Politica-struttura: Amazon, Google, Palantir e la CIA

internet codicePubblichiamo una parte del nuovo libro intitolato “Servizi segreti, guerre economiche e politica-struttura”, scritto da Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli e che verrà integralmente pubblicato online a maggio.

A volte si tende a separare l’attività di spionaggio dall’economia, dai profitti e dall’azione delle multinazionali: un errore che non era certo stato commesso da Norman Mailer nel suo geniale libro “Il fantasma di Harlot”, opera nella quale lo scrittore statunitense ventilava a livello narrativo (e forse non solo narrativo…) che nella CIA di Langley si fosse formato un nucleo e un gruppo interno supersegreto il quale, attraverso l’uso selettivo delle informazioni via via ottenute dall’agenzia, operava da decenni in campo finanziario acquisendo ingenti profitti equivalenti a miliardi di dollari.


Passando dalla letteratura alla realtà storica, il tandem “economia-spionaggio” è emerso più volte nel corso degli ultimi due millenni: si parte dal trafugamento delle preziose uova di seta cinesi da parte dei monaci cristiani per conto dello stato bizantino, sotto il regno di Giustiniano e durante il sesto secolo, per arrivare mano a mano alla sottrazione ai cinesi dei loro segreti tecnologici nel processo di produzione della porcellana, furto avvenuto agli inizi del diciottesimo secolo, giungendo poi senza soluzione di continuità al nostro terzo millennio. Proprio negli ultimi decenni è venuta alla luce, con tutta evidenza, l’importanza e la diffusione di quella particolare e specifica regione del grande continente della politica-struttura, inteso come “espressione concentrata dell’economia” (Lenin, 1921) e che comprende al suo interno anche tutte le interazioni tra le attività statali di intelligence e la praxis multiforme dei processi produttivi, specialmente di natura tecnologica[1].

I servizi segreti statunitensi ad esempio si interessano in prima persona da molti anni e condizionano, direttamente e in modo sensibile seppur occulto, alcune sezioni significative dell’hi-tech americana, costituendo pertanto un altro esempio concretissimo di politica-struttura (includente ovviamente anche tasse, moneta, dazi, aziende pubbliche, salvataggi di imprese private con denaro pubblico, salvataggio dei sistemi produttivi nazionali in caso di epidemie, collassi finanziari e così via).

A tal proposito va rilevato come Andrea Muratori, all’inizio del 2010, avesse ben sottolineato l’alleanza creatasi tra importanti segmenti degli apparati statali degli USA e la gigantesca corporation Amazon, notando che “con un fatturato di oltre 177 miliardi di dollari nel 2017 e più di mezzo milione di dipendenti in tutto il mondo, Amazon rappresenta uno dei più importanti colossi dell’economia globale contemporanea. Gestisce non solo un business di e-commerce senza paragoni in Occidente, a livello globale paragonabile solo a quello della cinese Alibaba, ma anche una mole immensa di dati, che hanno contribuito a renderla un attore importante nel campo del cloud storage.

La società di Jeff Bezos, in una fase che vede l’economia interessata da una transizione verso tecnologie di frontiera come l’intelligenza artificiale e il 5G, gioca un ruolo importante nella “guerra dei dati” che si sta scatenando tra Stati Uniti e Cina (come insegna il caso Huawei) e al tempo stesso amplifica la sua proiezione nel campo della gestione di servizi tradizionalmente pubblici in diversi paesi del mondo, rafforzando in questo modo tanto il suo business quanto la sua base di dati a disposizione…

Tutto parte dagli Stati Uniti. Paese alla cui strategia mondiale Amazon, come gli altri giganti del web, è intrinsecamente collegata. Come ricordato da Limes, “tramite la controllata Amazon Web Services (AWS), nel 2013 Amazon ha siglato un contratto da 600 milioni di dollari con la CIA per fornire un servizio cloud che è utilizzato dalle 17 agenzie della comunità di intelligence. E proprio la AWS è favorita per l’assegnazione del gigantesco programma di cloud computing del Pentagono, la Joint Enterprise Defense Infrastructure (JEDI), dal valore di 10 miliardi di dollari”, che Google ha abbandonato a seguito delle proteste dei dipendenti.

