che l’aveva fatto diventare forte e combattivo, consistente nell’essere un partito anzitutto di quadri d’avanguardia, oltreché di massa.

Senza mettere in evidenza le cause e le conseguenze dello sviluppo del revisionismo ideologico all’interno del PCI, non si può comprendere nel nostro paese che il revisionismo da ideologico, prima, è diventato in seguito culturale per sfociare nella rivisitazione della storia del Novecento negando gli aspetti più caratterizzanti del movimento comunista a livello mondiale e della lotta antifascista e antinazista da esso guidata. Quindi, a mio avviso, le cause che originarono il revisionismo in Italia erano latenti, antecedenti al 1956 ed esplosero dopo quell’anno.

2. Sono passati tanti decenni e siamo in grado ora di analizzare con serenità, oltre ai meriti che indubbiamente ebbe Togliatti, ai quali il compagno Roberto Gabriele ha fatto riferimento, anche gli errori commessi. Non sto qui a ripetere in poche righe quanto ho scritto al riguardo in modo analitico, accennando in particolare alla messa in disparte, col proposito di rinnovare e ringiovanire il Pci, dei vecchi quadri scaturiti dalla Resistenza e dalle lotte di massa nel periodo della reazione clerico-fascista e atlantista.

Con questo presupposto possiamo discutere, quindi, del momento storico che inizia con lo scioglimento del PCI e la nascita di Rifondazione comunista e successivamente della scissione operata da Cossutta e altri e del fallimento dei due tronconi (PRC e PdCI) e pertanto della difficoltà a ricostruire in Italia il Partito comunista. 

Pur essendo valide alcune obiezioni di metodo enunciate da Roberto Gabriele sulla ricostruzione di un Partito comunista degno di questo nome per trasformare il modo capitalistico di produzione, non possiamo non partire oggi dalla situazione di fatto che si è determinata: vale a dire che esistono diversi partitini o gruppi che si richiamano al comunismo: il Pci, la Rete dei comunisti, il Pc di Marco Rizzo, Rifondazione comunista (la quale, pur cambiando i segretari è rimasta nell’essenza ancorata ad una visione movimentistica, a parte alcune incoraggianti rettifiche sull’analisi internazionale e sulle relazioni con i partiti comunisti del mondo) e infine circoli e gruppetti vari, per non parlare del Pc dei lavoratori dichiaratamente troskista, quindi fuori dalla nostra storia. 

Il problema principale che abbiamo di fronte è come unire i comunisti in un solo Partito, non certo attraverso una sommatoria di organizzazioni (la somma di tanti partitini non fa automaticamente un Partito di quadri e di massa, caso mai un partitino più consistente come numero di aderenti), ma attraverso un serrato confronto per elaborare una linea ideologica, politica, organizzativa unificante che metta insieme le migliori esperienze di queste organizzazioni e i quadri più qualificati e combattivi e lasci ai margini coloro i quali si considerano dirigenti a vita, sperando di azzeccare il giusto momento e il giusto movimentismo per riuscire a conquistare il quoziente elettorale.

Ciò non significa, però, che un Partito comunista ricostruito non debba partecipare alle elezioni. Il compito principale in questa fase, però, non è quello di andare con settarismo a contarsi nella spartizione delle schede elettorali, quanto di formare quadri formati ideologicamente, politicamente e disciplinati a livello organizzativo che si sappiano legare alle masse attraverso una corretta linea di massa, frutto di un lavoro di penetrazione in tutti gli organismi di massa per unificare gli obiettivi di lotta e non per la loro frammentazione, magari per mostrare la propria diversità ad ogni costo rispetto ad altri. 

Ogni compagno che sente il problema della ricostruzione del Partito comunista attraverso l’unità dei comunisti si deve quindi impegnare in questo confronto, indipendentemente dalla sua posizione di militante o di fiancheggiatore delle organizzazioni sopra citate.

