La spettacolarizzazione della guerra e la fabbrica del falso

di Alba Vastano

da http://www.blog-lavoroesalute.org

Un biennio di pandemia. Una guerra ad un nemico invisibile quanto letale. Ne usciamo, forse, da questa guerra che ha mietuto vittime in tutto il Pianeta. Ed è di nuovo guerra, ma questa volta il nemico, i nemici, sono fin troppo visibili e belligeranti. ‘ Non ci si ferma, finchè l’obiettivo non è raggiunto’. E’ un mantra radicato nei neuroni deformati di chi ha sete di potere . Ed è braccio di ferro fra i due leader contendenti la vittoria. In mano a questi uomini assetati di potere personale la pace che può scaturire dai negoziati non è fondamentale, tanto quanto portare la palma della vittoria a casa. Intanto sui luoghi di guerra si bombarda e si spara, si muore, si fugge, si vive in bunker senza acqua e cibo. Muoiono civili, muoiono giovani combattenti di entrambe la nazionalità. Si muore a 18 anni, per una guerra che giovanissimi, a volte ancora imberbi, buttati sul campo per fare il gioco crudele della guerra, probabilmente non capiscono e non condividono. 

Intanto dalle lussuose stanze dei bottoni dei palazzi del potere i lorsignori della guerra non si fermano, anzi si accaniscono maggiormente nello spietato gioco mortale a chi ha più potere e armi più letali, tanto da rischiare una escalation senza ritorno. La guerra si trasforma in derby con tifoseria mondiale. E vi si affianca un’altra guerra a latere, ma altrettanto micidiale. E’ la guerra alla verità. E’ la perversa e tossica fabbrica delle notizie contraffatte, delle fake news che ci propinano i media h.24, per suscitare morbosità e scatenare le tifoserie mondiali contro il nemico, decretato da diversi capi di Stato aderenti alla Nato il number one dei malvagi, l’invasore, il folle, il criminale. Intorno a questa guerra alla verità si affolla e spunta, come funghi parassiti, un popolo di informatori, di tuttologi, di esperti disfunzionali e di parte, di conduttori di talk show che accendono i microfoni a lungo all’opinionista che fa gioco al sior paron. Chi contesta viene silenziato e, a volte, anche dileggiato. 

Si accendono le luci della ribalta dei mainstream e si spengono quelle della verità sostanziale dei fatti. In questo bailamme scatenato e confuso di parole che si rincorrono e si contraddicono far loro, per fare chiarezza sulla verità sostanziale dei fatti e sulle dinamiche che hanno condotto a questa folle guerra, di cui è anche complesso stabilire responsabilità originarie e colpe, si dovrebbe dar voce meramente a intellettuali storici che spieghino le dinamiche degli eventi. In realtà blaterano dai monitor opinionisti e tuttologi e la verità viene sommersa sotto un cumulo di parole e concetti insensati. 

Nell’intervista che segue è uno storico di grande spessore culturale e di comprovata onestà intellettuale, il professor Angelo D’Orsi, già Ordinario di Storia del pensiero politico presso l’Università di Torino, ad offrire , fra l’altro, la verità sostanziale sugli aspetti fondamentali della guerra in corso e sulle origini storiche che l’hanno scatenata.

Alba Vastano: Salve professore, prima di entrare nel cuore dell’intervista che intende accendere un faro sulle dinamiche della tragedia in corso in Ucraina, mi soffermerei sul fenomeno, in corso da molto tempo, della guerra alle parole, alla verità sostanziale dei fatti, alle false informazioni che ogni giorno ci propinano i media. Si può affermare che davvero la prima vittima delle guerre è la verità e che la verità dei fatti nei media è solitamente nelle mani di chi tende a contraffarla strumentalmente per interessi di parte?

Angelo D’Orsi: Le mie risposte sono insite nelle sue domande. Non c’è dubbio che sempre e da sempre la prima vittima delle guerre è la verità, ma da quando siamo entrati nell’era delle “new wars”, le guerre del post-’89, l’informazione o meglio la comunicazione non è più un classico strumento della guerra, ma come notava il mai abbastanza compianto Danilo Zolo (un vero esperto, che infatti veniva trascurato dai media), è essa stessa guerra.