Donald Trump ha più volte attaccato Bezos, la massiccia elusione fiscale della sua società e la linea editoriale del giornale da lui posseduto, il Washington Post, ma la sua amministrazione non ha affatto intenzione di privarsi dei servizi di Amazon. Anzi, recentemente il Guardian ha rivelato come la direttrice del dipartimento per le relazioni governative della multinazionale di Seattle, Anne Rung, avrebbe contattato esponenti del General Services Administration (GSA), una sorta di Consip a stelle e strisce, per gestire la creazione di un portale online per gli acquisti destinati alle istituzioni federali. 

Secondo il quotidiano britannico, questo porterebbe Amazon in una posizione dominante nella gestione di un mercato da 53 miliardi di dollari che, unito al delicato affare con il Pentagono e ai consistenti rapporti con la Cia, ne farebbe una proiezione diretta degli apparati federali”[2].

Siamo dunque in presenza di una continua simbiosi e di una cooperazione particolarmente solida tra Amazon e la comunità dell’intelligence statunitense, visto che già nel 2013 l’agenzia di Langley aveva stipulato alla luce del sole un contratto di appalto del valore di 600 milioni di dollari proprio con l’azienda diretta da Jeff Bezos.

Ma il binomio Bezos-Amazon, aggiunge “Dedefensa”, ha un tratto assai particolare, ovvero «la sua relazione estremamente forte e pubblicamente ostentata con la Comunità di sicurezza nazionale (CSN), e in particolare la comunità dell’intelligence». La sua collaborazione con la CIA è ormai palese, rileva il blog, dopo il contratto firmato nel 2013 tra Amazon e l’agenzia di Langley: 600 milioni di dollari, con i quali Bezos ha comprato il “Washington Post”, da allora divenuto «l’organo officiale della sicurezza nazionale (in particolare della CIA) e, durante la campagna Usa-2016, l’organo anti-Trump», in nome della posizione assunta dalla stessa Central Intelligence Agency. Una vera e propria luna di miele, con la CIA che «afferma apertamente la sua soddisfazione per questa cooperazione». Da registrare anche una visita ad Amazon altamente mediatizzata dal segretario alla difesa, James Mattis, «che ci permette di comprendere che anche il Pentagono amoreggi con Bezos». Ovvero: «Non si lavora più in segreto, come accadeva prima dell’affare Snowden». Secondo le fonti citate da “Dedefensa”, «Bezos ha trasformato la sua società in un organo semi-ufficiale dell’apparato di informazione militare americana». Amazon e la CIA hanno appena annunciato il lancio di un nuovo sistema di cloud “regione segreta”, nel quale la società ospiterà dei dati per la CIA, l’NSA, il Dipartimento della difesa e altre agenzie di informazione militare”[3].

A questo punto diventa ancora più interessante rilevare come non solo Amazon e Jeff Bezos, ma anche Google e Zuckerberg abbiano via via intessuto come minimo delle ottime relazioni con la Central Intelligence Agency.

A tal proposito il giornalista Ernesto Carmona, ancora nel 2009, era arrivato addirittura fino a sostenere che Facebook risultava “il miglior risultato di intelligence che sia mai stato raggiunto, grazie alla più grande banca mondiale di dati sensibili. Se i media hanno celebrato Mark Zuckerberg come il bambino prodigio che, a soli 23 anni, si è trasformato in un multimiliardario grazie al successo della sua creatura, nessuno ha prestato attenzione all’investimento da 40 milioni di dollari effettuato dalla CIA, partner-ombra di Facebook, per creare la più importante rete sociale del web. Un patrimonio inestimabile di informazioni, che i servizi segreti americani hanno contribuito in modo decisivo a sviluppare.

