di Javier Parra, Segretario generale del Partito Comunista del Paese Valenciano
Traduzione di Giulia Salomoni per Marx21.it
Nel 1976 la riunione plenaria del Comitato Centrale del Partito Comunista di Spagna (PCE) decise di eliminare la struttura dell’organizzazione basata sulle sue cellule di base e riorganizzò i suoi militanti in raggruppamenti di carattere territoriale, il che in pratica significava la dissoluzione di tutta la struttura nelle imprese, nell’esercito, nelle organizzazioni di massa; una decisione che facilitava la sua legalizzazione e disattivava il pericolo della vera forza del PCE per il nuovo regime. Le cellule del PCE erano piccoli gruppi coesi e con un’intensa vita politica, strettamente vincolati ad un settore sociale o vicino ai luoghi di lavoro. Questo permetteva un’interlocuzione e un’azione diretta con la classe operaia il che spiega la straordinaria forza del partito comunista nel movimento operaio, da cui attingeva anche la maggior parte dei suoi militanti.
Da allora i militanti che entrano nel Partito Comunista lo fanno fondamentalmente perché si sentono comunisti e sono convinti che il Partito Comunista è il luogo dove devono organizzarsi. I nuovi e le nuove militanti non provengono, tuttavia, dall’azione e l’esempio del Partito nel conflitto lavorativo (in alcuni casi sì); nei centri del lavoro, lì dove il partito dovrebbe essere interlocutore diretto con la classe lavoratrice, di cui dovrebbe nutrirsi continuamente, e che dovrebbe contribuire ad organizzare di fronte agli incessanti attacchi che quotidianamente subisce.
L’offensiva contro la classe lavoratrice è un’offensiva fatta di riduzione di stipendi e salari, di aumento della giornata lavorativa, della generalizzazione della precarietà, della facilitazione e dell’arbitrarietà del licenziamento, degli attacchi contro la negoziazione collettiva e, in definitiva, dell’indebolimento del lavoro di fronte al capitale.
Durante questi decenni si sono susseguiti cambiamenti al diritto del lavoro, riforme che hanno portato a liquidare a poco a poco i diritti e hanno indebolito la classe lavoratrice. Pertanto, di fronte all’imposizione di misure che aumentano lo sfruttamento nelle imprese è necessario rispondere organizzando i lavoratori e le lavoratrici nei luoghi di lavoro.
Il compito strategico del PCE deve essere l’organizzazione e la visibilità nei luoghi del lavoro come garanzia che esistano anche organizzazioni rappresentative dei lavoratori più forti e affidabili. È qui dove si producono giorno per giorno le lotte che si succedono e dove si producono gli attacchi più violenti contro i lavoratori e le lavoratrici. Dev’essere, quindi, il principale fronte di lotta.
È fondamentale che il Partito Comunista cominci a estrarre la sua militanza fondamentalmente dai luoghi di lavoro attraverso la sua azione in essi, e organizzarsi per questo fine, essendo cosciente della diversità delle situazioni dei lavoratori e delle lavoratrici, specialmente dei precari, a cui risulta più complicato riuscire ad organizzarsi.
È necessario fare un’analisi corretta della società in cui viviamo, di qual è il comportamento e quali sono le trasformazioni della classe operaia, per incominciare a fare passi avanti. E in questo senso, lo studio delle analisi come quelle di Daniel Lacalle (“La classe operaia in Spagna. Continuità, trasformazione, cambiamenti”, “Lavoratori precari, lavoratori senza diritti”, “Conflittualità e crisi”, edita dalla FIM e El Viejo Topo) ricopre una particolare importanza.
È certo che la classe operaia nel XXI secolo non ha molto a che vedere con quella di un secolo fa, ma questo non vuol dire che la classe operaia non esista, ma solo che si è trasformata. Per esempio, questo antagonismo tra quelli che erano i padroni della produzione e quelli che erano quelli che lavoravano e generavano il plusvalore, e dove il conflitto si produceva tra entrambi, è mutato in una nuova realtà. Dove da un lato stanno i proprietari dei mezzi di produzione, e dall’altro una classe operaia divisa, in parte a causa del nuovo modello produttivo, e in parte per la divisione tra gli impiegati con un contratto più stabile e i salari più alti e i lavoratori precari con una retribuzione peggiore.
C’è un paragrafo nel Manifesto del Partito Comunista (1848) che segnala che il lavoro salariato presuppone obbligatoriamente la competizione dei lavoratori tra loro, ma invece di portare i lavoratori ad isolarsi e scontrarsi, quello che hanno fatto i progressi dell’industria è stato di portarli ad unirsi ed organizzarsi.
Questo è cambiato oggi, e pare che la competizione tra gli stessi lavoratori sia superiore alla loro capacità di organizzarsi e unirsi, proprio perché le trasformazioni del processo produttivo hanno modificato anche la composizione stessa della classe lavoratrice e la sua forma di partecipazione all’interno del sistema produttivo.
Per esempio il settore dell’industria in Spagna negli anni ’70 era di un 35% e oggi è del 17%, mentre i settori dei servizi sono passati dal 46% al 72%.
Il fatto è che la radicale trasformazione del modello produttivo non è stata accompagnata dalla trasformazione necessaria nelle organizzazioni di classe, che sono andate nella direzione opposta. Per questo quando per esempio si convoca uno sciopero generale questo ha successo fondamentalmente nell’industria, eppure nelle strade delle città le imprese e i negozi continuano a funzionare con relativa normalità.
In definitiva, né le condizioni dei lavoratori del settore pubblico né le loro organizzazioni, o quelle dei lavoratori dell’industria sono uguali a quelle dei lavoratori e delle lavoratrici del settore dei servizi nell’impresa privata, siano di un centro commerciale, una catena di ristoranti, di vestiti, o il negozio o il bar all’angolo.
È importante quindi partire da analisi corrette sulla situazione della classe lavoratrice oggi, per affrontare con successo i compiti politici e organizzativi futuri del Partito Comunista nei luoghi di lavoro. Questi compiti devono essere strettamente legati alla strategia di comunicazione, attraverso la quale è fondamentale che il PCE sia capace di far giungere ogni volta a più lavoratori e lavoratrici le posizioni e le consegne del Partito perché essi le facciano proprie. E inoltre, che la comunicazione proceda in un doppio senso, tra lavoratori e Partito. In questo senso Mundo Obrero (giornale del PCE) deve riformulare i suoi concetti e il suo formato, questione a cui più avanti si dedicherà un brano con alcune brevi riflessioni su come raggiungere centinaia di migliaia di persone con la stampa del Partto.
Poi dobbiamo tenere presente che la capacità di organizzazione dei e delle comuniste nei luoghi di lavoro si ripercuoterà direttamente sull’influenza dei comunisti nelle strutture sindacali. Nella situazione attuale, anche se tutti i militanti del Partito fossero affiliati allo stesso sindacato, saremmo incapaci di esservi decisivi nell’insieme della classe lavoratrice, per cui è fondamentale legare la strategia futura – anche sul terreno sindacale – all’organizzazione del Partito nel conflitto capitale-lavoro.