Attualizzare l’analisi della fase internazionale

pc svizzeraEstratto dalle Tesi congressuali discusse durante il 23° Congresso del Partito Comunista, Lugano (Svizzera) 26/27 novembre 2016

da partitocomunista.ch

1.    Possiamo definire la posizione attuale del polo imperialista come di “dominio senza egemonia”. Si è infatti ridimensionata in modo considerevole la capacità da parte del polo imperialista occidentale di garantire la propria posizione a livello geopolitico. Questo è strettamente dovuto a un arretramento sul fronte dei rapporti di forza economici e politici, risultato dell’emergere di aree economiche, geopolitiche e finanziarie che minacciano questo primato. Non bisogna però illudersi: il polo imperialista rimane ancora quello più potente. Esso infatti esercita il suo dominio sfruttando la potenza militare e le capacità di cooptazione politico-diplomatica, e disponendo di un tessuto economico che, nonostante considerevoli difficoltà strutturali, occupa sul fronte della tecnologia e dell’innovazione una posizione d’avanguardia; non da ultimo, la possibilità di disporre del dollaro quale moneta di riferimento internazionale, permette agli Stati Uniti numerosi benefici di politica economica sia interna che esterna.

2.    La flessione dell’egemonia statunitense è legata al tendenziale spostamento nell’epicentro dei processi di accumulazione di capitale principalmente verso la Cina e, in generale, verso i BRICS (Brasile, Russi, India, Cina e Sudafrica) e altri paesi in via di sviluppo, nonché al progressivo avvicinamento geopolitico di questi paesi che ha costituito un blocco dai consistenti rapporti di forza. Rispetto all’ultimo Congresso del nostro Partito, il processo di aggregazione politico ed economico di questi paesi si è accelerato, concentrandosi sulla necessità di svincolarsi dai diktat imperialistici allo scopo di favorire nuove forme di cooperazione internazionale basate sulla reciprocità dei rapporti fra paesi, sulla centralità di un’economia pubblica capace di favorire la crescita nei paesi del Sud del mondo e su una maggiore giustizia sociale. A questo scopo sono nate istituzioni sovranazionali alternative a quelle imperialiste, di cui La Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS è solo un esempio.

3.    Gli scenari sulla configurazione mondiale post-egemonia statunitense sono molteplici. Nonostante i BRICS stiano diventando la principale forza motrice dell’espansione economica e commerciale sembra che essi non abbiano nessun interesse ad esercitare un’egemonia imperiale, bensì a impegnarsi nel costituire un mondo realmente multipolare. In particolare, la Repubblica Popolare Cinese mostra la sua volontà anche attraverso il processo di internazionalizzazione del Renminbi, il quale avviene gradualmente e in chiave di stabilizzatore mondiale, evitando così l’accelerazione del declino del dollaro statunitense e favorendo anzi un dilatato processo di de-dollarizzazione del mondo. A preoccupare (ma non a stupire) sono piuttosto le risposte violente statunitensi e degli alleati europei a questa tendenziale transizione verso il multipolarismo: di fronte a uno scenario internazionale che vede aumentare le situazioni di conflitto, la transizione pacifica verso un ordine mondiale più equo assume oggi per noi comunisti un carattere prioritario.

