Transizione ecologica: cosa ne pensa il popolo di Twitter?

di Francesco Galofaro e Marco Pondrelli

Dedichiamo l’analisi di questa settimana alla transizione ecologica, che è sia il nome di un processo di ristrutturazione capitalistica così importante che ad esso è dedicato un ministero presieduto da Roberto Cingolani, tecnico indipendente, fisico per formazione, fan dichiarato dell’energia atomica. Il suo avversario più temibile è Francesco Starace, amministratore delegato di ENI, che lo ha pubblicamente sconfessato sul nucleare: “Quando si parla di energia il dibattito resta spesso a metà tra la fantascienza e l’ideologia, ma il prossimo sarà il decennio delle rinnovabili e delle batterie. Per il resto c’è molto da studiare e poco da fare”. Questa la dichiarazione di Starace al convegno sulla transizione tenutosi a Bologna la scorsa settimana.

L’AD ha anche dichiarato che USA e Unione europea, invece di incolpare Cina e India per la situazione ambientale, farebbero meglio ad assumersi le proprie responsabilità: il 25% delle emissioni dell’atmosfera sono causate dagli Stati uniti, il 23% dall’Europa, solo il 15% dalla Cina e addirittura il 3% dall’India. Facendo due calcoli, il 48% delle emissioni sono causate dalle 778 milioni di persone più ricche del pianeta; il 18% sono causate da 2 miliardi e 900 milioni di persone in via di sviluppo. Insomma, il 10% di benestanti inquinatori dà tutta la colpa al 40% più povero che tenta la via della prosperità.

Ma la nuova etichetta “green” corrisponde sul serio a una presa di responsabilità ecologica, o è solo un logo per venderci nuovi prodotti, nell’illusione di non dover cambiare il nostro stile di vita e i nostri modelli di consumo? Abbiamo pensato di sondare il popolo di twitter per vedere cosa pensano della “transizione ecololgica”. Per questo, abbiamo effettuato una analisi del sentiment dei 200 messaggi più influenti della scorsa settimana su questo argomento. La risposta è: tutto il male possibile (fig. 1). Solo un 3% dei messaggi esprime una polarità positiva. Quanto alle emozioni suscitate dalla transizione ecologica (fig. 2). Prevalgono la rabbia (52%), tristezza (25,5%), paura (14,5%); di nuovo, come è prevedibile, solo un 3% esprime gioia.

In fig.3, abbiamo le parole più usate dai messaggi gioiosi. Alcuni esempi: un utente chiede al ministro della salute se è per un made in Italy che garantisca maggior benessere animale; un secondo utente è felice perché è stato abbattuta la ciminiera di un inceneritore; un terzo utente si onora di partecipare alle “Giornate dell’Energia e dell’Economia Circolare”.

Di tutt’altro tenore i messaggi negativi (fig. 4). Ecco alcuni esempi di utenti arrabbiati: “Transizione ecologica: in arrivo nuovi pozzi” (Presa diretta); “Con la vostra certificazione continuerà a essere finanziato chi alleva intensivamente e nell’irregolarità”; “Questo è l’inizio, poi peggiora!”. Paura: “Obiettivi climatici: bombardieri e droni per la transizione ecologica”; Tristezza: “Per favorire la transizione ecologica bisognerebbe dare informazioni chiare in etichetta ai consumatori”.

Insomma, evidentemente le idee del popolo di Twitter su cosa sia l’ecologia divergono un po’ da quelle del governo. L’Unione europea ha puntato tutto sulla green economy, ma si continuano a costruire parcheggi per i TIR in val di Susa, si promettono ponti sullo stretto di Messina, le foreste continuano a bruciare, i monti a franare, i mezzi pubblici a latitare. Mentre attendono un rincaro delle bollette, gli italiani si apprestano a passare allo standard di trasmissione mp4, che permetterà a tutti di guardare le serie televisive in alta definizione. Per questo, rottameremo vagoni di televisori quasi nuovi.

Il modo di presentare la green economy è profondamente diseducativo. In sostanza, ci stanno vendendo un prodotto nell’illusione che l’ecologia sia compatibile con il mantenimento delle nostre (pessime) abitudini. Ad esempio, ci dicono che possiamo continuare a usare i detersivi come prima, purché siano green; non ci consigliano di ridurre i lavaggi, di sporcare di meno, di utilizzare meno acqua. Allo stesso modo, tempo fa, ci dicevano che avremmo potuto continuare a ingurgitare litri di bevande gassate, purché fossero “light”. Ha funzionato? Pare di no: nell’arco degli ultimi trent’anni, nel nostro paese l’aumento dell’incidenza del sovrappeso è stato del 30 per cento e l’obesità è aumentata del 60%. Insomma: green è il nuovo light.

Figura 1

Figura 2

Figura 3

Figura 4