CONSIGLI AI NAVIGANTI a proposito delle considerazioni di Fausto Sorini sui comunisti italiani

di Roberto Gabriele

Fausto Sorini ha riproposto in maniera onesta e corretta, su questo sito, le questioni che da tempo stanno di fronte all’area di quelli che in Italia si considerano comunisti.

La sostanza del ragionamento è questa: qual è il bilancio che si può trarre dalle esperienze ‘comuniste’ di questi decenni? La risposta che dà Sorini è negativa e anche autocritica e mette in luce che le tante avventure corsare che in nome del comunismo sono state tentate in Italia sono arrivate rapidamente al capolinea.

Continuare però a sparare sulla croce rossa non ci fa fare un passo avanti nella valutazione del perchè di questi fallimenti ed è quindi necessario andare alla radice del problema e come ben dice Sorini discutere a tutto campo.

Che all’origine del disastro ci siano state improvvisazioni, calcoli meschini, una cultura non adeguata ai tragici eventi che hanno accompagnato la fine del PCI, è sicuramente vero, ma al fondo di tutto, se si è intellettualmente onesti, bisogna riconoscere che i problemi erano di natura oggettiva. Come si poteva ricostruire una organizzazione comunista in Italia in una situazione di crisi del movimento comunista internazionale e in mancanza di una opposizione forte teoricamente che dentro il PCI si opponesse alla sua mutazione genetica? L’illusione che questa operazione si potesse fare assemblando le componenti di una sinistra di varia estrazione, prevalentemente di tendenza trotskista e movimentista, ha portato a quella che fu chiamata rifondazione comunista, che nulla aveva a che fare con la storia e con i problemi del movimento comunista. Certo dentro questa esperienza c’erano anche compagni e compagne che provenivano da Interstampa che però sono stati schiacciati dall’operato congiunto di Cossutta e Bertinotti e non hanno potuto o saputo uscire da una condizione di sostanziale subalternità. Oppure, è meglio dire, hanno accettato un terreno sbagliato di confronto coi loro interlocutori interni al partito.

Dunque, prendere coscienza che il punto di partenza di una riflessione seria è questo mi sembra preliminare, altrimenti si continua a pestare l’acqua nel mortaio e a ribadire luoghi comuni.

Direi che per far questo occorre prendere atto di alcune cose che qui elenco. Non sono la verità, ma alcuni punti di analisi su cui varrebbe la pena arrovellarsi per giungere a conclusioni che ci possano far fare dei passi in avanti.

La prima è di carattere generale e di interpretazione teorica della crisi del movimento comunista. Non dimentichiamoci che la rifondazione comunista in Italia è avvenuta in contemporanea con il crollo del muro di Berlino, dell’URSS e del socialismo nei paesi dell’est europeo. Quindi su quale analisi storica e su quale interpretazione teorica si è progettata la ripresa? In realtà, invece di andare a fondo alle questioni, ci si è appoggiati ai luoghi comuni di una sinistra effimera che ha dimostrato in breve tempo la sua caducità. Invece, viste le difficoltà di partenza per rifondare qualcosa che stesse all’interno di una tradizione comunista storicamente determinata, bisognava fare conti con una serie di questioni peraltro già presenti prima degli anni ’90 del secolo scorso.

Le ragioni del tracollo dell’URSS, la mutazione genetica dei partiti comunisti più importanti d’Europa, la novità del socialismo con caratteristiche cinesi hanno reso urgente questa necessità. E contestualmente bisognava analizzare le nuove contraddizioni che andavano emergendo nei vari scacchieri del mondo e individuare il che fare? con una lente comunista.

Questo lavoro non si è fatto e, peraltro, bisogna riconoscere che non si poteva impostare dall’oggi al domani. La distruzione della ragione conseguente alla crisi del movimento comunista, in Italia come altrove, aveva determinato la paralisi di una analisi marxista e leninista (divenuta pura retorica nella vulgata identitarista oppure esplicitamente rifiutata in nome di un generico ‘socialismo del XXI secolo’).

La domanda ora è: perchè non si è messo a nudo il re? Perchè si è continuato a blaterare di riorganizzazione dei comunisti senza fare i conti con le cose che avrebbero dato un senso ad un progetto di ripresa? Qui entrano in ballo ovviamente questioni di retroterra culturale e di onestà intellettuale che, come si è detto, mancavano al momento in cui si è andati lancia in resta alla rifondazione del comunismo italiano.

Ora però visto gli esiti bisogna ritornarci sopra e per due questioni.