4.     Nel contesto del declino della società occidentale, l’imperialismo sta comunque rialzando la testa e si presenta minaccioso più che mai nel tentativo di frenare l’avanzata di ogni seppur timida ipotesi di cambiamento geopolitico ed economico. Dopo aver diviso la Jugoslavia, e in particolare la Serbia; aver annientato l’Afghanistan, l’Irak e la Libia, esso continua la criminale destabilizzazione della Siria. Persino paesi storicamente alleati, come  recentemente la Turchia, possono diventare un bersaglio con attentati terroristici, guerriglie eterodirette e persino tentativi di golpe non appena osino disporre di maggiore autonomia. In Asia l’avvicinamento minaccioso alla Cina e l’occupazione militare da parte nordamericana della Corea del Sud continua, impedendo in quest’ultimo caso sia la firma del trattato di pace con la Corea del Nord sia la riunificazione della penisola. La guerra è addirittura giunta ai confini d’Europa con il colpo di stato di stampo nazifascista in Ucraina, le ingiuste sanzioni alla Russia e l’irresponsabile avanzamento della NATO in Europa dell’Est. L’America latina, poi, è vittima di una costante campagna controrivoluzionaria in cui l’ingerenza imperialista è palese: dal Venezuela in cui l’oligarchia organizza l’eversione e la guerra economica, alla Bolivia in cui si deve far fronte a problemi di separatismo e di destabilizzazione sociale, senza contare gli ostacoli al processo di pace in Colombia e la riuscita del colpo di stato in Brasile. Quest’ultimo in particolare va letto come un attacco esplicito al consolidarsi dei BRICS come polo di sviluppo alternativo a quello a egemonia atlantica.

5.    Non c’è bisogno di ripetere che la dissoluzione del campo socialista nell’Europa dell’Est e la conseguente fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti, non ha affatto portato all’era di pace tanto pubblicizzata mentre il Muro di Berlino crollava, anche perché alla dissoluzione del Patto di Varsavia non è seguito lo scioglimento dell’alleanza militare opposta, la NATO, la quale anzi si è trasformata in un’istituzione di gendarmeria globale al servizio dell’egemonia unipolare esercitata dall’imperialismo a guida statunitense, responsabile  come abbiamo visto di una lunga trafila di guerre. Senza contare i colpi di stato eterodiretti che in alcuni casi si sono trasformati in guerre civili che durano ancora oggi. Come se non bastasse gli USA stanno aumentando il budget per incrementare la loro occupazione militare dell’Europa e non diminuisce lo spostamento di truppe verso Oriente. In questo contesto pericoloso di continue provocazioni una fetta molto importante di sinistra – accecata dalla faziosità di molti mezzi di informazione che confondono gli aggrediti con gli aggressori, e ridottasi a ragionare con categorie culturali tipiche dell’atlantismo liberal – esprime posizioni alquanto discutibili; tanto da giungere ai casi estremi in cui, sempre con il manto retorico dei “diritti umani”, esponenti socialisti svizzeri, oltre a pendere dalle labbra di quanto affermano note agenzie pseudo-umanitarie tutt’altro che indipendenti e anzi finanziate da istituzioni governative spesso statunitensi o israeliane, si spingono a celebrare i golpisti brasiliani nostalgici della giunta militare degli anni ‘70 oppure a sostenere la rete di scuole private legate alla setta islamista di Fethullah Gülen presenti in Svizzera.

6.     I comunisti sanno che la Russia odierna è capitalista e che al suo interno vi sono forti contraddizioni sia di classe sia culturali, ma questo non ci impedisce di riconoscere pragmaticamente che la sua politica estera rappresenta, per ora, un freno all’imperialismo atlantico e dunque a quella che oggi è la contraddizione primaria per chiunque voglia lottare concretamente per la pace e il multipolarismo. La russofobia fomentata dai media occidentali sta raggiungendo toni da “guerra fredda” e ciò è preoccupante perché dimostra di aver intaccato anche la capacità di discernimento della stessa sinistra. Tutto ciò serve solo agli interessi degli USA che impediscono così che l’Europa (e il nostro stesso Paese) si avvicini troppo all’area euroasiatica. La lotta alla russofobia è oggi quindi un modo concreto di essere internazionalisti e anti-imperialisti, perché intorno a tale fenomeno si sviluppa in realtà l’odio contro tutti i paesi emergenti e un generale pensiero anti-comunista. Occorre far conoscere quei paesi che si vogliono emancipare dall’unipolarismo, diminuire la percezione di timore presente fra la popolazione abilmente orchestrata tramite i media, accrescere i legami anche culturali e commerciali per stemperare le contraddizioni politiche (quando non belliche).

