da http://inter.kke.gr/IntAct/int-meet/ecm2012/ecm2012-belgiumwp-en
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Incontro Comunista europeo – Bruxelles 01-02 ottobre 2012
Da quando ci siamo incontrati qui, nell’aprile 2011, la crisi del sistema capitalista mondiale si è approfondita. Dopo alcune effimere speranze di ripresa, l’economia dei paesi capitalisti più evoluti affonda di nuovo in una recessione. Al cuore di questa crisi vi è l’Unione europea. Molti osservatori hanno già annunciato lo scoppio imminente della zona euro, l’espulsione della Grecia o il distacco della Germania, portando così al crollo della stessa Unione europea. Si sono visti anche recentemente tre dei più grandi speculatori mondiali, Rothschild, Paulson e Soros, scommettere alcuni miliardi sullo scoppio dell’euro.
Ma ciò che allo stesso tempo può essere constatato è che i grandi monopoli europei si battono con tutti i mezzi per la sopravvivenza della costruzione europea. Non lo fanno invece per l’adozione di misure radicali contro la speculazione, perché questo equivarrebbe a perturbare la sacrosanta libertà dei mercati. Con tutti i mezzi, che significa rafforzare globalmente l’unificazione di bilancio, quella economica e politica. Più è profonda la crisi, più rapidamente si costruisce la sovrastruttura europea. In nessun altro momento della costruzione europea si sono visti la Commissione ed il Consiglio, due organi non eletti, attribuirsi così tanti poteri in poco tempo. Dal nostro ultimo incontro nel 2011, si sono dati tre strumenti aggiuntivi per dissanguare i lavoratori europei: il Patto di bilancio, il Six-pack [*] ed il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance. Il prossimo consiglio, che si terrà proprio qui il 20 e 21 ottobre, discuterà come far entrare tutto questo in un ministero delle Finanze dell’Unione. Così, ci stiamo velocemente indirizzando verso quell’unione politica tanto desiderata dalla Germania. Recentemente, il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha parlato a favore della transizione da un conglomerato di Stati nazionali ad una forma di confederazione europea, tappa che precede uno Stato federale europeo.
Certamente, è probabile che la crisi e la rivolta delle masse mettano dei granelli di sabbia in questi ingranaggi. Ma ciò che è certo, è che siamo di fronte ad un avversario che non è più nazionale, bensì che pensa e agisce a livello continentale. Anche se ci sono profondi divari in termini di potere economico tra il nord ed il sud, da un lato, e tra l’occidente e l’oriente dall’altro, la concentrazione e centralizzazione del capitale non si realizza più a livello nazionale, ma innanzi tutto a livello europeo. Così, le crisi del 1973 e del 2008 hanno fatto saltare in aria ciò che restava del cosiddetto capitale nazionale in Belgio. La holding Société Générale, nata con lo Stato belga e che si è ingrassata grazie all’estorsione coloniale delle ricchezze del Congo, è stata divorata da avvoltoi più crudeli di lei. L’intoccabile Générale de Banque, fusasi nel corso di più di 150 anni con l’industria nazionale belga e che valeva tre volte il PIL nazionale, è stata inghiottita come un digestivo dalla banca francese BNP-Paribas. In compenso, abbiamo appena appreso che l’uomo più ricco di Francia, la quarta fortuna mondiale, prenderà la nazionalità belga e verrà ad abitare a Bruxelles per sfuggire alle tasse in Francia. In sintesi, lo ripeto, siamo di fronte ad un nemico che riflette e agisce a livello del continente europeo.
Marx ci ha consegnato questa lezione sul materialismo storico: la sovrastruttura segue inevitabilmente lo sviluppo dell’infrastruttura. Con la concentrazione e la centralizzazione del capitale a livello europeo, la grande borghesia europea si batte per costruire il proprio Stato europeo. Uno Stato imperialista, maggiormente in grado rispetto l’attuale mosaico di nazioni di difendere gli interessi del grande capitale su scala mondiale. L’apparizione, accanto ai vecchi competitori Stati Uniti e Giappone, dei paesi emergenti con la Cina in testa, ha raddoppiato la foga dell’UE nel salvare l’euro e la costruzione europea. Il semplice fatto che la vecchia Europa debba elemosinare l’aiuto finanziario alla Cina è rivelatore dei nuovi rapporti forza. L’Unione europea è una competitiva macchina da guerra contro i popoli e un alleato degli Stati Uniti per il dominio del mondo. Questo carattere imperialistico della costruzione europea è sostenuto da tutti i partiti borghesi, cosa che non impedisce ad alcuni di giocare la carta del nazionalismo per dividere la classe operaia e le masse. Ne abbiamo un buon esempio qui da noi, con i partiti nazionalisti fiamminghi che vogliono la pura e semplice divisione del Belgio.