Si aggiunga la crescente spettacolarizzazione di tale tipo di comunicazione, che peraltro ebbe inizio precisamene con la prima delle new wars, la prima Guerra del Golfo, del 1991 (con l’antefatto dell’estate 1990), al punto che Baudrillard scrisse un articolo, divenuto poi un pamphlet quasi in tempo reale, sostenendo che quella guerra non aveva avuto luogo, che era pura finzione, spettacolo, messa in scena, appunto. Se l’informazione diventa comunicazione, e la comunicazione funziona in base al grado di spettacolarità, è chiaro che la competenza, e in generale la cultura, passano in secondo piano. Conta essere personaggi ed entrare nei palinsesti.

A.V: Intanto corrono sui monitor immagini di stragi, distruzioni e morti che possono causare quel malefico fenomeno, a volte persino cercato, che è la morbosità della notizia..Dal punto di vista della deontologia della professione giornalistica sono saltate tutte le norme.
“…
Richiamiamo soprattutto i direttori delle grandi testate, in particolare quelle televisive, ad un uso rispettoso e responsabile dei video e delle riprese, per il racconto del conflitto in Ucraina.   E’ soprattutto in momenti come questi che dobbiamo riscoprire la nostra professione come un servizio da svolgere in modo attento e rigoroso.”. ( E’ quanto si legge in una nota dell’Esecutivo del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti- Cnog). E’ la fine del giornalismo, perché imbavagliato dalle linee redazionali inginocchiate ai corrispondenti leader di partito?

A.D.: Il giornalismo è in crisi, una grave crisi, da decenni. I media indipendenti sono ormai pochissimi e circondati. Le testate, cartacee o elettroniche o in altre forme virtuali, sono pezzi di patrimoni, e rispondono alle proprietà. Non conta la professionalità, ma l’efficienza economica: una testata funziona nella misura in cui attira investimenti pubblicitari. In secondo luogo conta l’efficacia politica: una testava “va bene” se è in grado di spostare flussi di consenso, specialmente elettorale (e in Italia le elezioni sono sempre all’ordine del giorno). Il passaggio all’era della “post-democrazia” ha accelerato il processo. E nei momenti di crisi (competizioni elettorali, crisi sanitarie, crisi ambientali, crisi economico-sociali, crisi idro-geologiche…) il processo subisce una torsione ulteriore. Certo, emerge una tendenza del giornalismo detto professionale a piegarsi in modo indecente ai diktat padronali e dei partiti “di riferimento”, con tanti saluti alla deontologia.

A.V.: Riguardo l’attendibilità dell’informazione e la verità sulle fonti che vengono costantemente alterate e mistificate, il paradosso è il caso di Julian Assange che rischia 175 anni di carcere per aver rivelato i crimini di guerre occidentali. Possiamo affermare che chi ha il coraggio di diffondere notizie vere da fonti verificabili e vicine alla verità sostanziale dei fatti, specie in casi tragici come le guerre, diventa la vittima sacrificale?

A.D. : Ribadisco che siamo nell’era post-democratica. Alle declaratorie non corrispondono fatti. E ribadisco che il giornalismo è ormai embedded al potere economico e politico. Chi osa chiamarsi fuori lo fa a suo rischio. Reporter, fotografi, cineoperatori, sono diventati bersaglio favorito, anche per la loro facilità ad essere colpiti, nelle guerre. Dire la verità, mostrarla, raccontarla, è diventato un mestiere pericoloso, molto pericoloso. Il Caso Assange grida vendetta. E invece passa sotto silenzio, se non fosse per la sua famiglia e una serie di personalità individuali o associazionistiche che cercano di tenere accesa la luce su questa vicenda vergognosa.

A.V.: Passiamo alla guerra che Putin chiama ‘Operazione speciale’. Può fare un excursus storico, a partire dai patti di Minsk del 2014 per chiarire se, perché e come questa in atto è una guerra preparata in cantiere ed era inevitabile?