7.    L’inserimento del Renminbi nel paniere delle valute di riserva del Fondo Monetario Internazionale (FMI) è la dimostrazione del continuo successo della “moneta del popolo” nel suo percorso di ascesa nei confronti della credibilità internazionale. La sua completa internazionalizzazione però – tra le altre cose – necessiterà dell’esperienza, dello status e della struttura finanziaria che solo i mercati finanziari europei più importanti possono dare. A questo proposito, sembra purtroppo ormai esclusa la possibilità che la Svizzera possa diventare il principale centro finanziario per il commercio di Renminbi: la Confederazione, agendo in modo “schizofrenico”, ha dapprima teso la mano alla Cina con l’accordo bilaterale di libero scambio ma ha poi optato per cedere la propria sovranità monetaria all’UE vincolando il franco all’euro, voltando così le spalle in primis ai cinesi e in generale ai paesi emergenti, per ulteriormente ancorarsi al declinante campo atlantico a egemonia USA. Tutto questo per fare poi nuovamente un dietro front con il voto del 9 febbraio 2014, che ha messo in “crisi” i rapporti con l’UE. Ad inizio del 2015 è peraltro giunta una nuova svolta, data dall’abolizione della soglia minima tra franco ed euro. Questa ambigua posizione del nostro Paese, sinonimo di un conflitto ancora irrisolto tra una fazione della borghesia svizzera piegata all’imperialismo atlantico e una invece più incline ad aprirsi ai paesi emergenti, ha mostrato una Svizzera non ancora pienamente posizionata in questo nuovo scenario internazionale e per questo ancora troppo inaffidabile per i paesi emergenti.

8.    Il nostro Partito ha dato molta importanza all’analisi del processo di finanziarizzazione dell’economia e in particolare al ruolo che gioca la creazione, l’accumulazione e la gestione del capitale fittizio su scala internazionale. Riteniamo ancora valida la nostra analisi per cui la crisi odierna sia profonda, strutturale e sistemica e prevalentemente una crisi di sovrapproduzione di capitale fittizio e, conseguentemente, una crisi del ruolo principe degli USA nell’economia internazionale (in particolare a livello monetario). L’assorbimento di quote sempre maggiori di capitale effettivo attraverso il capitale finanziario comporta ora un ridimensionamento del sistema finanziario globale che ha strascichi concreti anche in Svizzera e Ticino. A pagare anche in Ticino sono i lavoratori del settore bancario che progressivamente si ritrovano sempre più senza lavoro e con difficoltà di reinserimento nei settori dell’economia reale, e le Piccole e Medie Imprese (PMI), le quali faticano a ricevere il credito necessario per effettuare investimenti reali e rilanciare il ciclo produttivo. Come Partito riteniamo ancora d’attualità la richiesta di un piano occupazionale eccezionale per reindirizzare i lavoratori del settore bancario verso occupazioni nei settori reali dell’economia. Inoltre, riteniamo opportuno un progressivo ridimensionamento della piazza finanziaria, in particolare attraverso il graduale abbandono delle attività di gestione patrimoniale e speculative a favore invece di un maggiore controllo pubblico che sappia indirizzare le attività finanziarie alle PMI, ai lavoratori e ai poli di ricerca e formazione, favorendo lo sviluppo di sistemi produttivi ad alto valore aggiunto.

9.    Oggigiorno – specialmente in Occidente – viviamo la sempre maggiore diffusione di un sistema alternativo di creazione e gestione valutaria decentralizzata: quello delle cosiddette “criptovalute”. Sebbene esse, in Occidente, possano giocare un ruolo potenzialmente positivo diminuendo tendenzialmente il ruolo egemonico delle banche centrali e delle banche private nella creazione di moneta, e riducendo la intermediazioni degli istituti finanziari nei processi monetari, esse portano con sé il pericolo della loro reale gestione, la quale è di difficile decifrazione, e la cui indipendenza è poco difendibile dagli interessi dei grandi istituti finanziari che stanno infatti già oggi investendo molto per controllarne la diffusione e disporre così di un ulteriore strumento – per di più “sregolato” – al fine di incrementare il capitale fittizio nell’economia. Inoltre, esse sono sicuramente da vedere negativamente se utilizzate nei paesi socialisti come fonte destabilizzatrice del controllo democratico del sistema finanziario e del commercio estero. 

