Editoriale di “Avante!”, settimanale del Partito Comunista Portoghese | Traduzione a cura di Marx21.it
20 anni fa, in conseguenza della scomparsa dell’Unione Sovietica, il capitalismo dominante, attraverso i suoi media e i suoi ideologi, aveva decretato, trionfante, la “fine del comunismo” e la vittoria assoluta e definitiva del capitalismo. Era, raccontavano, la “fine della Storia”.
In quello stesso tempo, qui in Portogallo i media del borgo, trascinati dall’euforia generale, profetizzavano la “morte del PCP”, annunciata in alcuni casi come certa nel giro di settimane o mesi, e in un caso concreto presentata persino come fatto già compiuto: “Il PCP è morto ieri”, scriveva allora un politologo noto dalle nostre parti, nel frattempo scomparso.
E’ certo che, da allora a oggi, i proprietari del media nazionali – attraverso gli stessi media o per mezzo dei loro uomini di fiducia nei governi che si sono succeduti – hanno fatto tutto quello che potevano perché la profezia si concretizzasse. E andava bene tutto: dalle leggi antidemocratiche e anticostituzionali dei partiti e del loro finanziamento fino all’azione dei media dominanti con le ripetute ondate di menzogne, calunnie, falsificazioni, manipolazioni, silenzi, sulla vita, l’attività e le proposte del PCP – e sempre con lo zelo e i modi del servo che deve dimostrare la sua obbedienza al signore, ripetendo all’infinito la profezia necrologica.
Di modo che, se dovessimo guardare i mezzi e i metodi utilizzati dall’offensiva anticomunista e l’intensità che ha raggiunto, il PCP non dovrebbe più esistere già da molto tempo.
Ma esiste. E, in questo caso soprattutto, giustificando pienamente la nota parola d’ordine “Così si vede la forza del PC”. Ed ecco, come era prevedibile, che ci troviamo davanti un partito con un’intera storia di lotta che, in ogni circostanza, assolve al ruolo che gli è stato storicamente assegnato, che occupa il posto che gli compete nella difesa degli interessi dei lavoratori, del popolo e del Paese.
Prova inequivocabile di ciò – una tra le molte altre in questi due decenni – è la manifestazione del 26 maggio a Lisbona, dopo l’altra a Porto, svoltasi due settimane prima, che costituiscono entrambe manifestazioni significative della capacità di intervento, della forza e dell’organizzazione del PCP e della disponibilità alla lotta del collettivo di partito dei comunisti.
Erano più di trentamila gli uomini, le donne e i giovani – militanti e non militanti comunisti – che, rispondendo all’appello del PCP, hanno sfilato a Lisbona.
E non si trovavano lì per effetto di una qualche indignazione passeggera o esibizione folkloristica, che fanno la gioia dei media dominanti e dei loro proprietari.
Erano lì sapendo perché e per che cosa. Erano lì, in un clima combattivo e di allegria, per affermare quello che hanno affermato, gridare quello che hanno gridato, cantare quello che hanno cantato: per dire, alto e forte, “no!” alla politica antipatriottica e di destra e al suo famigerato patto di aggressione; per dire che non accettano di vedere il Paese condotto verso la rovina e il disastro e l’indipendenza e la sovranità nazionali consegnate nelle grinfie dei principali nemici del Portogallo; per dire che respingono la concentrazione della ricchezza nelle casse del grande capitale a costo delle ingiustizie sociali che flagellano l’immensa maggioranza dei portoghesi con problemi, difficoltà, povertà, miseria, fame.
Erano lì per dire che esiste un’alternativa a questa politica di dilapidazione del Paese e del popolo e che, come ha affermato il Segretario generale del PCP, questa alternativa passa, soprattutto, attraverso il rifiuto del patto di aggressione e l’immediata rinegoziazione del debito pubblico, nei suoi importi, tassi di interesse e scadenze; passa attraverso la nazionalizzazione della banca, rimettendo nelle mani dello Stato uno strumento essenziale per lo sviluppo economico e il sostegno alle piccole e medie imprese; passa attraverso il sostegno alla produzione nazionale e la difesa efficace dell’apparato produttivo; passa attraverso la valorizzazione dei salari e delle pensioni (con l’aumento immediato del salario minimo nazionale e delle pensioni), indispensabile allo sviluppo del mercato interno e alla crescita della domanda interna; passa attraverso la sospensione immediata del processo di privatizzazioni e l’adozione di misure per il recupero del controllo pubblico nelle imprese e nei settori strategici come quello dell’energia; passa attraverso la difesa e il rispetto della Costituzione della Repubblica.
Erano lì per dire che è con la lotta che la politica antipatriottica e di destra sarà sconfitta e una politica patriottica e di sinistra sarà conquistata – e che, proprio per questo, la lotta continua.
E’ per questa ragione che erano in così tanti a lottare lì; è perché c’era il PCP – vivo e ben vivo! – a trovarsi lì, che nessun giornale ha dedicato la prima pagina alla manifestazione, e persino quelli (pochi) che l’hanno menzionata nelle pagine interne, l’hanno liquidata con mezza dozzina di righe, alludendo ad “alcune centinaia di persone che si sono riunite nella Piazza dei Restauradores”.
Insistiamo: è di lotta il tempo che viviamo. Così è stato e così continuerà ad essere: in tutto il Paese, nelle imprese e nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nei campi e nelle strade, la lotta delle masse lavoratrici e popolari avanza con forza e partecipazione crescenti, ingrossando la corrente dell’indignazione e della protesta contro il corso di sfruttamento e disastro della politica del patto di aggressione. E poiché è nella lotta che si trova la strada per il superamento della situazione creata dalla politica di destra, è necessario che essa sia sempre più forte.
Di qui l’importanza delle giornate di lotta convocate dalla CGTP-IN per i giorni 9 e 16 giugno prossimi, a Porto e a Lisbona, per la cui organizzazione il collettivo di partito dei comunisti darà, come sempre, il suo contributo determinante.