Alcune riflessioni sulle prospettive dei comunisti in Italia

di Pio De Angelis, PdCI Friuli Venezia Giulia

Dopo la nascita del PRC, il primo banco di prova per i comunisti, consistente nelle elezioni del 1992, indicò che in Italia, solamente il 5,6% dell’elettorato continuava a votare comunista, nonostante il PCI, nelle elezioni del 1987, alla camera, avesse ottenuto il 26,6%.

Tralasciando l’andamento elettorale del PDS, trasformato poi in DS e poi PD, che ci indica comunque, che l’elettorato del PCI è andato via via assottigliandosi (basti pensare che nel 2006 l’Ulivo prendeva i voti che 15 anni prima il PCI prendeva da solo) appare evidente che ancora nel 1996 (anno in cui il PRC ottenne un buon risultato) continuavano a sentirsi comunisti, o comunque a votare comunista, solo una piccola parte dell’elettorato e cioè, circa l’8%.

Dopo la scissione del PRC del 1998 si registrò a livello nazionale un altro calo di consensi del 2% (nel 2001 il PRC si fermò al 5% mentre il PdCI al 1,7%) e dopo il breve recupero, registrato nelle elezioni del 2006 dove PRC e PdCI, assieme raggiunsero l’8,5% (il PdCI prese il 2,7% ed il PRC il 5,8) iniziò il calo inesorabile di consensi, che ha visto il suo apice nelle recenti elezioni politiche.


Questa breve carrellata di risultati elettorali, il cui andamento è parallelo al dato del tesseramento dei due principali partiti comunisti in Italia, è interpretabile mediante la lettura di alcuni fatti, che vanno ricordati per comprendere la situazione e tentare di trovare una soluzione ai problemi di oggi.

1) il crollo del blocco sovietico, è stato tradotto nel nostro Paese (a seguito principalmente dello scioglimento del PCI) nella fine del Comunismo, con un conseguente danno incommensurabile all’immagine e all’idea comunista.

2) l’elettorato comunista, dal 1991 in poi, è andato via via assottigliandosi, mediante lo spostamento di consensi nel non voto ed in alcuni casi, come al nord, a favore di partiti di destra, come la Lega.

3) Al danno, provocato dalla fine dell’URSS e del PCI, si è aggiunto il sistema elettorale maggioritario, che ha polarizzato l’elettorato, mettendolo nella condizione di dover scegliere fra PD o Berlusconi.

4) All’allontanamento dall’idea comunista “perché giudicata sconfitta” da parte di molti elettori, simpatizzanti ed anche militanti, si è aggiunto, a seguito della partecipazione dei comunisti ai governi di centro sinistra, l’allontanamento di un’altra fetta di elettorato che, scontentato dell’azione politica dei comunisti al governo, non si è però rivolto a formazioni comuniste “radicali” (PCL, Sinistra Critica ed altre micro-formazioni) bensì si è limitato a non votare o, come in queste ultime elezioni, a votare (almeno una parte) per Grillo.

5) Le innumerevoli scissioni PRC-PdCI; PRC-PCdL-Sinistra Critica ed infine PRC-SeL, hanno fatto il resto, frazionando un bacino di voti, rimasto sostanzialmente statico negli anni.

Ad invertire questa tendenza, non sono serviti gli esperimenti elettoralistici, fatti con i vari arcobaleno e lista Ingroia, sia perché non sono stati in grado di ridare ai comunisti la credibilità perduta e sia perché sono stati visti solamente come meri esperimenti di ingegneria elettoralistica e come tali, bocciati sonoramente dallo stesso zoccolo duro comunista, da quell’elettorato cioè, convintamente comunista, che però non ha perdonato le bombe su Belgrado, così come quelle sull’Afghanistan, che ha digerito a mala pena il pacchetto Treu, ma non ha sopportato l’indulto, la riforma delle pensioni, l’aumento delle spese militari, la mancata restituzione del fiscal drag (tutte controriforme dei vari governi Prodi) e che oggi, non tollera più l’atteggiamento connivente della CGIL (purtroppo, ancora da molti vista come il sindacato comunista) impegnata più a non disturbare il manovratore, che a difendere gli interessi dei lavoratori.

In sostanza, i comunisti hanno continuato a perdere voti a destra e a sinistra, perché giudicati sconfitti dalla storia ed inutili, sia come partiti di governo, che come partiti di opposizione.

