di Roberto Gabriele – Paolo Pioppi
riceviamo e pubblichiamo
Le note che seguono servono a rinvigorire la discussione iniziata il 19 novembre col primo Forum. Ci auguriamo che l’interesse dei compagni sia rimasto vivo e per questo ci aspettiamo altri interventi sull’argomento prima che inizi la preparazione del secondo Forum su “I comunisti e la situazione internazionale” che si terrà alla fine di gennaio e della cui preparazione vi daremo conto.
L’interrogativo va posto in modo assolutamente onesto e oggettivo non solo valutando i risultati dei ‘comunismi’ che si sono espressi nel nostro paese dopo lo scioglimento del PCI, che sono quelli che conosciamo, ma partendo dal dato degli effetti nella società italiana, e in particolare sui ceti di riferimento del partito comunista. Questo non vuol dire abbandonarsi a un pessimismo senza sbocchi, ma prendere atto della realtà e partire da questa per capire il Che fare?
In una società come quella italiana, in cui l’egemonia del PCI sul movimento dei lavoratori e sui ceti democratici e di sinistra è stata costante per decenni, la mutazione genetica del partito ha prodotto effetti devastanti. Per milioni di uomini e donne che avevano il partito come riferimento, la denuncia degli ‘errori e degli orrori’ del comunismo, l’azione propagandistica della borghesia e dei suoi organi di informazione, il venir meno del ruolo di difesa sociale del sindacato di classe, hanno fatto sì che la parola ‘comunista’ sia diventata qualcosa di estraneo. Se non si fanno i conti con questa realtà, che pesa come un macigno, si riesce solo a smuovere i cocci dei fallimenti registrati finora, ma non si fanno passi in avanti.
Una riprova di questo è stato anche il fallimento del tentativo di promuovere la ‘rifondazione comunista’ con cui si è cercato di utilizzare a fini elettoralistici il bacino di voti del PCI, tentativo rapidamente naufragato e non solo per l’inconsistenza strategica e le ambiguità di chi, nella sostanza, pretendeva di rinnovare il comunismo contrapponendosi alla storia del movimento comunista, ma anche perchè la crisi comunista non consentiva nessuna rapida ripresa. Ricordiamoci che la posizione di Cossutta dentro il partito era assolutamente minoritaria e variegata.
Certamente sulla scena sono rimasti i resti di un’epoca che fu, che hanno alimentato gruppi identitaristi e nicchie culturali, ma tutto questo non ha significato la ripresa di un vero movimento comunista basato sul consenso popolare e su una chiara prospettiva politica. Al suo posto si è andato invece sviluppando un radicalismo politico che, in contrapposizione alla cultura dei comunisti italiani, ha assorbito ideologie massimaliste, neotrotskiste e movimentiste e sono state proprio queste correnti di pensiero che hanno egemonizzato le aree di quello che è rimasto di una opposizione politica che si esprime con caratteristiche fortemente minoritarie.
Le due condizioni necessarie per ritrovare un percorso politicamente rilevante per i comunisti avrebbero dovuto basarsi su una ripresa della capacità teorica accompagnata da una definizione del percorso strategico con cui dimostrare la validità delle nuove ipotesi. Ma nessuna di queste due condizioni si è realizzata. Bisogna anche ammettere che rispetto a tutte le questioni poste dal crollo dell’URSS e dalla crisi del movimento comunista non si poteva improvvisare anche perché dentro il PCI non si è mai contrapposta una vera alternativa alla mutazione genetica che andava maturando. Il cossuttismo è stata una risposta debole e ambigua. La ripartenza non era dunque a portata di mano e quelli che si sono misurati con la questione comunista in Italia l’hanno fatto improvvisando e pensando più a un ritorno politico di bottega che a una prospettiva di ripresa effettiva e tutto quello che si è creato di ‘comunista’ dopo lo scioglimento del PCI è rimasto in effetti su quel terreno.
Qualche furbo, nel frattempo, fiutando l’aria che tira, ha abbandonato la barca ‘comunista’ che faceva acqua da tutte le parti e si è spostato verso lidi sovranisti considerati più redditizi per nuove avventure politiche.