10.    L’industria sta attraversando un periodo di indubbi mutamenti: in primis si cita spesso quello dell’automazione in ambito produttivo. Premesso che si tratta di un fenomeno storicamente già apparso, anche se in modalità diverse, esso non si trova attualmente ad uno stadio così elevato da rendere imprescindibile addirittura un cambio di paradigma nella socialità, arrivando a superare la più che mai attuale contraddizione capitale-lavoro. In tal senso il nostro Partito ha ritenuto affrettata e politicamente poco ponderata l’idea del Reddito di Base Incondizionato (RBI) avanzato da una sinistra molto liberal inserita completamente (e passivamente) in una visione destrutturata della società capitalista. Da parte nostra ribadiamo che estraniarsi dalle “brutture” del capitalismo e ritirarsi delle contraddizioni generate dal lavoro salariato non significa avvicinarsi al socialismo, che resta al contrario raggiungibile solo con la riappropriazione collettiva dei mezzi di produzione. E tuttavia, ciò detto, bisogna che il nostro Partito (e con lui tutta la sinistra e, soprattutto, i sindacati) lanci una riflessione sulle conseguenze che comunque i processi sia di automazione sia di digitalizzazione nell’industria comporteranno, al fine di non essere colti impreparati dall’evoluzione tecnologica e scientifica. 

11.    Come discusso nella risoluzione affrontata durante la prima sessione di questo 23° Congresso, il nostro Partito si oppone all’adesione della Svizzera all’Unione Europea, che consideriamo una sovrastruttura imperialista. Linea politica che si fortifica di fronte al crollo di ogni illusione riformista interna a un quadro euro-compatibile, e la Grecia è lì a mostrarcelo. Non ripetiamo dunque qui le nostre motivazioni, ma alcune puntualizzazioni a seguito della cosiddetta Brexit sono doverose. Essa infatti ci permette subito di vedere come il disastro che era stato paventato con l’uscita britannica dall’UE non si sia finora verificato. In merito poi all’accesso al mercato europeo che da sempre rappresenta uno degli spauracchi utilizzati dagli europeisti, va detto in realtà che esso è garantito dagli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che non decadono dunque né con la Brexit né, per la Svizzera, qualora saltassero gli accordi bilaterali. Premesso che non sappiamo come la Gran Bretagna evolverà e se la Brexit sarà mai applicata realmente, come Partito Comunista non condividiamo l’isteria di certa sinistra che, in maniera spocchiosa, limitandosi a indignarsi per la propaganda xenofoba dei nazionalisti britannici, non ha voluto saperne di indagare il reale malcontento sociale rispetto ai diktat dell’UE, che ha spinto la classe operaia a schierarsi per il “leave”. Concordiamo piuttosto con i sindacalisti britannici che, una volta fuori dall’UE, essi potranno ripartire con il lavoro essenziale di ricostruzione della propria produzione nazionale e con la battaglia politica per reinvestire nei servizi pubblici o nazionalizzarli: tutto ciò, ingabbiati nelle regole dell’UE, si limitava a mero slogan declamatorio, oggi sono invece tornate questioni che, seppur politicamente difficili da raggiungere, nel contesto di ritrovata sovranità, dipendono dai rapporti di forza che la sinistra e i sindacati sapranno costruire. Senza dubbio un’evoluzione in senso progressista della Brexit resta un processo tutto in salita e non si può escludere che, di fronte agli errori della sinistra, sia la destra nazionalista a trarne vantaggio. Quest’ultima dovrà però ora dimostrare di saper andare oltre al populismo.