Ernesto Carmona, di “Argenpress”, rivela interessanti retroscena attraverso un ampio servizio ripreso dall’osservatorio “Megachip”. «Quando il delirio facebook-cia speculativo di Wall Street ha fatto credere agli improvvidi che il valore di Facebook ammontava a 15 milioni di dollari – scrive Carmona – nel 2008 Zuckerberg è diventato il miliardario “che si è fatto tutto da solo”, il più giovane della storia della “graduatoria” della rivista Forbes, con 1.500 milioni di dollari».

All’epoca, il capitale di rischio investito dalla CIA sembrava avere ottenuto ottimi rendimenti, ma nel 2009 il “valore” di Facebook si è adeguato al suo valore reale e Zuckerberg è scomparso dalla graduatoria Forbes. «La bolla Facebook – aggiunge Carmona – si è gonfiata quando William Gates, il titolare di Microsoft, vi acquisiva nell’ottobre 2007 una partecipazione dell’1.6%, per un ammontare di 240 milioni di dollari», inducendo a ritenere che, se l’1% di Facebook corrispondeva a 150 milioni di dollari, allora il valore del 100% doveva ammontare a 15 miliardi di dollari. Un «sotterfugio», che si spiega con l’interesse della CIA nello sviluppo di Facebook.

La CIA ha investito in Facebook molto prima che il social network diventasse leader nel mondo, sostiene in un’inchiesta il giornalista britannico Tom Hodgkinson del “Guardian”, anche se «la propaganda corporativa» ha trasformato Facebook in sinonimo di successo, di popolarità e di buoni affari. «Facebook si presenta come un inoffensivo sito web di relazioni sociali, che facilita i rapporti interpersonali». Un boom, come dimostrano le cifre dichiarate, che parlano di 300 milioni di utilizzatori.

Un facile espediente per «costruirsi una nuova immagine senza contenuti», cercando di darsi importanza e “fingere di essere qualcuno” nel supermercato virtuale del web? Un innocuo strumento per ritrovare vecchi compagni di scuola o, magari, per promuovere campagne civili? Facebook, scrive il giornalista spagnolo Pascual Serrano, è stato utilizzato dal governo della Colombia per coordinare la giornata mondiale contro le Farc, ed è molto evidente che sia stato utilizzato dalla CIA. Per Walter Goobar, di “MiradasAlSur.com”, «si è trattato in realtà di un esperimento di Mark Zuckerberg di “manipolazione globale», che la CIA «non usa solo per reclutare agenti e compilare informazioni, ma anche per allestire operazioni sotto copertura».

A grandi linee, aggiunge Carmona, Facebook è uno strumento di comunicazione che consente di contattare amici e familiari, archiviando reti di indirizzi. Per istituzioni come il ministero americano della sicurezza, dopo l’era Bush, Facebook è una miniera di informazioni sulle amicizie dei suoi utilizzatori. I dati personali approdano sui dischi rigidi dei computer dei sistemi di sicurezza USA. «Il sistema Beacon di Facebook – spiega Carmona – realizza elenchi di utenti e associati, includendovi anche coloro che non si sono mai iscritti o quelli che hanno disattivato la loro registrazione».

Facebook si dimostra più pratico e rapido degli InfraGard, ossia le 23.000 micro-cellule di commercianti che informano l’FBI sui profili psico-politici della loro clientela. Dopo il dicembre 2006, sostiene Carmona, è stata la CIA ad utilizzare Facebook per reclutare nuovi agenti, senza sottoporsi alle regole d’ingaggio federali. «Non è necessario ottenere un qualsivoglia permesso per poterci inserire in questa rete sociale», ha dichiarato l’intelligence statunitense.

Secondo Tom Hodgkinson, l’investimento della CIA in Facebook si spiega anche con l’entusiasmo per l’alta tecnologia scatenatosi dopo l’11 settembre 2001, certificato dall’apertura del fondo di capitali “In-Q-Tel”. Per il reporter inglese, i collegamenti di Facebook con la CIA passano attraverso Jim Breyer, uno dei tre associati-chiave che nell’aprile 2005 hanno investito nel social network 12,7 milioni di dollari. Già presidente di NVCA (National Venture Capital Association), che investe su giovani talenti, Tom Hodgkinson Breyer è associato anche al fondo di capitali Accel Partners ed è membro dei consigli direttivi di giganti come Wal-Mart e Marvel Entertainment.