La questione oggi non è però tanto giudicare queste scelte, ma capire in termini oggettivi il problema che si ha di fronte rispetto alle ipotesi di ripresa. Se si vuole andare in questa direzione, bisogna misurarsi con un’analisi delle caratteristiche odierne della società italiana, delle potenzialità concrete che esistono di rompere gli schemi su cui è impantanata oggi l’Italia con il suo il sistema liberista legato alla UE e da lì partire per riavviare un rapporto dialettico tra sviluppo delle contraddizioni e ripresa organizzativa dei comunisti. Soprattutto si tratta di capire il livello vero delle contraddizioni e il modo di gestirle in una prospettiva strategica.
Partiamo dunque da questo per arrivare poi a ipotesi conclusive sul piano politico e organizzativo. Se consideriamo la situazione da un punto di vista generale dobbiamo constatare che nei tre decenni che ci separano dagli anni ’90 del secolo scorso, c’è stato in Italia il capovolgimento completo del panorama politico-sindacale e dei rapporti tra le forze borghesi e una sinistra con basi di classe. Quest’ultima è ormai ridotta a tentativi minoritari e massimalisti che non hanno sostanziale incidenza sullo sviluppo della situazione italiana. Soprattutto quello che risulta evidente nella situazione odierna è il consolidamento della rottura del rapporto tra una posizione politica organizzata comunista e di classe e i milioni di lavoratori privi di punti di riferimento.
Nel considerare quindi la questione della riorganizzazione dei comunisti dobbiamo domandarci quali sono gli ostacoli da superare e anche se in questa fase essi siano tutti soggettivamente superabili o ciò dipenderà dallo sviluppo delle nuove contraddizioni da cui si potrà generare un nuovo ciclo organizzativo e politico.
Ovviamente questo problema può non interessare coloro che fino ad oggi si sono trastullati con ipotesi ‘comuniste’ immaginarie rifiutando di vedere che il re è nudo. Con una presenza politica distorta costoro certamente non facilitano la soluzione dei compiti che abbiamo di fronte, ma contro di loro non bisogna farsi coinvolgere in guerre di religione. Semmai si tratta di aiutare un processo di trasformazione politica e di impostazione teorica che riporti l’azione dei comunisti sul terreno della concretezza e della razionalità. In questo rientra anche il lavoro culturale che si sviluppa attorno alla questione comunista, rispetto al quale bisogna constatare purtroppo che esso si ferma spesso all’informazione internazionale o ad una saggistica che non entra mai nell’ambito di una analisi teorica delle contraddizioni e di come esse vadano sfruttate concretamente. Si tratta di un lavoro prepolitico che spesso e volentieri viene scambiato per altra cosa e tiene vivo l’immaginario per nascondere una desolante situazione di fatto del movimento reale.
L’errore che si compie in questo caso è pensare che si possa fare un passo avanti nella direzione giusta senza prendere il toro per le corna e continuando a pestare l’acqua nel mortaio. Eppure basterebbe ricordare che la teoria scientifica dei comunisti, come ci hanno insegnato quelli che consideriamo i nostri maestri, si è sempre basata su un rapporto stretto tra analisi e pratica rivoluzionaria.
Cerchiamo di rispondere alla prima delle domande che ci siamo posti, gli ostacoli cioè alla riorganizzazione dei comunisti che dipendono dalla situazione politica esistente oggi nell’area comunista.
In via preliminare, bisogna mettere al centro del dibattito la questione delle ‘fonti’ di riferimento di quelli che si dichiarano comunisti e su questo stabilire anche una discriminante. Non si tratta di un ostracismo pregiudiziale, ma di una necessaria depurazione di contenuti per evitare confusione sul concetto di comunismo e sugli interlocutori possibili. Per noi il punto di riferimento sono coloro che hanno una cultura legata alla storia del movimento comunista italiano e mondiale. E’ con questo settore, utilizzando dunque il marxismo e l’esperienza teorica e il metodo del movimento comunista che riteniamo prioritario interloquire e creare una prospettiva comune che si confronti anche con gli altri ‘comunismi’ che hanno tenuto banco finora. Finora il mancato adeguamento del marxismo e del suo collegamento con la storia e l’elaborazione dei comunisti italiani e l’accettazione di una vulgata radicaleggiante a anarco-sindacalista come base dell’azione politica hanno favorito una deriva che di fatto ha reso impossibile qualsiasi ripresa e uscita dalla crisi. Abbiamo vissuto per decenni con una rappresentazione ideologica e romantica del comunismo scambiandola per una possibilità effettiva.