I quadri comunisti si possono formare ideologicamente e politicamente anzitutto sulla base di un’analisi corretta della situazione internazionale e nazionale che stiamo vivendo, cercando di stare dentro il fronte mondiale che oggettivamente si sta ricostruendo e nel quale sono schierati i paesi orientati verso il socialismo, i partiti comunisti e le forze di liberazione che lottano l’imperialismo, il neocolonialismo, l’egemonismo di grande potenza e il razzismo, quali fomentatori di guerre e conflitti di ogni tipo, per costruire delle relazioni internazionali basate sul reciproco rispetto e sul reciproco vantaggio, tenendo conto del fatto che ogni paese ha le sue specificità e che ogni partito ha la sua storia e il suo approccio ideologico, politico e organizzativo. Dobbiamo comprendere che la diversità è un bene universale ed è sulla base del rispetto della diversità che l’umanità ha progredito. Questo principio Togliatti l’aveva capito bene e pur criticando le posizioni cinesi (che personalmente, invece, come giovane militante sostenevo) non si era prestato alla strumentalizzazione krusceviana contro la Cina, sostenendo proprio il principio dell’unità nella diversità, principio ora esposto in forma più dettagliata da Xi Jinping. 

Alla luce di questo principio, l’internazionalismo da condividere non è quello manifestato alla fine degli anni ’60 da Breznev, il quale rivendicava al tempo della invasione della Cecoslovacchia la compattezza della cosiddetta “comunità socialista”, ossia dei paesi assoggettati alle scelte ideologiche, politiche e di potenza del Pcus e dell’Urss. L’internazionalismo auspicabile, nella fase odierna, deve consistere nel condividere su scala mondiale gli obiettivi di eguaglianza sociale, di eguaglianza tra paesi piccoli e grandi nel risolvere i problemi di comune interesse come il riscaldamento termico del pianeta e la lotta all’inquinamento ambientale e territoriale; problemi che si possono risolvere soltanto pianificando l’attività economica nel rispetto delle leggi biochimiche e fisiche che permettono lo sviluppo delle specie e degli ecosistemi. E bisogna trovare le soluzioni che, ovviamente, sono in contrasto con il modo capitalistico di produzione, fondato sullo sfruttamento degli uomini e della natura.

Nel confronto per l’unità dei comunisti in Italia, mi sento vicino al Pci perché ha elaborato una corretta analisi della situazione internazionale e si sforza di elaborare una politica unitaria verso le altre forze comuniste, pur non approfondendo criticamente alcuni passaggi essenziali della storia del vecchio Pci e la leadership di Togliatti, Longo e Berlinguer.

3. La pandemia del Covid 19 ha messo in risalto a livello mondiale ciò che era latente, ossia la crisi irreversibile del modo capitalistico di produzione. E, infatti, mentre la Cina, Cuba, il Vietnam, il Laos, la Corea del Nord, la regione indiana del Kerala, il Nepal, il Venezuela, il Nicaragua, l’Angola, e qualche altro paese dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina hanno bloccato la diffusione dei contagi e ridotte le perdite di vite umane perché dotati di una sanità pubblica efficiente e di conseguenza hanno rimesso in moto l’economia dopo il lockdown; negli Stati Uniti (paese nel quale la sanità pubblica è inconsistente e tutto il sistema sanitario è in mano alle compagnie d’assicurazioni), in Brasile (in seguito alle scelte scellerate del presidente Bolsonaro, che tra l’altro dopo il suo insediamento ha rimandato a casa i medici cubani che da anni offrivano un servizio solidaristico e iniziato a privatizzare la sanità), infine in India, per citare paesi con numerosa popolazione e senza sanità pubblica, invece, i contagi si diffondono enormemente e le perdite di vite umane hanno raggiunte vette elevatissime, in particolare nei primi due paesi elencati: più di 120.000 in Usa e oltre 40.000 in Brasile, primo e secondo nella classifica mondiale. Bolsonaro, in particolare, è accusato di genocidio perché ha lasciato cinicamente che la pandemia interessasse le regioni dell’Amazzonia, abitate dalle comunità indios (le quali non hanno sistemi difensivi immunitari neanche per il raffreddore!), per liberarsi di quelle popolazioni e portare avanti il suo disegno di deforestazione e d’acquisizione di terre coltivabili per i grandi proprietari terrieri e le multinazionali del cacao, del caffé e della soia. 

In altri paesi capitalistici dell’Europa, in cui la sanità pubblica è stata scardinata per favorire quella privata, si fatica a contenere la diffusione dei contagi, mentre le mortalità sono state ingenti (nella classifica mondiale Gran Bretagna terza, Italia quarta, Spagna quinta e Francia sesta e poi distanziata la Germania) e non si è in grado di delineare delle politiche di crescita economica e sociale.

