di Albano Nunes, Segreteria del Partito Comunista Portoghese (PCP)
da www.avante.pt | Traduzione di Marx21.it
Quando, al contrario delle speranze aperte dalle elezioni del 25 gennaio – nelle quali il popolo greco aveva manifestato il rifiuto delle rovinose e disumane politiche dei “memorandum” e la condanna dei partiti che al governo avevano condotto alla drammatica situazione e la sua profonda volontà di cambiamento – la Grecia si confronta con un terzo programma di salvataggio, è opportuno cercare di sintetizzare i principali tratti dell’evoluzione della situazione da quelle elezioni e i principali insegnamenti che essa comporta per la nostra stessa lotta per un’alternativa patriottica e di sinistra in Portogallo e per un’altra Europa di cooperazione tra stati sovrani e uguali in diritti, di progresso e di pace, un’Europa dei lavoratori e dei popoli.
Nei momenti fondamentali del processo (che, come mostra la convocazione delle elezioni anticipate, è in continuo sviluppo), il PCP ha espresso la sua attiva solidarietà con i lavoratori e il popolo greco, con la loro resistenza e lotta e per il rispetto della loro sovranità, e la sua ferma condanna della violentissima campagna di pressioni, ricatti e ingerenze da parte dell’Unione Europea e delle altre istituzioni coinvolte, denunciando la posizione del governo portoghese e del Presidente della Repubblica di sottomesso allineamento alle posizioni dell’UE, e della Germania in particolare.
Attraverso le prese di posizione del Comitato Centrale, le dichiarazioni del Segretario generale e di altri dirigenti, l’intervento del suo Gruppo Parlamentare all’Assemblea della Repubblica e dei suoi deputati al Parlamento Europeo, le iniziative di partito di vario tipo, gli articoli in “Avante!” e “O Militante”, la solidarietà del PCP con il popolo greco è stata una costante.
Allo stesso tempo, sottolineando sempre che è ai comunisti, ai lavoratori e al popolo greco che compete pronunciarsi sulla situazione interna della Grecia, il PCP si è smarcato chiaramente dalle posizioni politiche e ideologiche di Syriza e dalle incoerenze, contraddizioni e cedimenti del suo governo – che uno dopo l’latro ha abbandonato gli impegni che le avevano permesso di capitalizzare gran parte del malcontento del popolo greco e diventare la forza più votata nelle elezioni di gennaio – mettendo in guardia fin dal primo momento sull’impossibilità di una soluzione dei gravi problemi del popolo greco senza rompere, al contrario di quanto pretendevano Syriza e il suo governo di coalizione con Anel, con i vincoli dell’euro e del processo di integrazione capitalista europeo.
La pratica ha dato ragione al PCP
Con l’accordo nell’Eurogruppo del 20 febbraio e le illusioni che hanno accompagnato il governo greco, mentre ricorreva a manovre di immagine e di ingegneria semantica vuote di contenuto (come la sostituzione di “troika” con “istituzioni”) è stata imboccata la strada dei successivi cedimenti e deroghe – dal salario minimo alle privatizzazioni – che hanno assunto una nuova e più grave dimensione con l’accordo del 13 luglio al Vertice dell’euro che ha trasformato il coraggioso e inequivocabile “no” alle pretese della “troika” nel referendum del 5 luglio, in un “si” del governo greco per non mettere in causa la partecipazione della Grecia all’euro e la negoziazione di un terzo programma di salvataggio, accettando a tale scopo le più umilianti condizioni che aggraveranno ulteriormente i sacrifici del popolo greco e la situazione di autentico protettorato della Grecia.
Nella sua analisi di questo processo il PCP pone l’accento sulla critica e la condanna del gravissimo comportamento dell’Unione Europea di più completo e arrogante disprezzo della volontà del popolo greco e della sovranità della Grecia. E non sottovaluta – anzi al contrario, gli eventi hanno dimostrato come sarà duro il necessario cammino di rottura del Portogallo con i vincoli dell’euro e dell’UE – le enormi difficoltà incontrate dal governo greco per realizzare il suo programma. La questione di fondo tuttavia è che il governo greco non era preparato, né politicamente né ideologicamente, al confronto, non ha preparato il paese all’uscita dall’euro nel caso ciò si rivelasse inevitabile per assicurare il rispetto della volontà di cambiamento del popolo ellenico. Infatti è evidente che Syriza e il suo governo non hanno mai preso in considerazione la mobilitazione delle masse popolari come un elemento indispensabile per la difesa degli interessi della Grecia di fronte all’Unione Europea e alle sue istituzioni. Lo stesso referendum, presentato come gesto profondamente democratico, più che un passo per dare forza alla posizione negoziale è risultato una manovra del governo per deresponsabilizzarsi. Con un risultato tanto più significativo perché raggiunto contro una forte pressione esterna, in un quadro in cui il governo greco ammetteva la possibilità di lanciare un appello al “si” in cambio di piccole alterazioni al memorandum, e in cui il Partito Comunista Greco faceva appello al voto nullo.