Una è legata allo sviluppo della situazione internazionale e l’altra ovviamente a quella italiana. I comunisti italiani che vogliono riprendere un percorso di riorganizzazione non possono tentare l’avventura se non collegandosi allo sviluppo del processo mondiale di trasformazione in atto in questa fase storica. Non si tratta di sostituire il libretto rosso con gli scritti di Xi Jin Ping, ma di capire e agire in maniera organizzata nel nuovo contesto che vede la crisi dell’imperialismo occidentale e l’emergere di una realtà che, nonostante le sconfitte degli anni ’90, non ha arrestato il processo di trasformazione di un mondo in gran parte ancora dominato dall’imperialismo e dalla logica del profitto. Su questo la domanda è: a che punto sta lo sviluppo di una corrente culturale e politica che rimetta in moto energie intellettuali e formazione delle coscienze consapevoli delle responsabilità storiche che spettano in modo specifico a chi si richiama al marxismo e al comunismo?

A dire il vero in rapporto alla guerra in Ucraina sono emerse tendenze che hanno condizionato in modo positivo l’orientamento di alcuni settori, seppure ancora minoritari, di compagne e di compagne che hanno saputo mettere a tacere i conati di quella ‘sinistra imperialista’ che era partita con la denuncia dell’aggressione russa all’Ucraina. Su queste cose non si può però vivere alla giornata. L’analisi delle contraddizioni epocali che sta vivendo l’umanità in termini di guerre, di povertà, di distruzione dell’ambiente e delle risorse e del modo di uscirne diventa il centro della ripresa per chi si considera un marxista, un comunista e interpreta in modo rivoluzionario la sua funzione. Possiamo dire che per riaprire una nuova fase di lavoro i comunisti devono ripartire da qui liberandosi da quelle strutture fatiscenti di ‘comunismo’ che fino ad oggi hanno impedito una crescita collettiva e unitaria e dimostrando di essere all’altezza delle contraddizioni e del conflitto.

Ma non si tratta solo di questo. Se la funzione internazionale e internazionalista è questa – e qui è bene ribadire che le varie fasi dello sviluppo del movimento comunista sono state caratterizzate da esperienze di questo tipo – non può si eludere il retroterra nazionale senza il quale il lavoro dei comunisti non avrebbe le basi per avanzare.

Da questo punto di vista la situazione si presenta in modo complesso e con molte difficoltà. La liquidazione del PCI ha prodotto nella società italiana una serie di conseguenze che non possono essere superate facilmente. Chi si è appropriato del simbolo del partito credeva furbescamente di aver fatto un buon affare, senza rendersi conto di come stavano veramente le cose. Il simbolo si è trasformato in una patacca.

Intanto bisogna considerare il fatto che la crisi del movimento comunista ha significato crisi di tutti i maggiori partiti comunisti europei. E un ragionamento su questo va fatto. Perchè questi partiti si sono praticamente estinti o trasformati in una melassa socialdemocratica? Che relazione c’è tra l’esito di una storia così importante del comunismo europeo e l’evoluzione oggettiva della realtà sociale di riferimento?

Questo interrogativo pesa anche rispetto all’Italia ed è quello con cui bisogna misurarsi nel concepire un progetto di ripresa.

Per prima cosa bisogna fare un bilancio parallelo tra i movimenti politici e di lotta di questi decenni e la presenza dei comunisti nel contesto. Il bilancio è fortemente negativo per i comunisti. Lo sviluppo dei movimenti politici e delle lotte è avvenuto, sul piano organizzativo e ideologico, sotto l’egida di una sinistra ‘alternativa’ e ‘antagonista’ abbastanza lontana dal modo di agire e di pensare dei comunisti. E questa è la conseguenza di un modo identitario che dimostra, anche da questo punto di vista, l’immaturità politica dell’area dei comunisti che non si sono confrontati con l’esperienza migliore del PCI. E’ come aver buttato il bambino con l’acqua sporca.

A scanso di equivoci bisogna dire però che questo discorso non ha nulla a che fare con il berlinguerismo, quello del compromesso storico, dell’ombrello della NATO e della democrazia come valore assoluto che rappresenta il Rubicone dei comunisti italiani.

Però non si può essere comunisti a prescindere. Il recupero dell’esperienza storica dei comunisti italiani prima della degenerazione deve essere l’architrave di una ridefinizione di una strategia comunista. Essa deve prevedere l’aggancio dell’asse Resistenza-Repubblica-Costituzione e in continuità con questo passaggio storico va impostato il progetto di riorganizzazione dei comunisti assumendosi la responsabilità storica che può sbloccare la deriva neofascista e liberista del sistema politico italiano e recuperare le energie per un fronte politico costituzionale di cui i comunisti devono essere un punto di forza.

Discutere tra comunisti per affrontare i nodi con l’onestà intellettuale e la determinatezza di voler cambiale le cose. Questo mi sembra il messaggio di Fausto Sorini.

Unisciti al nostro canale telegram