Se la zona euro e l’Unione europea si spaccheranno o esploderanno, sarà perché le masse non sopportano più i tagli draconiani imposti dall’Unione europea. Le diverse manifestazioni e scioperi della settimana scorsa in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia mostrano che ci sono dei limiti alle sofferenze imposte. La soglia di tolleranza della popolazione è in via di superamento in Grecia, in Portogallo, in Spagna e presto in Italia. Branche intere dell’economia nazionale vengono smantellate per rimborsare le banche. La disoccupazione raggiunge più del 25% in paesi come Grecia e Spagna e più del 50% tra i giovani. Parecchie generazioni vengono sacrificate sull’altare del profitto, senza la prospettiva di una vita decente. Tutti i sedicenti rimedi aggravano la situazione economica e sociale e fanno montare la collera delle masse nella maggior parte dei paesi europei.
In questo contesto, estremamente critico per la borghesia europea, va posta la questione della strategia dei partiti comunisti. I partiti comunisti si trovano all’avanguardia della mobilitazione in difesa delle conquiste sociali, dei servizi collettivi e del potere di acquisto dei lavoratori, dei beneficiari di sussidi sociali e delle loro famiglie. Dovunque, puntiamo il dito sull’origine profonda di questa crisi, il sistema capitalista, e mostriamo che l’unica via d’uscita a questa barbarie è il socialismo. Tuttavia, è gioco forza constatare che esistono tre strategie differenti – al di fuori di quella proposta dal Partito della Sinistra Europea – che tra noi coesistono sull’atteggiamento rispetto all’Unione europea e particolarmente sulla parola d’ordine della sovranità nazionale. Ci sono dei partiti che difendono il ritorno o il rafforzamento della sovranità nazionale come rivendicazione intermedia, per creare migliori condizioni per la rivoluzione socialista. Ci sono partiti che rigettano la sovranità nazionale come parola d’ordine sotto il capitalismo, ma che concepiscono la rivoluzione a livello nazionale come mezzo per uscire dell’Unione europea e costruire un’altra Europa. Desidero chiarificare la terza posizione, probabilmente minoritaria, che è la nostra.
Lo faccio con l’ausilio di un esempio. Il nostro partito conduce da anni una campagna contro l’austerità ed i tagli di bilancio, diffondendo come alternativa diretta una tassa sulle fortune, che potrebbe recuperare 8 miliardi di euro o il 2% del PIL. Per porre l’accento sul fatto che questa tassa toccherebbe solamente il 2% della popolazione più ricca, l’abbiamo chiamata “tassa dei milionari”. La campagna ritorna alla ribalta ogni volta che sono decise misure antipopolari, così che la locuzione “tassa dei milionari” è diventata un concetto della stampa nazionale. È stato al centro delle discussioni nelle masse e nei media quando il signor Bernard Arnault, prima fortuna della Francia, ha chiesto la nazionalità belga per evitare le tasse e pianificare la sua successione senza che lo Stato francese si intrometta. Bisogna sapere che il Belgio è considerato dall’OCSE come le Isole Cayman, per i suoi benefici fiscali in favore dei capitalisti e dei ricchi.
Da parte dei partiti borghesi, ci si fa spesso questa obiezione: sì, ma negli ultimi venti anni tutti gli altri paesi dell’Europa hanno liquidato progressivamente la tassa sulla ricchezza. La sola eccezione è la Francia e vedete cosa succede: tutti i ricchi fuggono con le loro ricchezze. Abbiamo sempre risposto: il solo modo di rimediare a questo è reintrodurla dovunque in Europa, e tocca a noi in Belgio dare l’esempio. Allora perché, e mi rivolgo ai partiti presenti, non lanciare una campagna in questo senso in tutta Europa? Fate il conto: il 2% del PIL dovunque, ora ammassato nei forzieri dei ricchi, potrebbe alleggerire molto la sofferenza delle masse popolari. Fino ad ora, non c’è nulla nel Trattato di Lisbona, nella costituzione europea, che vada contro all’imposizione di tale misura a livello nazionale. Per il nostro partito, però, si tratta di andare più lontano. Perché non contrapporre a livello europeo queste misure ai memorandum, ai dictat di bilancio, agli ordini di privatizzazione, agli attacchi alle pensioni?