E il peggio è che Syriza sembra volere trasformare la mancanza di coraggio politico e di principi in “senso dello Stato” e l’accettazione di un accordo in cui diceva “di non riporre credito” come una decisione per evitare un male maggiore che ha definito “catastrofe nazionale”. Questo tipo di argomentazione deve essere fermamente respinto perché, indipendentemente da altre considerazioni, va nel senso voluto dalle classi dominanti secondo cui non esiste alternativa alle brutali esigenze del grande capitale e delle grandi potenze.
Nel frattempo il processo di ricatti e pressioni esterne sulla Grecia, non solo prosegue ma diventa sempre più grave e asfissiante, come dimostra il terzo “memorandum” approvato all’Eurogruppo del 14 agosto. La Grecia continua a rappresentare un campo di sperimentazioni per portare più avanti possibile le politiche dell’UE e del FMI di sfruttamento ei lavoratori e di spoliazione della ricchezza nazionale, come è evidente con l’inedita creazione del fondo di privatizzazioni di cinquanta mila milioni di euro gestito dall’UE. La Grecia è ridotta ad autentica colonia interna dell’Unione Europea (ricordiamo le inconcepibili dichiarazioni del ministro delle finanze tedesco) come lo è Porto Rico in relazione agli USA.
Il processo aperto in Grecia con i risultati delle elezioni del 25 gennaio ha avuto importanti ripercussioni sul piano europeo e mondiale.
Si è resa sempre più evidente la natura di classe dell’integrazione capitalista europea mostrando alla società che, come il PCP ha sempre affermato, l’UE della democrazia e della solidarietà non esiste e non è mai esistita, e che il brutale affronto alle scelte democratiche del popolo greco non deriva dalla “rimozione dei valori fondanti” a cui sarebbe necessario ritornare o dalle “imperfezioni” nel processo di integrazione e nei ritardi in un forzato approfondimento federalista, ma è prima di tutto prodotto della costruzione di un sistema di potere sovranazionale al servizio del grande capitale e delle grandi potenze, potere che è necessario affrontare per assicurare il diritto dei popoli a decidere il proprio cammino.
Sono pure diventate evidenti la crisi nel e dell’Unione Europea, le serie difficoltà e contraddizioni in cui si dibatte il processo di integrazione capitalista e la tendenza della classe dominante a rispondere con una sempre maggiore centralizzazione del potere economico e del potere politico, con il rafforzamento dei suoi baluardi neoliberale, militarista e federalista. E non sempre è facile distinguere dove avviene la ripartizione dei compiti e cominciano le reali divergenze tra le differenti frazioni della classe dominante. In ogni caso sono da notare come siano rilevanti le discrepanze pubbliche tra il FMI e l’Unione Europea su come trattare la catastrofica situazione economica e sociale greca e la questione della rinegoziazione del debito, sulla dimensione delle conseguenze di un Grexit nel sistema finanziario capitalista e nella situazione internazionale, tra gli USA e la Germania, tra la Francia e la Germania, e anche tra Merkel e Schauble. Quanto alla socialdemocrazia, pilastro fondamentale della costruzione imperialista europea, profondamente screditata e a rischio di scomparsa nella sua forma attuale, prova a smarcarsi dagli altri partiti del grande capitale, nello stesso momento in cui la sua identificazione con essi sulle principali questioni strutturali non può essere occultata da smarcamenti cosmetici.
La credibilità dell’euro e dell’Unione Europea, in quanto necessità indiscutibili e senza alternativa, e spazio di “progresso e “democrazia”, ha subito in questo periodo un grande colpo, forse un colpo mortale. Sono caduti a terra dogmi e tabù che, in Portogallo, praticamente solo il PCP mette in discussione.
Si è preteso di dare una lezione alla Grecia, di castigare il popolo greco per la sua audacia, di dimostrare che non solo non esiste alternativa allo status quo, ma che si può solo peggiorare la situazione di chi lo mette in discussione.
Si può dunque dire che, nonostante il rapporto di forze ancora sfavorevole, si sono aperte nuove possibilità di sviluppo della lotta.
L’ “europeismo di sinistra” ha subito anch’esso un grande colpo, come lo ha subito il movimentismo anarchicheggiante e anticomunista che ha accompagnato grandi esplosioni di “indignazione” e protesta popolare. Dopo che sono sfumate le illusioni alimentate intorno alla vittoria di Hollande nel 2012 nelle elezioni presidenziali francesi, l’entusiasmo attorno a Syriza, che in Portogallo ha dato luogo alle più ridicole copiature e mimetismi, è impallidito visibilmente. Si veda lo stesso “Bloco de Esquerda”, che dopo innumerevoli viaggi ad Atene e molti inviti a dirigenti di Syriza per aiutarne la sua promozione in Portogallo, marca ora le distanze e critica anche la mancanza di preparazione nell’affrontare le imposizioni tedesche ed “europeiste”. Ma pur registrando le capriole di BE e di altri che hanno approfittato dell’emergere di una Syriza o di un Podemos in Spagna (apparentemente in perdita di popolarità), è necessario dire che, per quanto è possibile osservare, ciò che è essenziale nell’atteggiamento del “Bloco de Esquerda” è la non comprensione della natura di classe dell’Unione Europea e del processo di integrazione capitalista europeo. In ogni caso si tratta di una sconfitta ideologica significativa.