(…)

Estratto dalle Tesi congressuali discusse durante il 23° Congresso del Partito Comunista, Lugano (Svizzera) 26/27 novembre 2016.

http://www.partitocomunista.ch/index.php?option=com_content&view=article&id=602;tesi-congressuali&catid=86;2016-10-22-01-38-34&Itemid=50 

1.    Possiamo definire la posizione attuale del polo imperialista come di “dominio senza egemonia”. Si è infatti ridimensionata in modo considerevole la capacità da parte del polo imperialista occidentale di garantire la propria posizione a livello geopolitico. Questo è strettamente dovuto a un arretramento sul fronte dei rapporti di forza economici e politici, risultato dell’emergere di aree economiche, geopolitiche e finanziarie che minacciano questo primato. Non bisogna però illudersi: il polo imperialista rimane ancora quello più potente. Esso infatti esercita il suo dominio sfruttando la potenza militare e le capacità di cooptazione politico-diplomatica, e disponendo di un tessuto economico che, nonostante considerevoli difficoltà strutturali, occupa sul fronte della tecnologia e dell’innovazione una posizione d’avanguardia; non da ultimo, la possibilità di disporre del dollaro quale moneta di riferimento internazionale, permette agli Stati Uniti numerosi benefici di politica economica sia interna che esterna.

2.    La flessione dell’egemonia statunitense è legata al tendenziale spostamento nell’epicentro dei processi di accumulazione di capitale principalmente verso la Cina e, in generale, verso i BRICS (Brasile, Russi, India, Cina e Sudafrica) e altri paesi in via di sviluppo, nonché al progressivo avvicinamento geopolitico di questi paesi che ha costituito un blocco dai consistenti rapporti di forza. Rispetto all’ultimo Congresso del nostro Partito, il processo di aggregazione politico ed economico di questi paesi si è accelerato, concentrandosi sulla necessità di svincolarsi dai diktat imperialistici allo scopo di favorire nuove forme di cooperazione internazionale basate sulla reciprocità dei rapporti fra paesi, sulla centralità di un’economia pubblica capace di favorire la crescita nei paesi del Sud del mondo e su una maggiore giustizia sociale. A questo scopo sono nate istituzioni sovranazionali alternative a quelle imperialiste, di cui La Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS è solo un esempio.

3.    Gli scenari sulla configurazione mondiale post-egemonia statunitense sono molteplici. Nonostante i BRICS stiano diventando la principale forza motrice dell’espansione economica e commerciale sembra che essi non abbiano nessun interesse ad esercitare un’egemonia imperiale, bensì a impegnarsi nel costituire un mondo realmente multipolare. In particolare, la Repubblica Popolare Cinese mostra la sua volontà anche attraverso il processo di internazionalizzazione del Renminbi, il quale avviene gradualmente e in chiave di stabilizzatore mondiale, evitando così l’accelerazione del declino del dollaro statunitense e favorendo anzi un dilatato processo di de-dollarizzazione del mondo. A preoccupare (ma non a stupire) sono piuttosto le risposte violente statunitensi e degli alleati europei a questa tendenziale transizione verso il multipolarismo: di fronte a uno scenario internazionale che vede aumentare le situazioni di conflitto, la transizione pacifica verso un ordine mondiale più equo assume oggi per noi comunisti un carattere prioritario.

