Il XX congresso del Partito Comunista di Spagna deve essere storico

parra pcedi Javier Parra, Segretario generale del Partito Comunista del Paese Valenciano (PCPV)

da contraofensiva.com

Traduzione di Giulia Salomoni per Marx21.it

Nel 2015 sono passati 100 anni dalla Conferenza di Zimmerwald, probabilmente la riunione più importante della storia del Socialismo. La conferenza dibatté la posizione dei socialisti di fronte alla guerra mondiale e lo fece in un contesto nel quale la Seconda Internazionale si stava dividendo: la maggioranza dei socialisti si erano alleati con la borghesia per sostenere gli sforzi di guerra dei loro paesi contro la solidarietà di classe internazionale. Nella conferenza, quella che fu chiamata la “sinistra di Zimmerwald” con Lenin in testa. espresse la sua posizione sulla guerra, indicando che questa era un modo per promuovere l’imperialismo e sostenendo la rivoluzione contro la guerra. Quella conferenza è stata il germe della Rivoluzione d’Ottobre, dei partiti comunisti e della Terza Internazionale .

Oggi, all’inizio del 2016, e a un anno dalla commemorazione del centenario della Rivoluzione del 1917, il mondo è nuovamente immerso nella guerra, e in mezzo ad un’offensiva internazionale dell’imperialismo che sta costando la vite di milioni di persone e costringendo decine e decine di milioni di persone a fuggire dai loro paesi, con un aumento pericoloso del fascismo e della xenofobia, e una sinistra ancora divisa tra chi si allinea con l’imperialismo e i suoi governi e chi si allinea con la classe operaia mondiale e governi popolari.

In questo contesto si pone con sempre maggiore urgenza il dibattito sul ruolo dei rivoluzionari di tutto il mondo in generale e dei partiti comunisti, in particolare, anche nel nostro paese.

La Spagna vive ora, dopo quasi nove anni di una delle maggiori crisi del capitalismo, un declino inarrestabile dei diritti e delle libertà, e un’offensiva totale contro le organizzazioni di classe.

Spetta ai comunisti spagnoli fare una profonda riflessione sulle ragioni per le quali nella maggior crisi capitalistica degli ultimi decenni non sono stati in grado di influenzare in modo decisivo, ponendo all’offensiva la classe operaia e le classi popolari.

Tuttavia , questa riflessione non può limitarsi ad analizzare solo gli eventi degli ultimi mesi o anni, ma dobbiamo analizzare i motivi per i quali fin dai primi anni ’80 non solo vi sono stati progressi per la classe operaia ma, nel caso del nostro paese, non si sia ancora stati in grado di fermare l’offensiva neoliberista dei governi successivi di PSOE e PP .

Le ragioni vanno ben al di là di quelle che possono essere evidenziate dalle analisi di ciò che è accaduto in Spagna negli ultimi decenni, e hanno molto a che fare con la trasformazione ideologica e organizzativa che hanno subito le organizzazioni comuniste a partire dagli anni 60-70, e la trasformazione subita dalla classe operaia stessa.

In questo senso, il PCE ha ancora in sospeso un proprio conto, con le sue luci e ombre, con i suoi successi e fallimenti, delle decisioni prese lungo quel periodo chiamato “transizione” e l’influenza che ebbero nei decenni successivi e nel consolidamento di quello che si è venuto a chiamare “Regime del 78”.

Si parla spesso del “Regime del 78” senza caratterizzarlo e analizzarlo in maniera dialettica, senza tener conto che questo non era lo stesso nel momento in cui si approvò la Costituzione del 1978 rispetto a quello che è ai giorni nostri, all’inizio del 2016.

È indiscutibile che i grandi progressi democratici e la conquista delle libertà durante la “Transizione”, inclusa una parte importante degli articoli più socialmente avanzati di quella Costituzione, hanno nel PCE, nella sua forza sociale e politica, e nel movimento operaio di quegli anni, il loro artefice principale. Può essere discutibile, e, naturalmente criticabile, che si assumano determinati simboli e istituzioni in quella Costituzione, ma ciò che è inconfutabile è che il potere economico – che pure plasmò la sua forza in quella Costituzione – fu molto più dialettico rispetto alla PCE .

Per il PCE , l’ adozione della Costituzione , le libertà conquistate di recente , sono stati visti come un fine raggiunto di un quadro giuridico e democratico ideale in cui sarebbe possibile sviluppare pienamente la propria azione politica. Inoltre, l’azione politica del PCE ha cominciato a limitarsi esclusivamente al campo elettorale, che si andava ulteriormente sviluppando condizionato da una legge elettorale disegnata per ridurre al minimo la forza del partito comunista stesso.

Invece di considerare la Costituzione del 78 come un passo ulteriore nella conquista della libertà che avrebbero permesso di avanzare nella conquista del potere da parte della classe operaia, e iniziare a lavorare fin dal primo giorno per superare questa costituzione , è stato solo nel 1996 che il PCE ha minacciato di lasciare il patto costituzionale ” se fosse continuato il degrado del clima democratico”.

