di Francesco Galofaro e Marco Pondrelli
Il trattato del Quirinale, firmato il 26 novembre da Emmanuel Macron e Mario Draghi, desta più di una perplessità. Il testo non ancora ratificato dal Parlamento, è una sorta di cornice vuota che insiste su cooperazione, consultazione e scambio, elencando una serie di materie. L’accordo ratifica un riavvicinamento tra Italia e Francia, due nazioni i cui interessi in politica estera sono più volte entrati in urto, per quanto le rispettive classi dirigenti si siano sforzate di minimizzare la cosa presso l’opinione pubblica. L’esempio più evidente è la Libia, oggetto delle politiche neocolonialiste francesi a tutto discapito degli interessi petroliferi italiani. Anche politiche sull’immigrazione sono state oggetto di conflitto: anni fa, la polizia francese è giunta a sconfinare in Italia per impedire agli immigrati clandestini di attraversare la frontiera. Un altro momento indimenticabile si è avuto quando Di Maio, ministro degli esteri, ha espresso il proprio sostegno ai movimenti dei gilet gialli che contestavano Macron. Si potrebbe continuare con la contesa sulle rispettive aree di pesca, oppure ritornare ai conflitti degli anni ’80, alle vicende di Ustica e la lista sarebbe ancora molto lunga. Tuttavia, negli utlimi tempi si son visti sporadici riavvicinamenti. Come ha notato Sergio Fabbrini sul Sole 24 ore del 28 novembre, la convergenza tra Francia, Italia, cui significativamente si è aggiunta la Germania, è stata decisiva per l’approvazione del programma Next Generation EU. Seppur con scarsa fortuna, l’Italia aveva in passato cercato di farsi invitare alla tavola dell’asse franco-tedesco con pari dignità, per non ridursi a mero terreno di spoliazione economica, conquista e shopping per le aziende d’oltralpe. L’ordine delle materie del trattato con la Francia è molto significativo: al primo posto gli affari esteri con riferimento al nord africa; la sicurezza: la promozione di una difesa comune della UE nell’ambito della NATO e la collaborazione tra i due apparati bellico-industriali, con un esplicito riferimento al settore spaziale; vi è poi l’auspicio di mantenere una posizione comune all’interno della UE su un insieme di questioni, tra cui spicca l’impegno per il sistema della maggioranza qualificata per quanto riguarda le decisioni del Consiglio. Altro punto importante riguarda le politiche migratorie, non certo verso l’accoglienza, che spesso anima la retorica liberale sull’argomento, bensì per “rafforzare l’integrità dello spazio di Schengen”. Per quanto riguarda la politica d’asilo si invoca invece l’UE e la condivisione degli Stati membri. In un articolo pot-pourri si promuove la concertazione circa le grandi scelte di politica industriale, il 5G e ciò che il documento chiama “quantistica”: la costruzione di supercomputer e di canali di comunicazione sicuri, tema complesso e all’avanguardia che allude al rapporto con la Cina. Su questi punti le scelte italiane e francesi in passato sono state divergenti. Seguono sviluppo sostenibile, spazio, ricerca, cultura, giovani, cooperazione transfrontaliera.
Cosa ne pensa la rete? – Come di consueto, i nostri potenti algoritmi hanno analizzato gli scambi di vedute dei 200 messaggi più influenti di Twitter per cogliere le reazioni degli utenti alla notizia della firma. Il 74% dei messaggi manifesta un atteggiamento negativo (fig. 1); quanto alle passioni (fig. 2), il 55% manifesta rabbia; segue un 33% di messaggi gioiosi, un 7,5% di messaggi tristi, mentre un 4% di messaggi esprimono paura.