Orbene, se questa è la fotografia della situazione, va detto che si è giunti a questo punto, anche perché, la grande battaglia condotta dal capitale contro le ideologie (con la complicità di una buona fetta dei partiti ancora oggi sedicenti di sinistra, come il PD) ha portato ad una profonda deideologizzazione dell’opinione pubblica e delle stesse classi lavoratrici, le quali, anche a seguito di un ventennio di politiche concertative del sindacato, sono ormai giunte alla determinazione che destra e sinistra, sono concetti superati e privi di fondamento, tanto più, che la Sinistra è ormai da anni, sempre più confusamente ed erroneamente, identificata con il PD.

A questa situazione sconsolante, si è giunti però, non solo a seguito della perdita dei principi ideologici da parte dell’elettorato che un tempo era comunista, ma anche per un altro importante motivo, consistente nel fatto che la globalizzazione e la nascita dell’Unione Europea, hanno elevato di molto il piano di scontro fra classi, cancellandolo addirittura in alcuni casi e convincendo molti lavoratori (e non solo loro) che spesso lo stesso datore di lavoro è da considerarsi una vittima di un sistema economico mondializzato, in cui la crisi economica, viene vista spesso come conseguenza di una mancata competitività del “sistema Italia” e come l’esito di scelte politiche che avrebbero condotto il nostro paese a vivere al di sopra delle proprie possibilità.

Il nemico di classe quindi, non viene più individuato nel padrone, non risiede più nella società borghese e nelle sue sovrastrutture, ma è diventato per molti (anche di sinistra) una figura difficilmente identificabile, individuato ora nel mercato, ora nella concorrenza sleale di altri Paesi (la Cina per es.) ora nel “sistema”, fatto da multinazionali, banche, speculatori economici, governi dell’Unione Europea etc. etc. etc…..

La perdita delle ideologie (dipinte per anni come il male assoluto) e la perdita della figura del nemico di classe, hanno consentito che si sviluppasse quel qualunquismo, che ha fatto sì che le stesse classi lavoratrici, siano diventate preda di sentimenti che vanno dalla rassegnazione nei confronti di una crisi economica, che essendo globale, appare come ineluttabile, al ribellismo con sfaccettature pauperiste, che vede nel nemico, principalmente la “casta” politica senza distinzione alcuna al suo interno.

Le sconfitte riportate dai Comunisti in questi ultimi anni, sono quindi la conseguenza non tanto della forza economica ed organizzativa del sistema capitalista, quanto soprattutto della vittoria culturale che le destre hanno conseguito nel nostro Paese ed in tutta Europa, condizionando anche lo stesso elettorato comunista, per lo più divenuto nel nostro Paese, preda di una lunga ed inesorabile deriva verso destra (si pensi a tutti coloro che 20 anni fa votavano PCI ed ora votano PD) mentre una minoranza di questo elettorato si è rifugiato nel disinteresse, provocato dalla delusione e dalla sensazione di impotenza nei confronti di un sistema globale troppo grande da combattere, o nel ribellismo fine a se stesso, in quanto privo di una visione complessiva di società da costruire.

In una fase così complessa, iniziata quasi 25 anni fa e quindi con ormai 2 generazioni di soggetti privi di coscienza di classe, i Comunisti, privi del blocco socialista di riferimento, incapaci di elaborare una analisi in grado di spiegare le motivazioni del crollo dell’URSS e quindi di produrre una reazione a quella che fu, da tutti noi, vissuta come la sconfitta del secolo, hanno confuso la strategia con la tattica e contro il potente blocco sociale costituito dalle destre, hanno reagito puntando su un unico obiettivo: l’appuntamento elettorale e la rappresentanza istituzionale.

Era inevitabile quindi, che nel momento in cui è venuta meno la fiducia nelle istituzioni, come luogo per cambiare le cose, venisse meno, anche la fiducia in quei partiti (comunisti compresi) giudicati ormai inutili e dannosi per il Paese.

Sorge a questo punto inevitabile la domanda sul che fare, come agire in un contesto sociale e politico notevolmente arretrato, con masse di lavoratori ed un proletariato privi di coscienza di se.

Come dare voce ad un mondo del lavoro frastagliato in decine di tipologie diverse di sfruttamento, dove neanche più la fabbrica è sede di aggregazione, essendo i lavoratori al suo interno, divisi da salari e diritti diversi, nonostante svolgano le stesse mansioni?

Come ridare slancio e forza all’agire politico dei comunisti? Come recuperare un ruolo politico che possa essere visto come utile dalle nostre classi di riferimento, dando loro un modello di società per cui battersi?

Continuare a “studiare” tecniche elettoralistiche basate su alleanze più o meno credibili ed opportune, insistendo quindi in una coazione a ripetere gli errori passati, sembra non solo del tutto inutile ma soprattutto dannoso e quindi credo, che per prima cosa, sia necessario accettare l’idea di dover passare un lungo periodo fuori dalle Istituzioni.