4.     Nel contesto del declino della società occidentale, l’imperialismo sta comunque rialzando la testa e si presenta minaccioso più che mai nel tentativo di frenare l’avanzata di ogni seppur timida ipotesi di cambiamento geopolitico ed economico. Dopo aver diviso la Jugoslavia, e in particolare la Serbia; aver annientato l’Afghanistan, l’Irak e la Libia, esso continua la criminale destabilizzazione della Siria. Persino paesi storicamente alleati, come  recentemente la Turchia, possono diventare un bersaglio con attentati terroristici, guerriglie eterodirette e persino tentativi di golpe non appena osino disporre di maggiore autonomia. In Asia l’avvicinamento minaccioso alla Cina e l’occupazione militare da parte nordamericana della Corea del Sud continua, impedendo in quest’ultimo caso sia la firma del trattato di pace con la Corea del Nord sia la riunificazione della penisola. La guerra è addirittura giunta ai confini d’Europa con il colpo di stato di stampo nazifascista in Ucraina, le ingiuste sanzioni alla Russia e l’irresponsabile avanzamento della NATO in Europa dell’Est. L’America latina, poi, è vittima di una costante campagna controrivoluzionaria in cui l’ingerenza imperialista è palese: dal Venezuela in cui l’oligarchia organizza l’eversione e la guerra economica, alla Bolivia in cui si deve far fronte a problemi di separatismo e di destabilizzazione sociale, senza contare gli ostacoli al processo di pace in Colombia e la riuscita del colpo di stato in Brasile. Quest’ultimo in particolare va letto come un attacco esplicito al consolidarsi dei BRICS come polo di sviluppo alternativo a quello a egemonia atlantica.

5.    Non c’è bisogno di ripetere che la dissoluzione del campo socialista nell’Europa dell’Est e la conseguente fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti, non ha affatto portato all’era di pace tanto pubblicizzata mentre il Muro di Berlino crollava, anche perché alla dissoluzione del Patto di Varsavia non è seguito lo scioglimento dell’alleanza militare opposta, la NATO, la quale anzi si è trasformata in un’istituzione di gendarmeria globale al servizio dell’egemonia unipolare esercitata dall’imperialismo a guida statunitense, responsabile  come abbiamo visto di una lunga trafila di guerre. Senza contare i colpi di stato eterodiretti che in alcuni casi si sono trasformati in guerre civili che durano ancora oggi. Come se non bastasse gli USA stanno aumentando il budget per incrementare la loro occupazione militare dell’Europa e non diminuisce lo spostamento di truppe verso Oriente. In questo contesto pericoloso di continue provocazioni una fetta molto importante di sinistra – accecata dalla faziosità di molti mezzi di informazione che confondono gli aggrediti con gli aggressori, e ridottasi a ragionare con categorie culturali tipiche dell’atlantismo liberal – esprime posizioni alquanto discutibili; tanto da giungere ai casi estremi in cui, sempre con il manto retorico dei “diritti umani”, esponenti socialisti svizzeri, oltre a pendere dalle labbra di quanto affermano note agenzie pseudo-umanitarie tutt’altro che indipendenti e anzi finanziate da istituzioni governative spesso statunitensi o israeliane, si spingono a celebrare i golpisti brasiliani nostalgici della giunta militare degli anni ‘70 oppure a sostenere la rete di scuole private legate alla setta islamista di Fethullah Gülen presenti in Svizzera.

6.     I comunisti sanno che la Russia odierna è capitalista e che al suo interno vi sono forti contraddizioni sia di classe sia culturali, ma questo non ci impedisce di riconoscere pragmaticamente che la sua politica estera rappresenta, per ora, un freno all’imperialismo atlantico e dunque a quella che oggi è la contraddizione primaria per chiunque voglia lottare concretamente per la pace e il multipolarismo. La russofobia fomentata dai media occidentali sta raggiungendo toni da “guerra fredda” e ciò è preoccupante perché dimostra di aver intaccato anche la capacità di discernimento della stessa sinistra. Tutto ciò serve solo agli interessi degli USA che impediscono così che l’Europa (e il nostro stesso Paese) si avvicini troppo all’area euroasiatica. La lotta alla russofobia è oggi quindi un modo concreto di essere internazionalisti e anti-imperialisti, perché intorno a tale fenomeno si sviluppa in realtà l’odio contro tutti i paesi emergenti e un generale pensiero anti-comunista. Occorre far conoscere quei paesi che si vogliono emancipare dall’unipolarismo, diminuire la percezione di timore presente fra la popolazione abilmente orchestrata tramite i media, accrescere i legami anche culturali e commerciali per stemperare le contraddizioni politiche (quando non belliche).

