di Aginform
Una rifondazione inesistente e un identitarismo facilone, attraversato da tentativi corsari di rianimare un soggetto politico scomparso, hanno condannato per decenni l’area comunista, quella storica e quella di nuova generazione, alla ghettizzazione. Per porre fine a questo stato di cose bisogna riportare il ragionamento (e l’autocritica) a quelli che sono i pilastri di una possibile discussione che appare quanto mai necessaria.
In premessa bisogna dire, e ricordarlo a chi ci ha provato, che la costruzione di un partito, e in particolare di un partito dei comunisti, ha bisogno di individuare e svolgere un ruolo storico su cui la sua azione possa fondarsi. Sembra una considerazione ovvia ma, dati i risultati, non pare faccia parte del DNA di almeno una generazioni di rifondatori del comunismo italiano. Il ruolo storico di un partito infatti non si basa solo su principi generali, ma anche e soprattutto sulla capacità di affrontare la situazione in cui ci si trova concretamente ad operare. La prima domanda da porsi perciò è questa: i comunisti italiani, se vogliono uscire dal ghetto in cui si sono cacciati dopo l’esperienza Cossutta-Bertinotti, in che modo devono ‘rifondarsi’?
Per cominciare bisognerebbe evitare di usare la parola ‘rifondazione’ che rispetto ai fini per cui a suo tempo fu proposta ha un significato tutt’altro che chiaro, alla base del quale c’era appunto un’idea diversa dalla necessità di fare un bilancio serio dello sviluppo e delle contraddizioni del movimento comunista, in assenza del quale venne proposta un’ipotesi posticcia priva di basi scientifiche e dialettiche. Su questo però torneremo a breve in altra sede perchè la discussione di merito richiede una elaborazione più specifica.
Cerchiamo invece qui di affrontare il nodo della funzione concreta e storica da cui dipende la ripresa dei comunisti in Italia. Perchè la questione è appunto questa, dimostrare che i comunisti servono a sciogliere i nodi dei conflitti e delle contraddizioni che si presentano in un paese come il nostro. Finora è accaduto invece che l’area comunista è rimasta ai margini del sistema politico e non è riuscita a darsi una prospettiva legata allo sviluppo della situazione.
Se proviamo ad analizzare i punti su cui i comunisti hanno la necessità di dimostrare di avere un peso e di svolgere un ruolo effettivo, emerge che oggi in Italia si pongono concretamente tre ordini di problemi: la capacità di condurre la lotta contro le forze liberiste e autoritarie rappresentate dal governo Meloni; la riorganizzazione del movimento dei lavoratori su basi di classe e, infine, la capacità di interpretare correttamente la nuova situazione internazionale e portare l’Italia fuori dalla guerra. Queste cose però non vanno solo dette nei comunicati, bisogna creare gli strumenti in grado di realizzarle.
Riorganizzazione e capacità operativa non sono dunque fattori separati da una sorta si muraglia cinese: di qua il partito dei principi e dall’altra parte quello che potremmo definire situazione reale e livelli delle contraddizioni da affrontare. Questa è l’idea che deve penetrare nella coscienza di quanti pretendono di rapportarsi alla realtà con una posizione comunista. Pretendere di agire da comunisti senza sciogliere i nodi politici è pura velleità, un misto di opportunismo e di pigrizia intellettuale che rende caricaturale oggi il modo di esprimersi, un modo non politico, ma retorico e ideologico, per salvarsi la coscienza e restare al palo della storia. Per questo il vero problema per la ripresa di una presenza comunista non sta solamente nel riferimento alla cultura e alla storia dei comunisti, ma anche nella definizione di un ruolo preciso nel contesto della realtà italiana. Per questo la definizione di un asse strategico dei comunisti italiani dipende da come saranno capaci di cambiare effettivamente le cose, non a parole ma col movimento reale. Solo in questo modo si può determinare una ripresa.
Intitolando questa nota ‘comunisti alla prova’ intendiamo dire precisamente che non si conquista il paradiso senza passare per l’inferno della lotta politica e di classe, dimostrando nella realtà che la propria analisi e la propria azione sono capaci di sciogliere i nodi delle contraddizioni che ora si presentano con il volto del governo Meloni, lo schiacciamento dell’autonomia contrattuale dei lavoratori e la necessità di orientare e dirigere il movimento contro la guerra e l’imperialismo nella nuova fase storica. Osare combattere, osare vincere, diceva Mao. Ridursi a nicchia intellettuale o organizzativa dimostra solo che non si è capita la lezione.
Si dirà che le condizioni oggettive non permettono lo sviluppo rapido di un movimento guidato dai comunisti, che sono usciti con le ossa rotte dalla liquidazione del PCI e dal crollo dell’URSS, ma da quei tragici eventi sono passati tre decenni e la situazione si è di nuovo, e da tempo, messa in movimento.
Come sta scavando la vecchia talpa comunista? A nostro parere all’orizzonte non c’è da noi niente di nuovo. Non si intravede nessuna capacità di sfidare la deriva di destra lavorando a un fronte costituzionale che dia all’Italia una direzione di marcia antiliberista e antifascista. Sul terreno dell’autonomia di classe non si verifica nessuna rottura del controllo confederale che incida sulle condizioni dei lavoratori, al di fuori della messa in scena di un nuovo confederalismo privo di effettivo consenso. Anche sul nodo cruciale della guerra e dello sviluppo delle contraddizioni epocali non si registra un peso pratico e teorico riferibile ai comunisti. In quest’ultimo caso non mancano è vero elaborazioni e contributi che vanno nella direzione giusta, ma da qui ad arrivare a una egemonia culturale con effetti politici ce ne passa.
Bisognerebbe dunque che la riflessione critica parta da queste cose e si cominci a parlare come un’area comunista possa riacquistare la sua vitalità e servire a sbloccare la situazione caratterizzata da una opposizione politica e sociale debole e da orientamenti neotrotskisti e anarcosindacalisti che nella loro impotenza strategica rimangono subordinati al gioco dei ‘grandi’ cioè di quelli che controllano la situazione e che bisognerebbe invece avere la capacità di mettere in discussione.
A tutti i comunisti che continuano a cercare una prospettiva bisogna ripetere il detto hic Rhodus, hic salta. Questi sono i problemi, e invece di andare a inseguire improbabili unità dei comunisti o riproporre avventure corsare in nome del comunismo cerchiamo di misurarci con una realtà che per essere affrontata avrebbe bisogno del contributo di coloro che hanno, o dovrebbero avere, gli strumenti di analisi e l’eredità storica per misurarsi con le contraddizioni odierne di una società come quella italiana. Il punto di partenza è sempre quello del che fare? e del capire che, per evitare di parlare al vento e di far finta di camminare quando invece si sta sempre allo stesso posto, bisogna insistere nel rompersi la testa nella verifica di ipotesi e risultati.
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