A.D.: La guerra in corso viene da lontano, dalle prime vicende post-crollo e poi dalla situazione determinatasi fra il 2013 e il 2014. L’Ucraina è una realtà complessa, sostanzialmente divisa in due “nazioni”: una russofila e russofona a Est e una che mira a unirsi all’Occidente e agli Usa, a Ovest, che guarda alla Polonia, piuttosto. EuroMaidan fu in parte una rivolta contro Yanucovic, e un regime corrotto, e in parte un golpe, sostenuto attivamente da Usa, e sotterraneamente dalla Unione Europea. Gli accordi di Minsk erano una buona base di accordo, ma non sono mai stati rispettati dai governi ucraini, che hanno massacrato le popolazioni russofone, in modo sistematico, mentre cancellavano la democrazia interna (un fatto stranamente taciuto dai nostri media e dai nostri governanti).
La guerra del resto ha un’altra motivazione, oltre a quella interna, ed è legata alla risposta che alla lunga era quasi inevitabile della Federazione Russa, una risposta desiderata e attesa dagli Usa e dalla Nato, non tanto (ma anche) per interesse verso l’Ucraina, che comunque è territorio strategicamente importante, e ricco di risorse, ma in primo luogo per bloccare il processo di riemersione della Russia sulla scena mondiale come potenza globale. Ed è una guerra, a ben vedere, contro l’Europa, la Ue, ma l’Europa tutta come continente, come società, come cultura. Una guerra volta a spezzare i legami importanti su vari piani (economico, culturale, scientifico persino militare e politico) che la EU e anche i Paesi esterni all’Unione, avevano costruito negli ultimi 30 anni, con la Russia, e a subornare il Continente in modo ferreo, al controllo Usa. E che questo avvenga con la grottesca complicità dei governanti europei è stupefacente.

A.V.: Il presidente ucraino Zelensky che invoca la No-fly zone dalla Nato e chiede forsennatamente a tutti i popoli di armare gli Ucraini per vincere la guerra è antitetico all’auspicabile capo di Stato che favorisce i negoziati e auspica la fine della guerra. La sua posizione oggi è tale da far pensare che stia spingendo per una disastrosa escalation. Oppure, pensando di calcare ancora le scene, sta interpretando un film d’azione, con sfondo horror a carattere sadomaso? Mi scusi l’ironia, ma….

A.D.: Il fatto che un comico sia diventato presidente la dice lunga di per sé. Se si aggiunge il fatto che la società che gestiva il comico Zelensky è la medesima che cura i suoi affari politici, la cosa diventa a sua volta comica ma altresì inquietante. Infine, se si pensa che si sa che ha dei conti off shore, il quadro è completo. E un personaggio siffatto – al quale non nego doti di attore, comico, appunto – ha in questo momento più di chiunque altri nelle sue mani i destini d’Europa. La guerra continua perché Zelensky non intende fare accordi e, sbagliando i suoi calcoli, ritiene di poter costringere la Federazione Russa al ritiro, per poi fare accordi.
E pensa questo perché USA, NATO e UE glielo lasciano credere, gli lasciano credere che l’Ucraina (l’Ucraina ancora controllata dal governo Zelensky) può resistere, o addirittura vincere. Questo è totalmente destituito di fondamento. E il popolo ucraino e la stessa compagine istituzionale di quel Paese sono condannati alla distruzione, per la posizione assurda e autolesionistica del suo presidente. Che sembra aver adottato un punto di vista del tipo: “Fiat Ucraina, pereat Mundus”. Ma l’Ucraina di Zelensky è innanzi tutto Zelensky stesso. Lui mira a salvare se stesso, perché sa che un accordo, una tregua, e soprattutto la pace, si potrà ottenere solo quando lui si ritirerà o sarà costretto a ritirarsi.