Quanto all’impatto sul Partito della Sinistra Europea, forza ideologicamente opportunista e strutturalmente vincolata all’Unione Europea, ancora in fase di sviluppo, si evidenzia un grande imbarazzo.
In relazione al Partito Comunista di Grecia, il cui ruolo nella lotta dei lavoratori e del popolo greco il PCP ha sempre valorizzato, emergono nel dibattito interrogativi in merito ad aspetti del suo posizionamento politico come nel caso del referendum del 5 luglio.
E’ a ogni partito comunista che compete definire in completa indipendenza e autonomia l’orientamento che considera adeguato per il proprio paese e, anche qualora non si trovi d’accordo, il PCP non imboccherà mai la strada dell’interferenza negli affari interni di un altro partito.
La solidarietà internazionalista dei comunisti portoghesi è una solidarietà di principio che differenze di opinione e divergenze non mettono in discussione.
Ma è evidente che il PCP non può sottoscrivere posizioni che, con il pretesto della solidarietà, possano essere interpretate come di appoggio alla politica e all’azione concreta di un altro partito e molto meno di appoggio a una linea ideologica in cui non si ritrova e a una pratica delle relazioni tra partiti comunisti che considera pregiudizievole per l’unità del movimento comunista e rivoluzionario internazionale. E’ stato a partire da questo ordine di considerazioni che il PCP recentemente non ha sottoscritto la “Dichiarazione congiunta di solidarietà con il KKE”.
Dall’esperienza greca negli ultimi mesi occorre trarre molte lezioni. Ciò compete ovviamente in primo luogo al Partito Comunista di Grecia che trarrà quelle che consideri più adeguate. Il PCP trarrà le sue, rispettando le analisi di altri partiti, ma in completa indipendenza di giudizio e, come sempre, rivolto ai compiti che la lotta pone al nostro Paese.
Il PCP rifiuta tanto i perversi tentativi di identificare la sua solidarietà verso i lavoratori e il popolo greco con l’appoggio al governo di Syriza (partito con il quale del resto non abbiamo relazioni) quanto gli insultanti paragoni che alcuni cercano di stabilire tra ciò che definiscono “governo di sinistra patriottica” di Syriza e l’alternativa patriottica e di sinistra del PCP.
Il PCP ritiene necessario mettere in guardia dai tentativi di utilizzare incoerenze, contraddizioni e cedimenti del governo di Syriza per giustificare tutto un insieme di tesi – ad esempio, la negazione di fasi nella lotta rivoluzionaria, la lotta per il socialismo come compito immediato e universale, la negazione della questione nazionale e delle particolarità nazionali, la sottovalutazione della politica delle alleanze della classe operaia negando o sminuendo l’importanza della lotta antimonopolista e antimperialista e della lotta per la pace – che sostengono che quei partiti che non sono d’accordo sono partiti che vogliono solo “umanizzare” o “gestire” il capitalismo quando lottano per politiche alternative che, pur inseparabili dal socialismo, non lo pongono come compito immediato.
Il PCP, rispettando i principi del movimento comunista, non interferisce nella vita degli altri partiti né pretende di impartire lezioni. E non ha fatto e non farà mai alcun passo che possa essere usato per pregiudicare un altro partito da parte dei suoi avversari e nemici. Ma pure non accetta lezioni da nessuno e respinge frontalmente tutti i tentativi di ingerenza nei suoi affari interni, in particolare per quanto riguarda la Rivoluzione di Aprile, il suo Programma “Una democrazia avanzata, i valori di Aprile nel futuro del Portogallo”, l’alternativa patriottica e di sinistra che propone al popolo portoghese e il suo progetto di società socialista.
La “questione Grecia” continuerà inevitabilmente a incidere sul piano internazionale, in particolare in Portogallo, e dovremo continuare a seguirla da vicino, nelle sue linee fondamentali, poiché ci sono esperienze e lezioni che sono di grande importanza per la riflessione e l’intervento politico del nostro Partito, soprattutto per ciò che riguarda la lotta per la rinegoziazione del debito e lo studio e la preparazione del nostro paese a liberarsi dalla sottomissione all’euro. Una cosa è fin da ora una certezza: gli eventi degli ultimi mesi confermano le analisi e le tesi fondamentali del PCP in relazione all’euro e all’Unione Europea e che la soluzione dei problemi nazionali e la salvaguardia dell’indipendenza e sovranità nazionale, l’alternativa patriottica e di sinistra, esigono la liberazione del Portogallo dai vincoli dell’euro e dal processo di integrazione capitalista europeo, come pure dal dominio del capitale monopolista.