Unione Europea in crisi profonda

pcp constitucaoda www.avante.pt | Traduzione di Marx21.it

Comunicato della Commissione Politica del Partito Comunista Portoghese (PCP)

Sulle decisioni del Consiglio Europeo

1. Le decisioni della Riunione del Consiglio Europeo del 18 e 19 febbraio sono chiarificatrici del livello di crisi, disaggregazione, assenza di valori e mancanza di legittimità in cui si trova il processo di integrazione capitalista in Europa. Una crisi che sottolinea la necessità e l’urgenza della rottura con un processo di integrazione esausto e sempre più segnato dalle politiche di dominio economico e politico, di regressione sociale e civile, e di crescenti attacchi alla democrazia e alla sovranità dei popoli.

2. I negoziati sulla posizione della Gran Bretagna nell’Unione Europea (il cosiddetto caso “Brexit”) e la “soluzione” trovata dimostrano che di fronte all’aggravamento della crisi economica e sociale in Europa e alle contraddizioni tra potenze che in questo quadro si sviluppano, i dirigenti dell’Unione Europea non hanno altra risposta che quella, da un lato, di tentare di “accomodare” in una rete burocratica gli elementi di disaggregazione dell’Unione Europea, e dall’altro, di approfondire il carattere reazionario delle loro politiche. Le decisioni ora annunciate smentiscono le “libertà” così propagandate dall’Unione Europea. La “libertà di movimenti e circolazione” è al capolinea, come il PCP ha sempre denunciato, mentre la libertà del grande capitale e dei grandi monopoli di non conoscere frontiere nella loro politica e iniziativa di dominio economico, sfruttamento, estorsione e distruzione di diritti e garanzie dei lavoratori nell’Unione Europea è una “libertà” riaffermata e approfondita ora nel pacchetto negoziale sulla “competitività.

Il PCP richiama l’attenzione sulla gravità delle decisioni assunte nell’ambito dei pacchetti del negoziato sulla competitività, i benefici sociali e la libertà dei movimenti. Il loro contenuto, come anche la soluzione istituzionale trovata per la loro applicazione – con la prevista revisione della legislazione dell’Unione Europea e degli stessi trattati, per ciò che concerne la libertà di circolazione e i diritti sociali e del lavoro – rappresentano un attacco diretto ai redditi dei lavoratori in particolare degli emigrati, aprono la strada all’approfondimento del dumping sociale e al ritiro dei benefici sociali a tutti i lavoratori e, infine, istituzionalizzano nella cosiddetta “legge dell’unione” la discriminazione dei lavoratori e dei cittadini in base alla loro nazionalità e condizione sociale. Si tratta di una deriva reazionaria e xenofoba che fa piazza pulita di qualsiasi propaganda dell’Unione Europea sulla “libertà”, la “coesione” e la “tolleranza”. Argomentare, come fa il governo portoghese, sulle presunte salvaguardie e i termini di implementazione, è tentare di mitigare ciò che, per la sua freddezza e gravità, è impossibile mitigare.

La discussione e le decisioni ora assunte dalle istituzioni dell’Unione Europea e dal governo britannico dimostrano chiaramente che il referendum in Gran Bretagna è visto come uno strumento per gestire contraddizioni e per tentare di imbiancare la deriva nazionalista reazionaria delle classi dominanti britanniche con il beneplacito, ora confermato, delle istituzioni dell’Unione Europea e dei governi che siedono nel Consiglio Europeo. Il contenuto e la forma delle decisioni confermano che attorno al referendum britannico si è sviluppata e si svilupperà, ora con maggiore intensità, un’inaccettabile tela di ricatti e pressioni sul popolo britannico che mira a condizionare la libera espressione della sua volontà sovrana.

Sebbene ci troviamo di fronte a una farsa e a un’inaccettabile deriva reazionaria, che si propone di contenere elementi essenziali della crisi profonda del processo di integrazione capitalista, il processo di negoziazione dimostra che, quando si tratta di andare incontro agli interessi del grande capitale finanziario, di dirimere contraddizioni tra potenze economiche e salvare i loro meccanismi sovranazionali di dominio politico ed economico – come l’euro e i meccanismi previsti nell’Unione Bancaria -, i trattati e la legislazione dell’Unione Europea sono passibili di essere alterati e addirittura sovvertiti. La “flessibilità” dimostrata ora nel caso “Brexit” contrasta con l’inaccettabile rigidità e immobilità di fronte alla gravissima crisi sociale e alle pressioni e ricatti che continuano ad essere diretti contro paesi come il Portogallo, come è risultato ben evidente nella discussione sul Bilancio di Stato 2016.

