La riunificazione tra Cina e Taiwan: cosa ne pensa la rete?

di Francesco Galofaro e Marco Pondrelli

La riunificazione tra la Repubblica popolare cinese e l’isola di Taiwan, nota come Repubblica di Cina ai 15 Paesi che ne riconoscono l’indipendenza, è un evento privilegiato per chi conduce guerre ideologiche e guerriglie semiologiche usando le armi del linguaggio. Facciamo un esempio, tratto da uno dei tweet sull’argomento: se sei liberale, tra le due Germanie negli anni ‘90 è avvenuta una riunificazione legittima e auspicabile, perché la DDR era uno stato fantoccio inventato dai crudeli russi, e questo nonostante avesse un seggio all’ONU. Invece, tra Cina e Taiwan sarebbe in atto un tentativo illegittimo di annessione di uno stato sovrano da parte di una dittatura totalitaria, nonostante l’ONU, con la risoluzione 2758 del 25 ottobre 1971, riconosca solo il governo della Repubblica Popolare Cinese come unico rappresentante legittimo della Cina all’ONU. Secondo l’ONU, insomma, c’erano due Stati tedeschi legittimi e c’è una sola Cina (quella popolare). Secondo gli anticomunisti, invece, la Germania era una sola ma le Cine sono due. 

Torneremo nelle conclusioni su questa complessa lotta ideologica. Per ora ci soffermiamo sui commenti degli utenti di Twitter per la nostra consueta sentiment analysis. In primo luogo, solo il 16% degli utenti esprime un punto di vista positivo sulla vicenda (fig. 1). Quanto alle emozioni (fig. 2) prevalgono rabbia (48,5%), tristezza (18,5%), gioia e tristezza (rispettivamente, 16,5%). Non bisogna commettere l’errore di pensare che tutti i messaggi con un atteggiamento positivo siano favorevoli alla Cina, e i negativi siano dalla parte di Taiwan: anche chi è favorevole alla riunificazione può esprimere preoccupazioni, o rabbia, o tristezza, e viceversa. Ad esempio, alcuni tweet esprimono paura e al contempo un atteggiamento positivo, volto a sdrammatizzare: ‘decido di non arruolarmi nell’esercito, tempo una settimana e si parla di annessione di Taiwan alla Cina, mi sa che ho fatto una scelta saggia per una volta…’. Tra i gioiosi, c’è chi vede con favore una guerra: ‘Gli Stati Uniti stanno addestrando l’esercito di Taiwan per resistere a un attacco della Cina’. 

Il word cloud della gioia (fig. 3) si presta a fare da grado 0 della nostra analisi: le parole più usate sono soltanto ‘Cina’ e ‘Taiwan’, seguite da ‘Xi Jinping’ e ‘Riunificazione’. Nei word cloud delle altre emozioni compaiono altre parole: dunque esse sono le più importanti per caratterizzare le diverse tonalità emotive. Così, nel word cloud della paura (fig. 4) compaiono le parole ‘USA’, ‘guerra’, ‘tensione’. Il word cloud della tristezza (fig. 5) è simile a quello della gioia, anche se dà più peso a Xi Jinping: come vedremo, le ragioni che rendono felici gli uni rendono tristi gli altri, ma non solo. Infine, per quel che riguarda la rabbia (fig. 6) compaiono le parole ‘difenderemo’ e ‘piegheremo’. La maggior parte di questi tweet riporta infatti le parole della presidente di Taiwan, Tsai Ing-Wen, facendole in questo modo proprie: con l’uso del ‘noi’, prima persona plurale, si costruisce un attore collettivo installato nel testo, che coinvolge il lettore, e gli si attribuisce il ruolo attivo di soggetto che difende Taiwan. È un esempio da manuale di propaganda: teoricamente, il giornalista non si schiera, perché si limita a riportare un virgolettato; in pratica però sta arruolando il lettore in una crociata anticomunista. Sono soprattutto le testate di informazione, come sempre molto schierate, a utilizzare questa tecnica volta alla disseminazione della rabbia.

Quasi tutti i tweet che esprimono gioia, con le eccezioni di cui abbiamo già detto, riprendono le parole di Xi Jinping sulla riunificazione. Altri ricordano come Taiwan e la Cina siano accomunati da una sola cultura. Alcuni messaggi con polarità positiva riprendono Vladimir Putin, intervenuto sulla questione riconoscendo che Taiwan è parte della Cina e rassicurando sul fatto che la riunificazione sarà pacifica. Mentre i media solitamente dipingono Putin come un interlocutore poco affidabile, tra gli utenti di Twitter il Presidente russo gode di ottimo credito. 

Una gran parte degli interventi che esprimono paura non è indirizzata all’uno o all’altro contendente: si temono piuttosto l’apocalisse economica (Taiwan è uno dei principali produttori mondiali di microprocessori) e quella nucleare. C’è chi si dichiara favorevole alla riunificazione, chiedendo a Xi Jinping di farsi garante perché sia pacifica; per qualche cerchiobottista l’intera discussione serve a distogliere i cinesi dai loro problemi e noi dai nostri; più seriamente, alcuni non credono che la Cina intenda avvalersi dello strumento militare e considerano propaganda le discussioni dei media nostrani sull’argomento.