A.V.: Si parla di negoziati e si affilano le armi con il sostegno di tutte le potenze occidentali atlantiste. In particolare dagli Usa si manovrano i fili sugli Stati alleati per far sì che la guerra continui e si scivoli inesorabilmente in una escalation fino al punto di non ritorno. Se i negoziati non andranno a buon fine, lei quali scenari prevede e come si ferma questa escalation, che, se non avvenisse la de-escalation, può trascinarci nella terza guerra mondiale, l’ultima dell’umanità?

A.D.: I negoziati veri non sono mai partiti, perché la pretesa del governo ucraino, spalleggiato in tal senso dai governi UE, dalla Nato, dagli Usa, è di porre come premessa il ritiro delle Forze armate russe, e questo ovviamente è improponibile, e certo non può essere chiesto come conditio sine qua non. Penso, in tutta franchezza, che l’ipotesi di guerra mondiale sia concreta. Ho già definito questo conflitto “una guerra glocal”: un conflitto che è insieme locale e globale, che coinvolge il territorio dove si combatte, si distrugge, si muore, ma un conflitto che è già, fin dal suo inizio, una guerra Usa-Nato da un canto, Russia dall’altro.
Il punto di non ritorno è più vicino di quanto non si creda. E stupisce la disinvoltura con la quale i politici europei e gli intellettuali accolgano l’opzione guerra, come una delle opzioni in campo, ivi compreso il ricorso alle armi nucleari. Un vento di follia spira sull’Europa, tanto più ove si consideri, come io ritengo personalmente, che tra gli scopi fondamentali di questa guerra, intrapresa da Putin, ma voluta da Biden (per semplificare), c’è proprio la riduzione delle potenzialità (economiche, politiche, persino culturali) della Ue, e la rottura delle relazioni che nel corso degli ultimi tre decenni si erano stabilite e consolidate tra Europa e Russia.

A.V.: L’Italia china il capo al ‘grande capo’ Usa e all’Europa e acconsente all’invio delle armi sostenendo che un Paese invaso ha il diritto di essere sostenuto con ogni mezzo, anche con le armi. Tutto ciò è in netto contrasto con l’art.11 della nostra Costituzione, sebbene un noto costituzionalista affermi che nell’art. 11 non viene espresso il divieto delle armi per difendersi da un attacco di invasione del proprio territorio. Lei cosa pensa in proposito?

A.D.: Mario Draghi si sta comportando come uno sceicco, sostenuto da un presidente della Repubblica che, forte del secondo (assurdo) mandato, sta tradendo il suo mandato costituzionale, e voltando le spalle alla Suprema Carta. Ormai sembra che sia invalso il principio che esistano due Costituzioni: una “formale”, che è custodita in una virtuale teca di cristallo, a cui ad ogni ricorrenza deputata i politici, a cominciare dal Presidente, si genuflettono, e dichiarano fedeltà, ma tenendola ben distante dalla vita reale della collettività, nascosta, obliterata, come un prezioso oggetto di culto, ma di assoluta superfluità; e una seconda carta, detta Costituzione “materiale”, decisa giorno dopo giorno, in base agli umori dei governanti ai loro disegni politici, adattata, opportunamente, manipolata impudentemente, dimenticata, sfacciatamente. L’invio di armi ci pone in una posizione di cobelligeranza con l’Ucraina, e questo è inaccettabile se guardiamo alla Costituzione, la sola che noi dobbiamo seguire e rispettare, quella entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Stiamo entrando in una guerra che può essere distruttiva per noi senza una vera discussione in Parlamento, senza un dibattito pubblico, senza tener conto di quali saranno i costi per la popolazione e la società italiane.

A.V.: Pensando alla black list del Cremlino in cui l’Italia è citata come Paese nemico, si può pensare o sperare che le continue e sempre più pesanti sanzioni sull’economia russa facciano retrocedere Putin dalla ‘sua operazione speciale’. Oppure saranno un boomerang, che ci tornerà indietro con vari interessi a nostro carico, considerando che i maggiori rifornimenti di gas ( il 41%) ci arrivano proprio dalla Russia?