E pensare che, quando si è scoperta in tutta la provincia cinese dell’Hubei la natura della pandemia e dopo il blocco totale delle attività stabilito dal governo cinese, gli Stati Uniti e altri paesi imperialistici hanno accusato la Cina di inefficienza sanitaria, di totalitarismo e negazione delle libertà personali, approfittando di alcuni errori commessi all’inizio dalle autorità sanitarie e politiche locali per la sottovalutazione della gravità del fenomeno, errori che sono stati in seguito ammessi con pubblica autocritica. 

E mentre alcuni paesi europei, a partire dall’Italia, seppur con ritardo, hanno cercato di imitare i provvedimenti di blocco di alcune attività, e non di tutte come nella provincia cinese, (tanto è vero che le fabbriche delle zone ad alto contagio dei territori di Bergamo e Brescia sono rimaste aperte per le vergognose pressioni di Assolombarda ed attualmente è in corso un’indagine della magistratura), che hanno fatto gli Stati Uniti che avevano più tempo per prepararsi ad impedire la diffusione dei contagi nel loro paese? Per settimane niente, in seguito un blocco limitato ad alcuni stati o città, e complessivamente hanno mostrato al mondo come quella parte disagiata di cittadini che non detiene le polizze assicurative, in particolare afro-americani, ispano-americani e nativi, è andata incontro alla malattia e spesso alla morte senza alcun assistenza sanitaria per essere gettata in fosse comuni. 

In Cina, invece, dopo due mesi di lockdown nella provincia dell’Hubei, i contagi sono stati bloccati e le perdite umane ridotte al minimo (poco più di 4.000 per circa 80.000 contagiati) grazie alla costruzione di nuovi ospedali a tempo di record con terapie intensive per i casi più gravi e reparti di smistamento per tutti i casi positivi. Per la Cina la pandemia è stata in metafora la battaglia di Stalingrado e la lotta per sconfiggerla, grazie all’efficiente sistema di sanità pubblica e di consenso sociale alle misure del Partito e del governo, è stata quasi vinta e nello stesso tempo, come allora l’Armata Rossa ha liberato i territori europei, così la Cina ha mandato squadre di medici e infermieri e materiale sanitario in più di 80 paesi del mondo. 

Perché faccio questi riferimenti in un articolo incentrato su altre tematiche? Per due motivi: 1) perché testimoniano come si evolve in modo multiforme la lotta di classe a livello mondiale e tutto ciò attesta che la storia non è finita, la storia continua, vale a dire che la lotta di classe è il motore del progresso dell’umanità, almeno fino a quando le classi non saranno scomparse; 2) perché partendo dall’analisi concreta della situazione concreta, i comunisti in Italia possono essere in grado di unire vaste masse e uscire dalla fase di testimonianza in cui sono state relegate.

4. La storia continua, dunque, ora con le grandi manifestazioni contro il razzismo negli Stati Uniti; manifestazioni che vedono insieme neri e bianchi, la parte migliore e progressiva degli Stati Uniti, e incrinano la compattezza delle forze di repressione. Non è un caso che settori di polizia, pur limitati, hanno manifestato la loro solidarietà ai manifestanti e alti gradi dell’esercito hanno comunicato a Trump la loro contrarietà per l’impiego delle Forze armate contro i manifestanti. Le lotte hanno raggiunto un’alta intensità, proprio perché il Covid 19 ha messo in evidenza che gli Stati Uniti non sono il paese delle libertà e dei diritti umani come si vantano, bensì del razzismo e della negazione dei diritti umani. 

Il primo diritto umano sancito dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo scaturita dalla Rivoluzione francese è quello del diritto alla vita, al lavoro, all’istruzione, ecc., diritto che negli USA non è minimamente garantito.

Gli Stati Uniti dopo la crisi del 2007 hanno visto un ridimensionamento della loro potenza economica e politica a livello internazionale, mentre il ruolo della Cina nel mondo, sia livello economico che politico, è notevolmente aumentato, prendendo il posto che fu dell’Unione Sovietica, con una grande differenza: la Cina pur non avendo una potenza militare pari a quella dell’Unione Sovietica ha una potenza economica enormemente superiore, tanto non solo da competere con gli USA e l’Unione Europea, ma di sopravanzarli in alcuni settori e fra questi, quelli dell’innovazione tecnologica e della ricerca scientifica.