Questa situazione sussiste ancora, anche se in forma molto più logora e meno credibile. Da questa condizione però bisogna emanciparsi per rimettere le cose sui binari giusti e questo non può avvenire in una condizione di stagnazione come l’attuale. Ritorniamo così al punto di partenza, al discorso dell’uovo e della gallina. Da dove può nascere il soggetto che sia in grado di rimettere le cose a posto e riaprire un discorso corretto per cambiare rotta se manca ancora un brodo di cultura adeguato?
A portata di mano, in verità, non vediamo soluzioni immediate.
A nostro parere non c’è stato infatti finora nessun avanzamento nel dibattito e nella crescita di forze comuniste per cui ciò che si può intravedere, stando in questa situazione, è tentare una sia pur lenta opera di recupero di potenzialità attraverso la critica dell’esistente, l’unica cosa che potrà in seguito, dislocare in avanti un progetto nuovo. Ed è quello appunto che ci siamo riproposti con il Forum dei comunisti italiani, il quale si ripropone di aprire una strada nuova valutando i passaggi concreti, in termini organizzativi e di contenuti.
A volte per nascondere le difficoltà si tira in ballo la Cina. E’ vero che c’è il peso della Cina nel nostro futuro, ma appoggiarsi essenzialmente a questo non può risolvere i nostri problemi. Diciamo ciò a tutti i compagni e le compagne che, trovando arduo affrontare le cose da noi, sperano che gli avvenimenti mondiali ci aiutino a levare le castagne dal fuoco. Anche questa è una illusione di cui dobbiamo liberarci perchè in realtà dobbiamo sempre fare i conti con la condizione reale esistente in Italia e quindi non possiamo dimenticare che c’è una destra al potere, una UE che tenta un rilancio imperialista e di guerra e un’assenza di forze politiche con cui questa realtà debba effettivamente fare i conti.
In attesa che questo nodo si sciolga, che avanzi la possibilità di rompere le mistificazioni esistenti sui ‘comunismi’ italiani, ci limitiamo in questo inizio del 2024 a due considerazioni che vanno comunque fatte e che sono in parallelo con ciò che abbiamo scritto finora. In realtà potrebbero sembrare in contraddizione col punto di vista espresso finora in quanto, richiamando ad una difficoltà oggettiva per una ricostruzione organizzativa, andare oltre può sembrare un’ipotesi per ora astratta. Eppure una riflessione in tal senso va fatta comunque perchè contribuisce a far crescere un pensiero dialettico con la situazione reale e nei rapporti con la società.
Le questioni da considerare sono:
a) di quale organizzazione abbiamo bisogno quando pensiamo alla ripresa comunista?
b) come andrebbe reimpostato il lavoro di intervento dei comunisti nella società italiana che non sia solo di tipo ideologico e propagandistico ma consenta un recupero di influenza politica di massa?
Sul punto a).
Anche se ci rendiamo conto che definire i caratteri di una ripresa organizzativa in una condizione come l’attuale è assolutamente prematuro, nelle discussioni va comunque sottolineato che ogni tipo di ripartenza deve prevedere una militanza operativa che si basi su un metodo comunista. Il che significa, in sostanza, che per i comunisti ogni progetto deve essere suffragato da un impegno strategico dei componenti dell’organizzazione in rapporto appunto alla sua finalità. Che non è quella di rappresentare sul piano politico interessi transitori, ma qualcosa di completamente diverso. Si tratterà di riproporre una capacità di tenuta strategica e di elaborazione teorica che solo un’organizzazione comunista può possedere.
Il che non significa riproporre metodi bordighisti o da setta, ma essere coscienti che un’organizzazione comunista è uno strumento di trasformazione sociale che può realizzarsi solo con un’assunzione di responsabilità storiche di chi la dirige e una visione corretta delle prospettive, frutto di una elaborazione scientifica.