«La più recente tornata di finanziamenti di Facebook – rivela Hodgkinson – è stata condotta da una compagnia finanziaria denominata Greylock Venture Capital, che vi ha impegnato 27,5 milioni di dollari. Uno dei più importanti associati di Greylock si chiama Howard Cox, che è un altro ex-presidente di NVCA, che inoltre fa parte del consiglio direttivo di In-Q-Tel». Ci crediate o meno, conclude Hodgkinson, In-Q-Tel è «un fondo di capitali a rischio della CIA».

Creato nel 1999, la sua missione è quella di «individuare e di associarsi a società che sono intenzionate a sviluppare nuove tecnologie, per sostenere l’apporto di nuove soluzioni necessarie all’Ufficio Centrale d’Informazione CIA», come annunciato già nel 1998 dal direttore della centrale di intelligence, che identificava la tecnologia come prerogativa strategica per migliorare le missioni, sulla base di dati e analisi: «I responsabili della Direzione di Scienza e Tecnologia hanno elaborato un piano radicale per creare una nuova struttura d’impresa con il compito di consentire un accresciuto accesso dell’Agenzia all’innovazione del settore privato»[4].

Seppur in modo più cauto anche Bruno Saetta ha evidenziato che fin dal 2004 «scorrendo l’elenco degli altri investitori di Facebook notiamo la Greylock Partners. Uno dei soci della Greylock è Howard Cox, il quale lavorava nel Ministero della Difesa Usa e per un certo periodo è stato nel Business Board del Pentagono. Inoltre è membro del consiglio della In-Q-Tel.

La In-Q-Tel, un nome decisamente sconosciuto ai più, è il braccio imprenditoriale della CIA. Fondata dall’Agenzia americana nel 1999 per evitare la burocrazia degli appalti pubblici, agisce sotto forma di suo investitore, così i servizi segreti possono gestire l’outsourcing per la ricerca.

La In-Q-Tel consente alla CIA di tenersi al passo con i tempi dal punto di vista tecnologico, senza dover assumere uno stuolo di scienziati. Molti di noi usano tutti i giorni uno dei prodotti nei quali ha investito la In-Q-Tel, cioè il software della Keyhole Inc., e che noi oggi conosciamo come Google Earth. Google acquisì la Keyhole nel 2004, e per un certo periodo la CIA, tramite In-Q-Tel, ha posseduto azioni di Google per un totale di 2,2 miliardi di dollari.

In una brochure della In-Q-Tel leggiamo: “governments are increasingly finding that monitoring social media is an essential component in keeping track of erupting political movements, crises, epidemics, and disasters, not to mention general global trends”. Si tratta di tenere d’occhio le idee che sono più condivise in rete per anticipare il sorgere di movimenti politici. Bisogna trovarsi pronti prima di un altro Occupy!

È l’ennesima teoria della cospirazione mondiale? Nulla di tutto ciò. Non diremo che Facebook fu un’operazione della Cia né che Zuckerberg è un agente dell’agenzia americana. In rete ci sono numerosi articoli che mettono alla berlina questa tesi, ma il punto è che ridendone non si coglie il nucleo del problema. Gli intrecci tra le società che operano in rete e che di fatto la controllano, la gestiscono, la plasmano, sono molto più forti di quanto si creda: sempre le stesse società e gli stessi uomini!»[5].

Sempre riguardo all’affascinante materia dell’interconnessione ormai consolidatasi da molti anni tra grandi multinazionali occidentali, sfera politica e apparati statali delle metropoli imperialiste, è emerso inoltre dai documenti diffusi da Wikileaks che ancora all’inizio del 2017 «la CIA è in grado di installare dei software malevoli (i cosiddetti “malware”) negli smartphone, nei computer e nelle smart tv collegate al web, e di superare i sistemi di crittaggio di servizi di messaggistica come Signal, WhatsApp e Telegram. Il portavoce della CIA Dean Boyd ha detto che l’agenzia non farà commenti sull’autenticità dei documenti»[6].