La crisi economica del 2007 del modo capitalistico di produzione fondamentalmente non è stata risolta e ogni paese capitalistico ha cercato di scaricare le proprie contraddizioni sugli altri paesi e sui popoli del mondo e, in particolare all’interno dell’Unione Europea, Germania, Olanda Francia l’hanno scaricata sui paesi mediterranei. Con la pandemia e il ridimensionamento delle attività economiche, commerciali e del trasporto aereo la crisi economica si sta aggravando e sta diventando crisi sociale e politica di enorme portata.

In questo contesto, è importante per i comunisti vincere immediatamente la nuova guerra mediatica scatenata contro il socialismo dagli imperialisti, i quali sanno utilizzare il soft power e lo si è visto alla fine degli anni Ottanta del Novecento con l’attacco forsennato di Reagan all’impero del male, attacco andato a buon fine. Questa volta, però, il socialismo è più forte perché dalla sua parte stanno le prove di solidarietà della Cina, del Vietnam, di Cuba verso paesi e popoli colpiti dall’attuale pandemia e di altre malattie, soprattutto in Africa. Vincere la guerra mediatica iniziando a costruire in ogni paese capitalistico e in particolare in Italia un Fronte popolare di salvezza nazionale, sia per ricostruire l’economia dopo la crisi spaventosa che sta avanzando (sulla base di un programma di trasformazione economica e sociale del sistema economico capitalistico), sia per salvare l’unità e l’integrità nazionale messa in discussione negli ultimi tre decenni dalle leggi che hanno stravolto lo spirito e l’essenza della Carta Costituzionale e negli ultimi mesi dai poteri che si sono attribuiti i presidenti delle Giunte regionali, impropriamente chiamati governatori (non lo sono perché l’Italia non è una repubblica federale, ma secondo l’articolo 5 della Costituzione è “una e indivisibile”), grazie anche alle indecisioni e alle debolezze del governo Conte. 

In Italia, al momento esistono due grandi partiti trasversali: il partito americano e quello europeo. Il primo è stato sempre forte dal 1945 e oggi i suoi rappresentanti politici più scoperti sono Salvini e la Meloni (ma in copertura ci sta il movimento di Renzi, settori del PD e Forza Italia). Salvini e la Meloni non è vero che sono sovranisti, come vengono chiamati dal partito europeo, perché non difendono la sovranità nazionale, anzi la stanno sgretolando con l’azione dei presidenti di Giunta regionale a loro legati e con la subordinazione all’imperialismo americano. Sono semplicemente dei reazionari che utilizzano un linguaggio demagogico, apparentemente a favore di settori del popolo, in realtà esprimono gli interessi di una parte della media e piccola borghesia che tende ad essere emarginata dai monopoli e dalle multinazionali, e in ogni caso sono vincolati, come detto, al potere americano. 

L’altro partito trasversale è, come detto, quello europeo, subordinato al disegno egemonico del capitale finanziario con in testa quello tedesco e olandese, nel quale disegno è integrato gran parte del capitale finanziario e monopolistico italiano, che dall’epoca del MEC per proseguire con la CEE e ora con l’UE ha svenduto gli interessi economici nazionali, depredando il Mezzogiorno e la sua agricoltura, inquinando i territori e devastando le città. Questo partito ha il suo nucleo forte nel PD e nei mass media più seguiti ed ora comincia ad avere un seguito in settori dirigenti del Movimento 5 Stelle. 

A livello delle masse, però, esiste un forte movimento critico, il quale, pur votando per il PD o per i 5 Stelle manifesta una forte insoddisfazione verso lo stato di cose presenti e si esprime anche con dirigenti, soprattutto Di Battista e numerosi deputati 5 Stelle, che si oppongono al corso liberista e ai due partiti trasversali. Concordo al riguardo con quanto scrive il compagno Roberto Gabriele che bisogna allargare la frattura che si è aperta in Italia nel fronte liberista ad opera dei 5 Stelle. E’ fra queste masse che bisogna immediatamente intervenire per scardinare i consensi ai due partiti trasversali e sostenere un nuovo corso della politica economica e internazionale dell’Italia, per applicare il Memorandum italo-cinese sulla Nuova Via della Seta e della Salute, per togliere le sanzioni alla Russia e sviluppare i tradizionali rapporti d’amicizia, inaugurati nel gennaio-febbraio del 1960 con la visita del presidente Gronchi a Mosca, nonché per sviluppare rapporti economici e culturali con Cuba, Venezuela, Vietnam, Repubblica Democratica Popolare della Corea, Iran, Paesi arabi e nord-africani.