Il potere economico è stato molto più dialettico fin dal primo giorno e non ha tardato a mettere al suo servizio quel “patto” . In un primo momento ha accettato anche alcuni articoli costituzionali che presumibilmente garantivano diritti quali l’alloggio o il lavoro, o la subordinazione della ricchezza nazionale all’interesse pubblico. Tuttavia, il potere economico si è messo subito al lavoro per rendere tali elementi lettera morta.

Il Partito Comunista, che durante gli anni della dittatura si era strutturato come organizzazione per la lotta su tutti i fronti (movimento dei lavoratori , le associazioni,  settore militare , ambiente culturale … ) , cessava di organizzarsi nei luoghi di lavoro, smetteva  di guidare e rafforzare il fronte culturale, rinunciava a simboli e lotte , e ad aspirazioni come la Repubblica, e praticamente limitava la sua lotta e la sua azione dentro alle urne, una mossa che pesa ancora sulle nostre spalle.

Decenni dopo tali decisioni abbiamo un partito comunista organizzato solo territorialmente, che da priorità all’azione elettorale e relega l’organizzazione nel conflitto capitale-lavoro e al lavoro sul fronte culturale, in balia dei risultati nelle elezioni successive (con le sue crisi conseguenti) e delle offensive mediatico-culturali.

Il tragico risultato di non essere più in contatto diretto con la classe operaia ha avuto un impatto anche sul sindacato Commissioni Operaie, il cui inizio della deriva attuale si ritrova in quel  Congresso del 1987 in cui Antonio Gutierrez – allora membro del PCE e un anno più tardi deputato PSOE – strappò la leadership del sindacato a Marcelino Camacho. Si erano così prodotti due eventi catastrofici: la rinuncia ad organizzarsi nel conflitto, e lo scontro tra i membri (dirigenti) del PCE all’interno del sindacato. Antonio Gutierrez alla guida delle CCOO , e membro della direzione del PCE , contribuì ad allentare l’influenza del partito comunista, arrivando ad abbandonare egli stesso la militanza nel partito nel 1991 .

E contemporaneamente si andava sviluppando una profonda trasformazione nella composizione interna della classe operaia che invalidava una parte importante dei piani operativi sinistra.

Questa trasformazione, unita in Spagna al “disimpegno” organizzativo del partito comunista con la classe operaia, e la conseguente deriva delle Commissioni Operaie e dell’Unione Generale del Lavoro e di buona parte dei dirigenti sindacali, iniziò durante i seguenti decenni a produrre un allontanamento dalle organizzazioni della classe della stessa classe lavoratrice. Milioni di lavoratori sono stati posti così in balia della volontà del datore di lavoro e dei poteri economici, che attraverso l’apparato mediatico-culturale hanno scatenato un’offensiva ideologica di grande portata che dura fino ad oggi. Un buon esempio è il fatto che i due maggiori partiti del regime, PP e PSOE, che hanno effettuato tagli straordinari in materia di diritti del lavoro e sociali per decenni si sono nutriti principalmente dei voti di milioni di lavoratori. La caduta dell’URSS e del cosiddetto campo socialista furono anch’essi una conseguenza di questa offensiva a livello mondiale e rappresentano un pesante fardello per la classe operaia internazionale e per le sue ambizioni storiche di prendere il potere.

Oggi un dibattito simile a quello degli anni 70 si svolge nella sinistra spagnola, che si divide tra coloro che sostengono che il conflitto capitale-lavoro resta la contraddizione principale e coloro che sentono la necessità di muoversi verso posizioni post-marxiste (direi piuttosto antimarxiste) in cui la classe operaia non deve più essere il soggetto trasformatore e dove la contraddizione principale non è più la contraddizione di classe. Il potere economico è nuovamente al lavoro per la vittoria di quest’ultima tesi.

Tuttavia questo dibattito è emerso nuovamente per errori propri, per il fatto che le organizzazioni di classe non sono riuscite ad adattarsi ai cambiamenti che la classe operaia ha subito negli ultimi decenni e che ha portato all’incapacità della classe operaia organizzata di condurre un processo di trasformazione e al discredito delle organizzazioni di classe, soprattutto dei sindacati.

Da questo derivano una serie di interrogativi.

Come possono fare le organizzazioni di classe – in primo luogo il Partito Comunista – a recuperare il terreno perduto? Come organizzarsi per essere l’interlocutore diretto della classe operaia? Come organizzare i comunisti nel movimento operaio e come organizzare i lavoratori, tenendo conto della nuova composizione di classe? Come fare per far si che la classe operaia si senta parte dello stesso soggetto trasformatore? Come porre la contraddizione tra capitale e lavoro al centro del dibattito? In breve … di quale PCE ha bisogno la classe operaia?

Nel tentativo di cercare a cominciare a risolvere questi problemi, che richiederanno una profonda discussione e analisi, queste note servono come semplici riflessioni e contributi al dibattito che dovrà affrontare nei prossimi mesi il Partito Comunista di Spagna in vista di un XX Congresso che dovrà essere storico.