È risaputo che secondo la valutazione effettuata da Bloomberg nel 2019 Bill Gates, il fondatore di Microsoft, e Jeff Bezos risultavano essere i due uomini più ricchi del mondo, con patrimoni stimati rispettivamente in 110 e 108,7 miliardi di dollari, mentre le due aziende da loro fondate risultavano rispettivamente al 22° e 8° posto nella classifica Fortune 500 del 2018: e visto che proprio alla fine del 2019 si è verificato un duro scontro tra Amazon e Microsoft, avente per oggetto, guarda caso, l’assegnazione di una maxi commessa di ben dieci miliardi di dollari da parte del Pentagono, tutti i dati portano a concludere che ormai da decenni si è creata una particolare simbiosi – a volte conflittuale – tra alcune delle più grandi imprese e gli apparati pubblici del capitalismo di stato occidentale[7].

Ancora una volta emerge dunque la politica-struttura, e cioè la politica intesa e considerata come “espressione concentrata dell’economia”.

Inoltre servizi segreti, sfera statale ed economia si connettono strettamente e ormai da decenni anche nel campo strategico dei Big Data e del processo, su scala planetaria, di raccolta di informazioni da parte di grandi società private appoggiate dai poteri pubblici occidentali: aziende con un giro d’affari diventato, già all’inizio del 2015, superiore alla cifra astronomica di 100 miliardi di dollari, a partire dalla multinazionale Palantir nata grazie ai finanziamenti della CIA, creando dunque un altro particolare intreccio tra affari e servizi di intelligence, tra le grandi imprese private e gli apparati statali delle principali metropoli occidentali.

In un articolo del 2015 è stato già descritto, in modo intelligente e dettagliato, «un settore che impiega, secondo dati del 2010, circa 854 mila persone, con 10 mila centri di lavoro, oltre 2 mila partner industriali del Governo e un fatturato stimabile in 100 miliardi di dollari l’anno secondo le valutazioni più “caute”, ma che potrebbe essere tranquillamente quantificabile in cifre vicine ai mille miliardi di dollari l’anno. È il business dell’antiterrorismo in America. L’11 settembre 2001 ha segnato l’inizio, oltre che della intensa lotta al terrorismo da parte di Washington, anche del proliferare di una nuova miriade di società, piccole o grandi, nate appositamente per fornire all’intelligence a stelle e strisce il supporto logistico e di armamenti necessario per combattere al-Qaeda e i talebani prima, il terrorismo in generale poi. Un settore industriale che, anno dopo anno, è cresciuto sempre più fino a divenire immenso, come lo ha descritto l’inchiesta del Washington Post, diventata poi un bestseller intitolato “Top Secret America”. I numeri esposti sono proprio quelli riportati da quest’inchiesta e da Austen Givens, professore dell’università di Utica che ha pubblicato l’anno scorso un libro sull’argomento, intitolato “The Business of Counterterrorism”. Naturalmente vanno presi con le pinze, dato che si sta parlando di argomenti segretissimi e senza alcun dato ufficiale…

È evidente che chi investe (e guadagna) di più con la lotta al terrorismo sono innanzitutto i giganti dell’intelligence: il Pentagono, che ha un bilancio da oltre 495 miliardi di dollari, il ministero per la Sicurezza, il ministero della Giustizia, che controlla l’FBI, e altre agenzie d’intelligence, in primis CIA e NSA. Come ha però spiegato Arturo Zampaglione per Affari&Finanza – La Repubblica, non mancano gli esempi di imprese private che navigano letteralmente nei dollari grazie a questo fruttuoso business. A partire dalla Palantir, società di estrazione ed elaborazione dati che ha raggiunto (notizia di pochi giorni fa) la valutazione record per il settore di 15 miliardi di dollari, portando il patrimonio personale del suo co-fondatore e chief executive Alex Karp al di sopra del miliardo di dollari. Nonostante la Palantir sia praticamente sconosciuta, ha raggiunto un valore pari a quello dell’intera FCA (Fiat Chrysler Automobile). E i soldi che entrano nella Palantir escono, per la maggior parte, dalle casse dello Stato, che è il principale cliente della società di Karp: elabora analisi di big data fondamentali per la lotta al terrorismo. La Palantir ha alle proprie dipendenze circa 1.200 tra ingegneri e informatici, che accumulano e analizzano ogni tipo di informazione: dalle transazioni bancarie di tutto il mondo alla quantità di pioggia caduta in una determinata zona. Elaborando i dati con software appositi, si creano poi dei piani di studio e analisi che possono risultare utilissimi agli agenti americani…