7.    L’inserimento del Renminbi nel paniere delle valute di riserva del Fondo Monetario Internazionale (FMI) è la dimostrazione del continuo successo della “moneta del popolo” nel suo percorso di ascesa nei confronti della credibilità internazionale. La sua completa internazionalizzazione però – tra le altre cose – necessiterà dell’esperienza, dello status e della struttura finanziaria che solo i mercati finanziari europei più importanti possono dare. A questo proposito, sembra purtroppo ormai esclusa la possibilità che la Svizzera possa diventare il principale centro finanziario per il commercio di Renminbi: la Confederazione, agendo in modo “schizofrenico”, ha dapprima teso la mano alla Cina con l’accordo bilaterale di libero scambio ma ha poi optato per cedere la propria sovranità monetaria all’UE vincolando il franco all’euro, voltando così le spalle in primis ai cinesi e in generale ai paesi emergenti, per ulteriormente ancorarsi al declinante campo atlantico a egemonia USA. Tutto questo per fare poi nuovamente un dietro front con il voto del 9 febbraio 2014, che ha messo in “crisi” i rapporti con l’UE. Ad inizio del 2015 è peraltro giunta una nuova svolta, data dall’abolizione della soglia minima tra franco ed euro. Questa ambigua posizione del nostro Paese, sinonimo di un conflitto ancora irrisolto tra una fazione della borghesia svizzera piegata all’imperialismo atlantico e una invece più incline ad aprirsi ai paesi emergenti, ha mostrato una Svizzera non ancora pienamente posizionata in questo nuovo scenario internazionale e per questo ancora troppo inaffidabile per i paesi emergenti.

8.    Il nostro Partito ha dato molta importanza all’analisi del processo di finanziarizzazione dell’economia e in particolare al ruolo che gioca la creazione, l’accumulazione e la gestione del capitale fittizio su scala internazionale. Riteniamo ancora valida la nostra analisi per cui la crisi odierna sia profonda, strutturale e sistemica e prevalentemente una crisi di sovrapproduzione di capitale fittizio e, conseguentemente, una crisi del ruolo principe degli USA nell’economia internazionale (in particolare a livello monetario). L’assorbimento di quote sempre maggiori di capitale effettivo attraverso il capitale finanziario comporta ora un ridimensionamento del sistema finanziario globale che ha strascichi concreti anche in Svizzera e Ticino. A pagare anche in Ticino sono i lavoratori del settore bancario che progressivamente si ritrovano sempre più senza lavoro e con difficoltà di reinserimento nei settori dell’economia reale, e le Piccole e Medie Imprese (PMI), le quali faticano a ricevere il credito necessario per effettuare investimenti reali e rilanciare il ciclo produttivo. Come Partito riteniamo ancora d’attualità la richiesta di un piano occupazionale eccezionale per reindirizzare i lavoratori del settore bancario verso occupazioni nei settori reali dell’economia. Inoltre, riteniamo opportuno un progressivo ridimensionamento della piazza finanziaria, in particolare attraverso il graduale abbandono delle attività di gestione patrimoniale e speculative a favore invece di un maggiore controllo pubblico che sappia indirizzare le attività finanziarie alle PMI, ai lavoratori e ai poli di ricerca e formazione, favorendo lo sviluppo di sistemi produttivi ad alto valore aggiunto.

9.    Oggigiorno – specialmente in Occidente – viviamo la sempre maggiore diffusione di un sistema alternativo di creazione e gestione valutaria decentralizzata: quello delle cosiddette “criptovalute”. Sebbene esse, in Occidente, possano giocare un ruolo potenzialmente positivo diminuendo tendenzialmente il ruolo egemonico delle banche centrali e delle banche private nella creazione di moneta, e riducendo la intermediazioni degli istituti finanziari nei processi monetari, esse portano con sé il pericolo della loro reale gestione, la quale è di difficile decifrazione, e la cui indipendenza è poco difendibile dagli interessi dei grandi istituti finanziari che stanno infatti già oggi investendo molto per controllarne la diffusione e disporre così di un ulteriore strumento – per di più “sregolato” – al fine di incrementare il capitale fittizio nell’economia. Inoltre, esse sono sicuramente da vedere negativamente se utilizzate nei paesi socialisti come fonte destabilizzatrice del controllo democratico del sistema finanziario e del commercio estero.