La maggior parte dei messaggi manifestanti rabbia denuncia la scarsa trasparenza del trattato circa i contenuti. Giornalisti compiacenti hanno evidenziato l’evento con un tasso di retorica francamente controproducente, evitando però di entrare nel merito delle questioni discusse. Nonostante il riserbo, tuttavia, alcuni fanno notare che la stampa estera ha riportato ampli stralci del testo, mentre da noi si sono avute solo “sintesi precotte”. Perciò si sono diffuse le notizie più allarmanti: l’accordo è stato considerato come una sorta di resa o di “auto-annessione” dell’Italia ai cugini francesi (così almeno i messaggi che esprimono paura). Ai pennivendoli alcuni messaggi ricordano che è sbagliato parlare di “ratifica”, perché l’articolo 80 della costituzione assegna questo compito al Parlamento, il quale non è stato coinvolto e, secondo alcuni, addirittura tenuto all’oscuro. Molti messaggi vedono in ciò la conferma del fatto che la polemica green pass/no-vax è solo una sorta di utile polverone per distrarre l’opinione pubblica dalle questioni realmente importanti. Qualcuno denuncia l’ennesimo mutamento di posizione di Di Maio e di Salvini. Dato il buio sui contenuti, Claudio Borghi (Lega) ha in un primo momento auspicato che “il Trattato del Quirinale italo – francese serva a spezzare l’egemonia tedesca in Europa, altrimenti è negativo”; poi, in seguito alla lettura del testo, ha dichiarato che, al netto della retorica europeista, è contento di non trovarci il trattato di Caen sui confini marittimi.
Alcuni messaggi esprimono, come di consueto, una gioia associata a un atteggiamento negativo: si tratta chiaramente di sarcasmo: ad esempio, alcuni notano che il trattato tace sulla restituzione della Gioconda. I messaggi positivi invece sono in maggioranza tweet di testate giornalistiche, che hanno dato della vicenda l’ennesima lettura acritica e unilaterale, parlando del nuovo asse dell’integrazione geopolitica europea nell’era del dopo-Merkel o dell’autostima nazionale, oppure di politici che sottolineano la storicità del momento (Paolo Gentiloni), l’ambizione del trattato, il fatto che conteremo di più in Europa.
I messaggi che esprimono tristezza lamentano di nuovo l’assenza di informazioni sui contenuti, l’incomprensibilità dell’emozione espressa dalla stampa. Tra i favorevoli al trattato, alcuni si rammaricano del mancato coinvolgimento della Germania, o del fatto che il trattato di Aquisgrana prevedeva una maggiore integrazione (il famoso asse franco-tedesco). Secondo Dario Fabbri (Limes) l’ingresso dell’Italia nella sfera d’influenza francese è sempre meglio del ritorno dell’austerità tedesca. L’autorevole commento non prova però a dimostrare che le due cose si escludano davvero.
Note conclusive – Vi è una perfetta continuità tra il trattato del Quirinale e la tradizionale diplomazia degli accordi tra Stati nazionali: il clamore della propaganda giornalistica sull’evento controbilancia la riservatezza sui suoi contenuti. Se tutto ciò suscita scandalo è perché per anni si è detto che la UE si sarebbe lasciato tutto questo alle spalle, relegando il ricordo degli intrighi e dei balletti della diplomazia tradizionale ai romanzi d’appendice. Anni di retorica europeista evaporano di fronte all’evidenza che esistono ancora gli interessi nazionali, gli accordi, le alleanze e i compromessi. Non solo: essi paiono addirittura necessari, in quanto la UE si configura uno spazio politico basato non sulla collaborazione, come si racconta, bensì sulla competizione tra Stati. La UE si presenta infatti come uno spazio giuridico che promuove la concorrenza, prevenendo a un tempo l’escalation del conflitto interno attraverso la burocrazia, che fotografa rapporti di forza pregressi e posizioni dominanti acquisite. Pertanto, nella UE si formano alleanze quali il gruppo di Visegrád, i Paesi frugali, l’asse franco-tedesco e la baguette italo-francese. Come il diritto internazionale, così l’ordinamento giuridico europeo non coincide con uno Stato: i così detti Stati uniti d’Europa manifestano solo la subalternità culturale di chi li propone. L’ordinamento giuridico europeo non si basa sulla sovranità dell’Unione europea, inesistente e inefficace. L’ordinamento giuridico europeo esiste solo in virtù di una decisione degli Stati membri; deve fare i conti con altrettante decisioni i cui frutti sono trattati quali quello di cui ci siamo occupati oggi.
Figura 1
Figura 2