Sentiment analysis: la guerra di tweet su Israele e la Palestina

gaza2di Francesco Galofaro e Marco Pondrelli

In riferimento all’attuale escalation della violenza in Israele e nella striscia di Gaza, abbiamo sondato gli utenti di twitter per analizzare il loro atteggiamento sulla questione. Come al solito, abbiamo selezionato i primi 200 tweet per influenza (i più ripresi, ri-twittati o che hanno generato più risposte). Il rislutato è in fig. 1. Per quanto riguarda la polarità dei messaggi, la maggioranza si concentra intorno al valore centrale (0); tuttavia, questo valore è la risultante dei forti contrasti tra scelte lessicali fortemente positive (come, ad esempio, “solidarietà”) e negative (“vittime civili”). A dircelo è il valore di soggettività, insolitamente alto – i messaggi con un valore di polarità intorno allo 0 di solito tendono all’oggettività. Così, paradossalmente, un messaggio apocalittico come “Finché i palestinesi continueranno a sostenere Hamas, che è uguale o che almeno strizza l’occhio a filosofie estreme come ISIS, di certo non potranno recitare la parte delle vittime e piangere se una pioggia di missili le colpirà appena decidono di attaccare”, scritto evidentemente da un maniaco del cinema d’azione, totalizza 0 sull’asse della polarità (come fosse espressione di un sentimento equilibrato) ma si attesta a 0,6 quanto al punteggio di soggettività, esprimendo un punto di vista decisamente schierato. In questa situazione, tanto i tweet a favore di Israele quanto quelli in solidarietà ai palestinesi popolano sia l’insieme dei messaggi a polarità positiva sia quello dei messaggi a polarità negativa, come dimostrano i rispettivi tag cloud (figg. 2 e 3). 

Che siano a favore o contro Israele, i messaggi si distinguono molto nettamente in due categorie: quelli che commentano gli eventi, e quelli – a dire il vero la maggior parte – che discutono o polemizzano contro i sostenitori della fazione opposta. In questo modo, alla guerra reale sul suolo palestinese si affianca una guerra virtuale, combattuta a suon di maledizioni e contumelie, tra i reciproci discorsi sugli israeliani e sui palestinesi, ovvero su ciò che può o non può essere detto. 

Tra coloro che si attengono ai fatti, abbiamo messaggi che mostrano palestinesi cacciati dalle proprie case, interviste a ebrei che temono la pioggia dei razzi, tweet che lamentano l’incremento delle vittime, foto degli aerei israeliani che bombardano i civili. Non c’è accordo su Iron Dome: per alcuni il sistema antimissile non ha funzionato, mentre altri sostengono che se non ci fosse il numero dei morti israeliani sarebbe alto quanto quello dei palestinesi, i quali non sarebbero per questo da considerarsi vittime. C’è chi nota che gli USA si stanno arrampicando sugli specchi per non prendere una posizione, e c’è chi ironizza contro quelli che si aspettano una posizione anticolonialista dall’amministrazione Biden.

Non mancano messaggi che tentano di prendere una posizione non schierata, non tanto tra i due contendenti quanto piuttosto tra chi argomenta in favore dell’uno o dell’altro: 

“Serve un esercizio di realismo. Pensare che Israele abbia sempre ragione e che i palestinesi siano un mucchio di terroristi è fuorviante tanto quanto le chiacchiere sull’Olocausto palestinese”. 

“Riconoscere che esistono palestinesi che hanno diritto a uno stato con i propri territori, non significa riconoscere Hamas. Dire che lo stato di Israele applica una politica segregazionista, colonialista contro la Palestina non significa essere contro gli ebrei”.

Prevalgono comunque di gran lunga i messaggi che attaccano i sostenitori dell’una e dell’altra parte. Ad esempio, c’è chi se la prende con il “pacifismo a senso unico” che applica lo “schema occidentale” cattivo/vittima a Israele e ai Palestinesi; altri ribattono notando che politici e intellettuali pro-israele “assumono il punto di vista del vincitore, del più forte, del più occidentale”.

Molti messaggi non sono diretti contro Israele, quanto contro i partiti politici italiani che lo sostengono: 

“@Italiaviva per 2 voti in più vendereste anche vostra madre (…) Il vostro capo è sul libro paga dell’Arabia saudita (da sempre contro Israele) e va a dare solidarietà per Israele”. 

“Nelle foto tutto il disgusto del nuovo @pdnetwork di @Enricoletta che, in una bella compagnia, ha la pulizia etnica della Palestina del fascista Netanyahu”. 

Un vero cortocircuito si ha con un tweet della Lega, secondo il quale Salvini, minacciato di morte per aver supportato Israele, avrebbe ricevuto la solidarietà della comunità ebraica – quindi: non è Salvini a solidarizzare con gli ebrei, sono gli ebrei a solidarizzare con Salvini. 

C’è chi, da sinistra, denuncia l’opportunismo di PD e Italia Viva, che convolano a nozze con la destra nell’esprimere solidarietà al più forte; a dire il vero, anche molti elettori di destra contrappongono la solidarietà autentica di Salvini e Meloni a quella “pelosa” della sinistra. A proposito di ciò, registriamo un fatto inedito: per una volta, nel nostro campione abbondano i messaggi dei leader politici: Matteo Salvini attacca l’Unione europea, colpevole di passare sotto silenzio “gli oltre 1000 missili contro Israele”; Leoluca Orlando dichiara inaccettabile il lancio di razzi e bombe contro la popolazione civile; esprimono solidarietà a Israele anche Andrea Marcucci e Maurizio Gasparri; Maurizio Acerbo ricorda che Gennaro Migliore, Ivan Scalfarotto, Enrico letta, Salvini, Taiani, la Meloni e Di Maio e tutti i partiti italiani sono schierati con i colonialisti di Nethanyahu, mentre Rifondazione sta con la resistenza palestinese. La nostra sorpresa è dovuta al fatto che, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, i politici sono cattivi influencer, e i loro tweet non sono poi così “ripresi” dagli altri utenti: dunque, di solito, il nostro algoritmo non li seleziona.

Come abbiamo scritto, alla guerra sul campo corrisponde una guerra tra utenti, in cui abbondano le sorprese: ci si accusa reciprocamente di avere un punto di vista etnocentrico, di sostenere feroci assassini, di ignoranza, di sordità, e di ridurre l’interlocutore a uno stereotipo.

Il problema è che il rumore di questo genere di polemiche in questa occasione sovrasta molto il contenuto informativo dei tweet, quella capacità, espressa in altri casi, di impiegare il canale social come fonte per fare della controinformazione interessante, come era accaduto, ad esempio, nel caso dell’Ucraina.

Figura 1

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Figura 2

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Figura 3

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