Alcuni avanzeranno delle obiezioni.
– Questa non è la via riformistica del Partito della Sinistra Europea che propone “un’altra Europa”? Siamo chiari compagni, non abbiamo nessuna illusione che lo Stato europeo in costruzione sia riformabile. Non crediamo in “un’altra Europa” sotto il capitalismo, così come non crediamo in “un altro Belgio” sotto il capitalismo. Solamente, pensiamo che non ci sia differenza qualitativa tra i caratteri borghesi ed imperialistici dello Stato nazionale ed il carattere dello Stato europeo in via di costruzione. Non dimentichiamo che la costruzione di questo Stato europeo si fa unicamente grazie alla piena volontà di tutti i partiti borghesi, socialdemocratici, nazionalisti ed ecologisti.
– No, questa non è la via riformista di un’Unione europea capitalista “democratica e sociale”. Ma dal punto di vista strategico, escludiamo che la rivoluzione socialista si farà unicamente in Belgio o in un altro paese isolato del continente europeo. Pensiamo che la rivoluzione socialista sarà fatta da almeno una parte del continente. Pensiamo che la rivoluzione socialista fronteggerà un nemico organizzato a livello dell’intero del continente o di alcune sue parti. Difendiamo il punto di vista per cui dovremmo orientarci verso questo futuro e non su un ritorno indietro alla sovranità nazionale del diciannovesimo secolo.
– Questo formulare rivendicazioni nei confronti dell’Unione europea non equivale allora ad accettare l’UE come Stato reazionario? No, questo non è accettarlo ma partire dal fatto che esso esiste e che non sparirà realmente senza una rivoluzione socialista, senza la sua sostituzione con una federazione dei paesi socialisti d’Europa. Anche se ci sono delle incrinature, queste non serviranno a tornare agli stati-nazione come esistevano prima del Trattato di Roma. Perché dunque non abituarsi a pensare ed agire a livello continentale come fanno i padroni, le borghesie… fino al PSE?
– Abbiamo ogni interesse ad unificare gli obiettivi di lotta contro lo Stato europeo in costruzione. Ogni rivendicazione immediata può sempre andare in due direzioni: o verso una coscientizzazione e organizzazione delle masse, per farle avanzare e accompagnarle nella lotta e nella prospettiva della rivoluzione socialista; o verso una diffusione di illusioni tentando di mitigare le contraddizioni del capitalismo. Come per la sfera nazionale, non crediamo che si debba cessare di porre rivendicazioni immediate, non solo difensive ma anche offensive, per paura che ciò conduca a una via riformistica.
Certo il terreno privilegiato e la responsabilità di ogni partito comunista si trovano in primo luogo nel proprio paese. Lì è radicato, ne conosce le particolarità e ha il potere di agire e organizzare l’avanguardia e le masse. Ma non saremmo già più avanti nello sviluppo della collaborazione pratica a livello europeo se avessimo la convinzione che “la lotta finale” non avverrà solamente nel nostro paese ma in almeno una parte del continente?
Lavoriamo da sette anni agli incontri con quattro partiti comunisti dei paesi vicini, quello di Germania, dei Paesi Bassi, del Lussemburgo e del Belgio. Lavoriamo al tempo stesso all’unificazione politica e alla collaborazione pratica. Teniamo ogni anno una conferenza intorno ad uno specifico tema, pubblichiamo comunicati e dossier comuni, organizziamo il lavoro militante comune nelle manifestazioni europee a Bruxelles o in Lussemburgo. Intendo dire che ci sforziamo di lavorare nella stessa direzione strategica e che questo ci permette di apprendere e di avanzare più rapidamente. Ci si può anche chiedere del resto, se le ripercussioni internazionali delle lotte e manifestazioni in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e Francia non sarebbero molto più grandi se i lavoratori potessero unificarsi intorno a parole d’ordine europee comuni?
Anche se le divergenze sulla via e la tattica da seguire per la rivoluzione socialista persisteranno, pensiamo che trarremmo beneficio dall’avanzamento verso un maggiore lavoro pratico comune, dallo sviluppare campagne comuni e, perché no, dal riflettere già riguardo un approccio comune per le elezioni europee del 2014.
Ecco alcune delle questioni che volevamo sottoporvi.
Jo Cottenier, membro dell’Ufficio del Partito del Lavoro di Belgio (PTB)
[*] http://www.europarl.it/view/it/questo_mese_al_pe/crisi_europei/six_pack.html