Indipendentemente dalla loro natura e contraddizioni, le decisioni assunte si concludono con il mito dell’impossibilità dell’aggiustamento dello statuto di ogni Stato-membro in considerazione delle sue specificità nazionali e della volontà del suo popolo, stabilendo se necessario le necessarie deroghe, eccezioni e salvaguardie specifiche alle politiche comuni, al mercato interno, ai trattati – la possibilità della cui reversibilità ora sarebbe doveroso tradurre nella pratica –, ai patti e alle altre leggi dell’Unione Europea.

3. Il PCP mette in guardia rispetto all’approvazione delle raccomandazioni della Zona Euro da parte del Consiglio Europeo nell’ambito del processo del Semestre Europeo e sottolinea che il loro orientamento politico conferma la prosecuzione del percorso di distruzione dei sistemi produttivi, di disinvestimento, di attacchi ai diritti sociali e del lavoro, di concentrazione e centralizzazione del capitale, e di impoverimento delle masse lavoratrici e popolari, rendendo in tal modo impossibile qualsiasi strategia di rilancio della crescita economica.

4. Le decisioni del Consiglio rispetto alle migrazioni chiarificano, in forma esplicita e spudorata, l’essenza della politica della migrazione dell’Unione Europea: la chiusura delle frontiere esterne e l’espulsione di tutti quanti riescano a raggiungere il territorio dell’Unione Europea.

Le conclusioni del Consiglio non solo sanciscono le peggiori pratiche, che a parole i responsabili delle istituzioni dell’UE deplorano, ma propongono una visione e una soluzione militarista e militarizzata per un problema umanitario. Ne è esempio la soddisfazione del Consiglio Europeo per l’intervento della NATO, in particolare nel Mar Egeo, in stretta collaborazione con FRONTEX, e la richiesta che la Turchia prenda altre misure per bloccare l’attraversamento e contenere il flusso migratorio. Tali decisioni sono profondamente contrarie al diritto internazionale, che protegge e conferisce diritti ai rifugiati e ai richiedenti asilo, e fanno intravvedere una criminale azione marittima da cui potrebbero risultare migliaia di vittime. In tale quadro, il PCP esprime la sua frontale opposizione alla decisione del governo portoghese di collaborare con la missione della NATO nel Mar Egeo e anche alla posizione espressa del Primo Ministro (del Partito Socialista), di concordanza con la creazione della cosiddetta “Guardia Costiera Europea”.

La politica sulla migrazione, che è ora freddamente riaffermata e sistematizzata, non riconosce né diritti né scuole per i rifugiati, anche a quelli che riescano a chiedere asilo, in particolare per via della “carta blu”, con cui gli stati-membri eserciteranno il loro potere discrezionale, trasformando quello che dovrebbe essere un obbligo di legge di sostegno umanitario in un sistema di importazione selettiva di manodopera a basso costo e qualificata, privilegiando quelli che siano più altamente qualificati.

E’ questa la politica di “solidarietà” che l’UE attua per rispondere alla cosiddetta crisi migratoria, un dramma umanitario con milioni di rifugiati nel Nord Africa e nel Medio Oriente, che alimenta l’esodo di centinaia di migliaia di persone che cercano in Europa la fuga dalla fame, dalla miseria, dalla persecuzione e dalla guerra. Una tempesta che è il risultato diretto dell’azione interventista dell’UE, in collaborazione con gli USA e la NATO, con le loro politiche di ingerenza e aggressione militare in diversi conflitti in quelle regioni, tra cui si distinguono gli interventi in Libia, in Siria, in Iraq e in Afghanistan. Criminali politiche neo-coloniali che mirano alla destabilizzazione del mondo arabo e al controllo geo-strategico ed economico di quelle regioni.