A.D.: Le sanzioni faranno male alla Russia, ma ne faranno altrettanto all’Unione Europea, e all’Italia che è tra le nazioni più deboli dell’Unione. È, ripeto e ribadisco, una politica del tutto autolesionistica questa delle sanzioni. Uno strumento che non è mai servito a colpire i governanti degli Stati che si pretende di colpire, non sono mai riuscite a farli cadere, ma hanno generato miseria e disperazione, nelle popolazioni che sono sotto quei governanti e statisti, accrescendo però il loro consenso. E poi davvero si può pensare che le sanzioni possano far cadere Putin e mettere KO la Russia? Ha resistito l’Iran, per un quarantennio, ha resistito Cuba per un sessantennio, davvero vogliamo credere che faranno cadere la Russia?

A.V.: L’Anpi e il presidente Pagliarulo, appena rieletto, dopo aver definito nel recente congresso, la linea da adottare con un chiaro: ‘No alle armi, No Nato, No Putin’ stanno subendo attacchi feroci dai media e dalle varie organizzazioni politiche che hanno optato per l’invio delle armi. Come considera la linea dell’Anpi in questo frangente? E’ linea saggia e giuridicamente corretta in base all’art. 11 della Costituzione?

A.D.: Ripeto: l’invio di armi (lo ha dichiarato autorevolmente la presidente emerita della Corte) è palesemente incostituzionale. La posizione di Pagliarulo e dell’Anpi, almeno della sua parte preponderante che si esprime in Pagliarulo, è ineccepibile e personalmente mi sono già fermamente, persino rudemente schierato contro coloro che hanno attaccato la dirigenza Anpi. E ho difeso a spada tratta la linea dell’attuale presidente, linea come lei dice, “saggia e giuridicamente corretta”.

A.V.: Inoltre la bufera mediatica sull’Anpi si alimenta del paragone fra l’invio delle armi in Ucraina e la Resistenza italiana, come se ci fosse, fra dinamiche e fatti legati ai due tragici eventi, una stretta connessione. Quali sono a suo parere le ragioni per cui è improprio paragonare la guerra in Ucraina con la Resistenza italiana e le differenze che vi intercorrono?

A.D.: La Resistenza armata italiana fu un fenomeno spontaneo di popolo, sia pure minoritario, ma l’azione dei Partigiani non avrebbe potuto ottenere alcun successo, come invece ottenne, se non avesse goduto del favore delle popolazioni. Carl Shmitt nella sua opera Teoria del partigiano, spiega con chiarezza, che il partigiano ha bisogno del sostegno della popolazione, è un pesce che nuota nell’acqua, l’acqua è precisamente l’aiuto della popolazione, aiuto indiretto e aiuto diretto. Nascondere i combattenti, curare i feriti, nutrire i partigiani, o semplicemente avere un atteggiamento di non collaborazione con i nazifascisti, erano le forme peculiari del sostegno popolare ai partigiani. Nulla di tutto questo sta avvenendo in Ucraina dove non ci sono partigiani, ma un esercito contro un altro esercito.

In secondo luogo i Partigiani italiani avevano come primo obiettivo la pace. Il governo ucraino – e il suo esercito in cui peraltro ci sono defezioni – vogliono continuare la guerra, costi quel che costi. E si tratta di costi umani, economici, strutturali, spirituali. Zelensky pensa che poi ci penserà l’Occidente, gli Usa, la Nato a riparare i danni, ma sottovaluta il costo di tutto questo, sottovaluta i costi morali, la durata degli effetti catastrofici di quello che sta avvenendo. E a differenza di quanto facevano i partigiani italiani, che cercavano sempre di preservare la popolazione civile, Zelensky non esita a sacrificarla.