Bisogna tenere a mente infatti che la politica non si fa solamente in parlamento o nei consigli regionali e che si deve tornare a farla sui territori, nelle piazze, fuori dalle scuole e dai luoghi di lavoro, in pochi e senza soldi, come nel ventennio fascista, con un vantaggio ed uno svantaggio, rispetto ad allora: il vantaggio che non si verrà ammazzati, arrestati o mandati al confino e lo svantaggio che rispetto ad allora, i comunisti in Italia sono ancora più deboli, perché privi di efficaci punti di riferimento internazionali.

Per reagire efficacemente, a questa situazione si deve quindi cercare di agire su più fronti:

  1. Si deve innanzi tutto accettare l’idea di un lungo periodo durante il quale i comunisti dovranno lavorare quasi esclusivamente per fare proseliti, formando i nuovi iscritti culturalmente ed ideologicamente, per trasformarli in agenti del comunismo fra le masse.
  2. Si deve tentare di ricostruire un movimento internazionale comunista, che porti a livello continentale la lotta.
  3. Si deve lavorare per la realizzazione di un sindacato di classe, che deve andare oltre la CGIL, portando la voce dei comunisti nel sindacato, dando indicazioni di comportamento omogeneo nel sindacato agli iscritti del partito. In sostanza, i comunisti dovranno lavorare inizialmente, per far nascere una FIOM in ogni categoria (dai tessili ai chimici, dal settore legno alla Pubblica Amministrazione, entrando in blocco, in quest’ultimo caso, in associazioni sindacali autonome, sia per poter agire in modo più efficacie e sia per prenderne il controllo politico) per realizzare infine, una volta acquisita la massa critica sufficiente, la nascita di un nuovo sindacato Comunista.

Per fare tutto questo però, è indispensabile un passaggio intermedio e cioè la realizzazione dell’unità dei comunisti, attraverso la riunificazione del maggior numero possibile di formazioni comuniste dentro un unico partito, in grado di recuperare quel minimo di capacità di organizzazione e di militanza, necessario a poter perseguire gli obiettivi su indicati.

L’unità dei comunisti è quindi il presupposto essenziale! È la conditio sine qua non, per poter rilanciare l’agire politico dei Comunisti i quali, finché resteranno divisi in decine di micro formazioni, in competizione fra loro, non potranno che rischiare di fare la fine dei capponi di Renzo.

Certamente l’obiezione che si può fare a questa visione e cioè alla indispensabile unificazione dei comunisti, è quella che a ben guardare, tutte le varie formazioni comuniste esistenti oggi in Italia, fuoriescono dal fallimento del progetto della Rifondazione Comunista e quindi che il tentativo di rifondazione è già fallito, ma l’errore che c’è stato alla base di questo fallimento e che alla luce dell’esperienza fatta, non deve essere più ripetuto, è consistito nell’organizzazione del PRC.

Il PRC non fu mai un vero Partito Comunista, fu piuttosto una federazione di trotzkisti, stalinisti, leninisti, cossuttiani, movimentisti etc. etc. etc……. stabilmente organizzati fra loro, all’interno di un contenitore chiamato PRC.

Il nuovo Partito Comunista, dovrà quindi essere un partito Marxista organizzato, in cui il centralismo democratico, dovrà consistere nella sintesi delle varie posizioni e non nella dittatura della maggioranza, con gruppi dirigenti nazionali, che dovranno essere espressione dei territori e non delle correnti di pensiero e quindi, con dirigenti eletti direttamente dalla base degli iscritti a livello periferico.

Il nuovo Partito dovrà essere un Partito privo delle categorie che hanno diviso i comunisti del ‘900, un Partito che non veda come morte, le figure storiche del Comunismo, ma che sappia attualizzarle, un Partito che oltre all’analisi, conservi l’approdo strategico Marxista-Leninista, ma che sappia darsi però scelte tattiche nuove e adeguate ai tempi ed ai luoghi in cui opera.

Il partito che dobbiamo far nascere, per poter vedere la luce ha però un grande scoglio da superare, e questo scoglio consiste nei rancori reciproci che bruciano ancora come carne viva fra i pochi militanti ancora impegnati e soprattutto, forse, fra i vari dirigenti……..

Urge quindi, cominciando da noi, un profondo rinnovamento dei vertici, affinché possano tramutarsi in catalizzatori dell’unità dei comunisti, unità che, se è vero che deve nascere dalla base, è altrettanto vero che non può nascere con vertici in lotta fra loro.

Il congresso di luglio, del nostro Partito, costituisce quindi l’occasione per dare il via a questo processo di rinnovamento, non solo dei gruppi dirigenti, ma dell’agire politico e per la concretizzazione di rapporti che consentano la riunificazione con le altre formazioni comuniste.