Dire questo sembra una banalità, ma visto come sono andate lo cose in area ‘comunista’ non è male includere questo concetto nelle considerazioni da fare. Mettiamo in chiaro perciò ancora una volta che non abbiamo bisogno di politici ‘comunisti’, ma di militanti, a ogni livello, che abbiano chiaro l’obiettivo da perseguire e siano in grado di rapportare le parole ai fatti.
Ma da dove nascono questi militanti? Certamente non possono essere, com’è oggi, residui di vecchie esperienze storiche. C’è bisogno di un innesto tra un’ipotesi di trasformazione sociale adeguata alla fase e le esigenze di massa che emergono dalla società. Solo questo può superare il dilemma dell’uovo e della gallina, il rapporto dialettico tra realtà e sviluppo dell’organizzazione.
Sul punto b).
La pratica politica dei comunisti prescinde da ogni forma di radicalismo e di movimentismo. Essa deve necessariamente essere interna alle esigenze reali che si esprimono in una determinata situazione storica e capace di analizzare il carattere delle contraddizioni e saperle utilizzare in un progetto di trasformazione dell’esistente.
Questo modo di pensare implica innanzitutto capire come il progetto strategico si rapporta alla fase storica di un determinato paese in cui l’organizzazione comunista opera. Nel caso dell’Italia, se non vogliamo abbandonare il patrimonio di lotte e di idee che hanno caratterizzato a suo tempo l’opera dei comunisti, dobbiamo considerare qual era il punto a cui era arrivata la situazione nei rapporti di forza tra forze progressiste e rappresentanti delle forze padronali e sfruttatrici al momento della liquidazione del PCI e se la ripresa politica deve ripartire da questo considerando, come pensiamo noi, che seppure il partito comunista si è suicidato, la società italiana ha assorbito gli anticorpi del periodo Resistenza-Costituente-Repubblica e quindi sussiste una aspettativa. Se riteniamo valido questo presupposto, esso va sfruttato per una nuova fase di avanzamento delle forze popolari e progressiste collegato all’azione dei comunisti.
Su questo bisogna passare dalle parole ai fatti. In che modo devono agire i comunisti perchè questo progetto si realizzi? Questa è una discussione importante da aprire, perchè la vulgata corrente è che basti decidere di fondare un’organizzazione comunista e il rapporto di massa diventa conseguenziale. Basta distribuire volantini e fare qualche convegno. Questo è un punto di vista non materialistico ed estraneo al pensiero comunista. Si confonde, in questo caso, l’analisi marxista con il processo reale e il risultato che si può ottenere è un’organizzazione ossificata e fuori dal processo storico.
Noi pensiamo dunque, su questa base, che il progetto di riorganizzazione dei comunisti non può essere scollegato dalle potenzialità che la situazione esprime e, per non cadere nel velleitarismo, dobbiamo individuare correttamente il punto di partenza.
Da tempo stiamo ragionando sul Fronte politico costituzionale come motore di una ripresa possibile. Non si tratta, scegliendo questa strada, di misurarsi con una soluzione ‘istituzionale’ delle contraddizioni esistenti in Italia, ma di puntare a quella trasformazione dell’Italia che la Costituzione prevede e che rappresenta un passaggio storico che darebbe continuità e credibilità alla ripresa dell’iniziativa comunista.
La discussione su questo è aperta e serve comunque ad entrare nel merito di un progetto di ripresa che ancora molti comunisti ritengono collegato essenzialmente a una base storico-ideologica.
Un programma costituzionale implica anche riproporre, di conseguenza, un progetto di riforme di struttura, di conservazione e ampliamento del settore pubblico e funzionale all’interesse generale della società, non solo come obiettivo politico, ma come azione quotidiana di lotta per conseguirle.
Queste nostre sono ovviamente ipotesi e valutazioni da verificare nelle discussioni che verranno. Non abbiamo fretta, ma neppure vogliamo essere complici delle mistificazioni che hanno portato al blocco dell’analisi concreta della situazione concreta e alla dispersione delle forze.
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