E dire che gli Ucraini combattono per la democrazia è un’altra grottesca menzogna. La democrazia è sospesa da anni in quel Paese. I partiti di opposizione sono stati messi al bando, i giornali non governativi silenziati. Di quale democrazia stiamo parlando? Dire che la Russia di Putin è fascista, e l’Ucraina di Zelensky è democratica è una rappresentazione di comodo. Non è lo scontro fra democrazia e autocrazia, anche se fa comodo nella propaganda di cui siamo vittime.
Infine, qualcuno ha mai visto un “partigiano” ucraino? Nell’era della comunicazione globale, quando con un semplice smartphone puoi fotografare e filmare e far giungere in tempo reale ovunque immagini (fisse o in movimento) come mai nessuna immagine di partigiano combattente è giunta fino a noi? Non esistono: tutto qui!

A.V.: Professore, un’ultima domanda su un altro tema. Nel 2023 in Italia ci saranno le elezioni politiche. Le formazioni di sinistra extra parlamentare probabilmente saranno ancora fuori dalla rappresentanza parlamentare, sebbene un piccolo barlume di speranza ultimamente ce lo offrono le quattro donne parlamentari del gruppo ManifestA. In questi giorni lei sta lanciando un appello per la rinascita delle sinistre. Ci può illustrare il progetto ? Quali obiettivi si propone?

A.D.: Il mio Appello è partito dopo la competizione elettorale a Torino nelle Amministrative dell’ottobre 2021. Una larga coalizione di sinistra (ben sette sigle diverse) mi ha sostenuto, ma ho constatato che in realtà solo due di quelle sette erano attive nella campagna elettorale. Le altre sigle erano interessate semplicemente a testimoniare, a mostrare i loro simboli e agitare le loro bandiere. Siamo stati sconfitti, sia pure d’un soffio, ed è interessante osservare che molto più numerosi sono stati i voti dati al sottoscritto, come Candidato Sindaco, dei voti dati alle liste di sostegno.

All’indomani dell’esito elettorale ho cominciato a lavorare a un testo che ho discusso con alcune persone.
In seguito ne ho fatto una versione più breve che ho poi cominciato a diffondere. Il punto di partenza è la disfatta della sinistra, una situazione che si ripropone costantemente e in fondo mi pare venga accettata in modo passivo, come se ci si sia adagiati in una condizione di irrilevanza. Occorre invertire la rotta, ma per farlo è necessario superare gli identitarismi, e gli stessi ideologismi, cominciare dal basso, con una pratica di ascolto, volta a intercettare bisogni reali, senza perdere di vista i princìpi fondanti della sinistra: l’uguaglianza, la solidarietà, il rifiuto della guerra, che produce sempre nuove ingiustizie, arricchendo i ricchi, impoverendo i poveri. E non procedere “lanciando” un ennesimo leader che poi il popolo dovrà seguire, ma facendo un lavoro dal basso, paziente e diffuso sul territorio, il cui risultato dovrà essere duplice: la definizione di un programma e la individuazione di una leadership. Occorre cambiare attitudine, linguaggi, parole d’ordine se si vogliono ricuperare quei milioni di italiani e italiane che si sono allontanati dalla politica, ridar loro coscienza dei valori e delle prospettive della sinistra, ma deve essere un incontro, non una pedagogia unidirezionale dall’alto al basso.

Chi si mette in gioco, a partire da me, deve svolgere un ruolo non di “capo” privo di legittimazione, ma di suscitatore di energie e di volontà. Il resto si costruirà via via, senza la fretta, anzi la frenesia, delle scadenze elettorali, ma certo tenendo conto anche di esse. L’Italia ha bisogno di Sinistra, dopo che il PD ha mostrato in modo definitivo e persino clamoroso di essere incastrato in un sistema di potere, che dal 24 febbraio 2022, si identifica nel sistema guerra. Il mio intento è aiutare coloro che condividono valori di cui sopra, coloro che percepiscono e rifiutano le ingiustizie, anche quando non ne sono vittime dirette. Coloro che, in sostanza, sono di sinistra in modo inconsapevole o che non vogliono neppure più sentirne parlare, dopo tante sconfitte. Aiutarli a rialzarsi e rimettersi tutti insieme al lavoro, gramscianamente. Antonio Gramsci non a caso è il mio riferimento. E sogno un “Partito Gramsciano”…