Karp è indubbiamente un genio, perché ha saputo individuare il settore in cui investire prima di tutti gli altri, creando un impero senza precedenti. Ad appena 46 anni può vantare già un fatturato annuo da 1 miliardo di dollari. A differenza di tanti suoi colleghi manager, ha un dottorato in filosofia, che gli ha aperto gli occhi (o almeno così dice) per i suoi successivi lavori, prima nella gestione di patrimoni privati e poi nell’intelligence. Per fondare la Palantir, però, ebbe bisogno dell’aiuto di un nome molto noto nella Silicon Valley: Peter Thiel, inventore dell’innovativo metodo di pagamento PayPal e grande investitore in progetti innovativi. Per dare il via alla loro azienda ricevettero anche 2 milioni di dollari da una società di venture capital chiamata In-Q-Tel. Quest’ultima, però, non è una società d’investimento come le altre: è la società creata appositamente dalla Cia nei primi mesi del 2000 per finanziare start-up che fossero in grado di migliorare le capacità tecniche dell’intelligence nel campo del software, delle infrastrutture e della scienza dei materiali. Insomma, una società appositamente nata per fare investimenti letteralmente “sicuri”, cioè nel campo del miglioramento della sicurezza nazionale. Seppur sottostia al diritto privato, la In-Q-Tel resta sotto il controllo di Langley ed è dichiaratamente una società non profit: tira fuori denaro senza pretesa che le rientri. Non è quindi un caso che la Palantir abbia, come principale cliente, proprio la CIA, oltre che altre agenzie d’intelligence americane. Recentemente, però, s’è anche aperta al settore dei privati…

Sebbene nell’ultimo decennio siano nate in tutta l’America piccole società specializzate nel lavoro d’intelligence come la Palantir, le fette più consistenti delle commesse del settore sono ancorate a multinazionali ben note: General Motors, Lockheed Martin e, soprattutto, Booz Allen Hamilton. Quest’ultima è una società di consulenza che, oramai, ottiene il 99% del proprio fatturato dal Governo»[8].

Il potente e ricco “business dell’antiterrorismo” si connette e si collega dunque con altri anelli di una lunga catena politica – intesa, con Lenin, come espressione concentrata dell’economia – che porta via via da Amazon, Palantir e Google fino all’intelligence americana e a Langley, fino agli apparati statali e al denaro pubblico dell’imperialismo statunitense del Ventunesimo secolo.

1. P. Preto, “I servizi segreti di Venezia”, p. 381, ed. Il Saggiatore

2. A. Muratori, “Ecco il vero mondo di Amazon: dalla Cia alle nuove attività in Italia”, in it.insiderover.com

3. “Amazon è partner CIA, di Bezos anche il Washington Post”, in www.libreidee.org

4. “Facebook, capolavoro del suo azionista-ombra: la Cia”, in www.libreidee.org

5. B. Saetta, “Facebook connection: il braccio della CIA e la sorveglianza digitale”, in valigiablu.it

6. “Cosa dicono i documenti di Wikileaks sulla CIA”, in www.ilpost.it

7. “Bill Gates supera Jeff Bezos, è l’uomo più ricco al mondo”, in www.repubblica.it

8. “Chi fa i soldi con l’antiterrorismo Il grande business dell’intelligence”, primabergamo.it