10.    L’industria sta attraversando un periodo di indubbi mutamenti: in primis si cita spesso quello dell’automazione in ambito produttivo. Premesso che si tratta di un fenomeno storicamente già apparso, anche se in modalità diverse, esso non si trova attualmente ad uno stadio così elevato da rendere imprescindibile addirittura un cambio di paradigma nella socialità, arrivando a superare la più che mai attuale contraddizione capitale-lavoro. In tal senso il nostro Partito ha ritenuto affrettata e politicamente poco ponderata l’idea del Reddito di Base Incondizionato (RBI) avanzato da una sinistra molto liberal inserita completamente (e passivamente) in una visione destrutturata della società capitalista. Da parte nostra ribadiamo che estraniarsi dalle “brutture” del capitalismo e ritirarsi delle contraddizioni generate dal lavoro salariato non significa avvicinarsi al socialismo, che resta al contrario raggiungibile solo con la riappropriazione collettiva dei mezzi di produzione. E tuttavia, ciò detto, bisogna che il nostro Partito (e con lui tutta la sinistra e, soprattutto, i sindacati) lanci una riflessione sulle conseguenze che comunque i processi sia di automazione sia di digitalizzazione nell’industria comporteranno, al fine di non essere colti impreparati dall’evoluzione tecnologica e scientifica.

11.    Come discusso nella risoluzione affrontata durante la prima sessione di questo 23° Congresso, il nostro Partito si oppone all’adesione della Svizzera all’Unione Europea, che consideriamo una sovrastruttura imperialista. Linea politica che si fortifica di fronte al crollo di ogni illusione riformista interna a un quadro euro-compatibile, e la Grecia è lì a mostrarcelo. Non ripetiamo dunque qui le nostre motivazioni, ma alcune puntualizzazioni a seguito della cosiddetta Brexit sono doverose. Essa infatti ci permette subito di vedere come il disastro che era stato paventato con l’uscita britannica dall’UE non si sia finora verificato. In merito poi all’accesso al mercato europeo che da sempre rappresenta uno degli spauracchi utilizzati dagli europeisti, va detto in realtà che esso è garantito dagli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che non decadono dunque né con la Brexit né, per la Svizzera, qualora saltassero gli accordi bilaterali. Premesso che non sappiamo come la Gran Bretagna evolverà e se la Brexit sarà mai applicata realmente, come Partito Comunista non condividiamo l’isteria di certa sinistra che, in maniera spocchiosa, limitandosi a indignarsi per la propaganda xenofoba dei nazionalisti britannici, non ha voluto saperne di indagare il reale malcontento sociale rispetto ai diktat dell’UE, che ha spinto la classe operaia a schierarsi per il “leave”. Concordiamo piuttosto con i sindacalisti britannici che, una volta fuori dall’UE, essi potranno ripartire con il lavoro essenziale di ricostruzione della propria produzione nazionale e con la battaglia politica per reinvestire nei servizi pubblici o nazionalizzarli: tutto ciò, ingabbiati nelle regole dell’UE, si limitava a mero slogan declamatorio, oggi sono invece tornate questioni che, seppur politicamente difficili da raggiungere, nel contesto di ritrovata sovranità, dipendono dai rapporti di forza che la sinistra e i sindacati sapranno costruire. Senza dubbio un’evoluzione in senso progressista della Brexit resta un processo tutto in salita e non si può escludere che, di fronte agli errori della sinistra, sia la destra nazionalista a trarne vantaggio. Quest’ultima dovrà però ora dimostrare di saper andare oltre al populismo.

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