La tristezza, caratterizza molte posizioni profondamente guerrafondaie. Molti utenti, vittime del mito della decadenza, si rammaricano non tanto per cinesi di Taiwan, quanto per il fatto che l’Occidente o l’Europa, a seconda delle simpatie politiche, non intervengano, tremino di paura, o siano ridotti all’irrilevanza. Altri pensano che i destini di un popolo siano determinati dalla geografia: dunque, i taiwanesi devono rassegnarsi. Tra i più tristi, un utente che dice di vivere in Cina e che Xi Jinping non si fermerà. Dall’altra parte, tra i sostenitori della Cina, c’è chi assicura che i taiwanesi contrari all’unificazione non sono mossi da nobili motivi, ma dalla paura che il loro reddito pro capite sia dimezzato dato che attualmente è il doppio di quello della madrepatria. Un utente con cui siamo molto d’accordo sottolinea che ‘la stragrande maggioranza di quelli che stanno piangendo per Taiwan, non sanno né da quando né perché non fa parte della Cina’. Fa tristezza il modo in cui gli USA gettino benzina sul fuoco, e qualcuno si chiede ‘quando si parte per andare ad aiutare Taiwan e a esportare la democrazia in Cina?’

Venendo alla rabbia, essa caratterizza quasi la metà dei messaggi. Molti, come si è detto, fanno propria la posizione della presidentessa di Taiwan. Non mancano i dissennati che si lanciano in arditi paragoni tra Taiwan e San Marino, la Sardegna o la Catalogna; si lasciano andare a insulti nei confronti di Xi Jinping; accomunano Cina, Russia e Corea del Nord per promuovere crociate belluine. I guerrafondai si dividono tra coloro che pensano a Taiwan come il momento della resa dei conti, per ‘insegnare alla Cina che non può fare ciò che vuole’, e i disillusi, secondo i quali la guerra definitiva purtroppo non arriva mai (ci sono anche persone così). Tuttavia, la rabbia è espressa anche da chi si riconosce nella replica di Pechino: così Taiwan chiude al dialogo. La rabbia è rivolta anche contro gli USA: ‘Dopo la fuga da Siria e Afghanistan è in arrivo il nuovo Vietnam. Americani … non gli basta mai’. Secondo Reuters e Wall Street Journal, da circa un anno gli USA armano e addestrano l’esercito di Taiwan e sono presenti nell’isola con le proprie truppe. Non stupisce dunque la rabbia di molti utenti nei confronti di Taiwan, USA e UK, che vorrebbero forzare l’Europa a intervenire. Un utente si chiede come mai gli USA, pur non riconoscendo Taiwan sul piano legale, lo stiano armando e sostenendo sul piano militare; un secondo utente, acutamente, sottolinea che Taiwan serve agli USA per controllare il mar cinese meridionale.

Twitter è soprattutto il campo di una battaglia ideologica che coinvolge i mezzi di informazione. Un ottimo esempio è Maurizio Molinari: ‘La Cina e l’Occidente: Taiwan epicentro di una sfida globale’.  Il direttore di Repubblica evoca così un chimerico leviatano caro ai conservatori (l’Occidente) alludendo a valori, civiltà, miti. Allo stesso tempo, occulta con cura il fatto che l’atteggiamento dei membri della NATO nei confronti della Cina non è mai stato così diviso tra chi vorrebbe una nuova guerra fredda e chi pensa che con la Cina si debba dialogare. Alcuni utenti applicano la linea, invitando al boicottaggio della Cina con particolare riferimento alle infrastrutture (leggi 5g) che non possono venir fornite all’Italia dal nuovo nemico ideologico. Preoccupante il fatto che l’indipendenza di Taiwan sia riconosciuta da una figura di governo come Gian Marco Centinaio, Lega Nord, attualmente sottosegretario di Stato.

In realtà, le dichiarazioni di Pechino non possono essere lette al di fuori di quel che sta succedendo nel mondo, ma vanno viste nel contesto del tentativo sciagurato di creare una nuova guerra fredda. È sintomatico che solo uno sui duecento messaggi più influenti e rilanciati dagli utenti nomini il patto AUKUS: un’alleanza militare tra Australia, USA e UK ai danni della Cina, e, indirettamente, dei Paesi europei che auspicano il dialogo. Il suo primo atto è stata una fornitura di sommergibili atomici all’Australia, con buona pace dei trattati di non proliferazione nucleare. Se alcuni trovano la cosa rassicurante, dovrebbero chiedersi quante guerre sono state scatenate dalla Cina negli ultimi trent’anni e quante dagli USA e dalla NATO. In un’intervista a La Stampa il 13 ottobre, Noam Chomsky si è domandato come reagirebbero gli USA se la Cina fornisse sottomarini nucleari a Cuba e questi apparissero non annunciati nel porto di New York. Sembra molto chiaro, a parere di chi scrive, che chi vuole davvero la pace dovrebbe mobilitarsi e condannare la nuova guerra fredda. Negli ultimi 30 anni, la Cina ha lanciato una sfida per l’egemonia mondiale mantenendosi strettamente nel campo economico e diplomatico. La nuova guerra fredda, al contrario, non è altro se non il tentativo pericoloso e irresponsabile di rispondere al successo cinese un un piano militare. 

Figura 1

Figura 2

Figura 3

Figura 4

Figura 5

Figura 6