Senza la realizzazione dell’unità dei Comunisti non c’è futuro e sarebbe un altro grande (e questa volta forse esiziale) errore, quello di pensare che, siccome l’unità dei comunisti richiede tempo e fatica, si possa trovare una scorciatoia mediante la realizzazione di un fantomatico fronte di sinistra.

Senza la creazione di un forte ed unitario Partito Comunista, che sappia interpretare la fase e dare indicazioni di lotta, la strada dell’unità della sinistra, è una scorciatoia senza approdo, che rischia solo di confondere ulteriormente i militanti e dilavare il nostro patrimonio ideologico.

Lo stesso esperimento della Federazione della sinistra è miseramente fallito, perché interpretato in modo diverso dai vari componenti (qualcuno lo vedeva come il primo passo per l’unità dei comunisti, mentre qualcun altro lo vedeva come un passaggio per la realizzazione di un nuovo soggetto unitario della sinistra indifferenziata e qualcun altro ancora come mero contenitore elettorale), e continuare, quindi, a percorrere strade già percorse e che si sono rivelate senza sbocco non è una scelta valida.

Come si possono realizzare alleanze con soggetti diversi, se non si è capaci di riunire quelli simili fra loro? Su quali contenuti realizzare l’unità della sinistra di cui si sente parlare? Per quali obiettivi? Con quali scadenze? Le prossime elezioni europee o quelle Politiche? E per fare che cosa, per realizzare un nuovo cartello che avrà lo spazio e la durata delle prossime elezioni, con i risultati già visti con l’arcobaleno e con la lista Ingroia?

Tentare la costruzione di fronti eterogenei composti da soggetti diversi per prassi e contenuti rischia di essere politicamente mortale per i comunisti.

La fase politica che stiamo vivendo, ci dice che non ci sono scorciatoie e che le alleanze tattiche fra comunisti e socialdemocratici non sono attuabili (anche perché non esistono più i socialdemocratici e perché i rapporti di forza fra noi ed altri soggetti della così detta sinistra, sono a nostro svantaggio).

La fase storica che stiamo vivendo, ci dice peraltro che lo scontro fra capitalismo e proletariato è ormai spostato a livello continentale e che quindi non si modifica la situazione attuale, con politiche di riduzione del danno, per di più perseguite in un solo Paese, ma con l’abbattimento di questo sistema economico e politico europeo.

L’unità dei comunisti in Italia è pertanto il primo passo per la realizzazione di un indispensabile movimento comunista europeo e solo se avremo la consapevolezza che la marcia che ci aspetta è una lunga marcia nel deserto, potremo avere la forza per marciare, altrimenti, basterà un’altra sconfitta elettorale, per vedere quel che resta delle organizzazioni comuniste, sciogliersi come neve al sole.

Questo non significa che i comunisti debbano rinunciare alla loro battaglia a livello nazionale o a battaglie comuni con altri soggetti della sinistra su questo o quel tema, ma deve essere chiaro che i Comunisti Italiani, dovranno rapportarsi sempre di più con gli altri partiti comunisti in Europa ed in Italia, cominciando concretamente ad avviare qui, una fase costituente, durante la quale le varie formazioni comuniste del nostro Paese, devono incontrarsi, organizzarsi e ritornare a lottare assieme, per riunificarsi in un unico nuovo Partito Comunista.

Non è accettabile la permanenza di diversi partiti comunisti in Italia, pena la loro perdita di credibilità non solo a livello nazionale ma anche e soprattutto a livello europeo ed extra europeo… chi oggi può parlare a nome dei Comunisti Italiani, con i leader comunisti Russi, Cinesi o di altre nazioni? Quali impegni può assumere questo o quel leader di questo o quel partito comunista in Italia, con gli altri soggetti comunisti europei?

L’unità dei comunisti, è quindi il passaggio fondamentale, se si vuole ridare alla prospettiva Comunista una speranza per il futuro, ma continuare a declamarla non basta! Bisogna cominciare a perseguirla concretamente ed il congresso di luglio, potrebbe segnare l’avvio di questo processo, attraverso il lancio di una fase costituente, durante la quale i nuovi dirigenti del Partito, potranno e dovranno incontrare i dirigenti delle altre formazioni comuniste, per tornare a parlare, a discutere, a confrontarsi, per concordare ed organizzare forme di lotta assieme, alleanze elettorali (queste si che vanno perseguite) di comunisti riuniti sotto il simbolo comune della falce e martello.

I nuovi dirigenti del PdCI dovranno abbattere per primi gli steccati novecenteschi e cancellare le antiche e recenti divisioni, con l’umiltà di chi sa di non avere la verità in tasca e la consapevolezza che non abbiamo più nulla da perdere!