L’eccellenza, il grande bluff del tutti contro tutti

3d business peopledi Francesco Stilo

Riceviamo dal compagno Francesco Stilo e volentieri pubblichiamo come contributo alla discussione

Vocaboli come competitività, concorrenza, ed eccellenza, sono entrati a far parte del lessico politico e mediatico ormai da lungo tempo. La fine del socialismo reale e l’indebolirsi dei contrappesi ideologico-politici interni ai paesi del blocco capitalista occidentale, ad esempio la scomparsa del PCI in Italia e il successivo logorarsi dei suoi “successori”, hanno permesso all’ideologia dominante di dilagare senza incontrare lungo il proprio cammino validi argini. Anche presso i settori un tempo ostili alla logica della “competizione”, i nuovi valori hanno potuto così far facilmente breccia. Storicamente, ed in profondità, il socialismo si è sempre opposto al modo sociale “preistorico” del tutti contro tutti tipico del capitalismo, proponendo in autentica antitesi valori universali di cooperazione, fratellanza e solidarietà, partendo dall’assunto che il concorrere degli uomini e delle sovrastrutture da essi ideate e messe in atto, risulta sempre viziato dalle diverse condizioni di partenza e dal diverso scenario in cui si colloca qualsiasi svolgimento di fatti.

Per produrre degli esempi concreti e vicini all’esperienza di tutti, nella consapevolezza che esisteranno sempre le “eccezioni”, ma volendo però il più possibile generalizzare il concetto, basti pensare alle condizioni materiali e sociali da cui parte il figlio di un operaio rispetto al figlio di un ricco imprenditore o di un importante dirigente, alle condizioni economiche e sociali del piccolo comune di provincia rispetto a quelle della grande concentrazione urbana post industriale, alle risorse della piccola impresa artigiana rispetto alle generiche capacità della grande multinazionale. Per estendere il discorso ad un livello più ampio, e quindi ad un piano globale è possibile mettere a confronto la diversa condizione di un qualsiasi stato del cd. terzo mondo rispetto ad un qualsiasi paese cd. “avanzato”, ciò prendendo in considerazione qualsiasi tipo di indicatore, da quelli economici, ai dati sulla mortalità infantile, dal livello di alfabetizzazione, alla durata della vita media.

Potenzialmente, ma sempre più difficilmente, purché quindi ne esistano le condizioni, le diverse situazioni di partenza possono essere colmate grazie all’impegno, al sacrificio, ed allo sviluppo culturale, tanto del singolo che della comunità. Un ruolo non indifferente in questo senso lo ha svolto l’istruzione pubblica e di massa oggi tanto vituperata, o l’adeguata e gratuita assistenza sanitaria oggi sotto attacco.

Tuttavia, come già accennato, esiste un ulteriore ostacolo al giusto riequilibrarsi delle cose, ovvero le condizioni di sottofondo nelle quali qualsiasi processo umano si svolge. Su vasta scala si può pensare al verificarsi di grandi cataclismi naturali imprevisti (siccità, inondazioni, terremoti, etc.), al verificarsi di tragedie causate dall’operato dell’uomo (guerre, gravi incidenti tecnologici, etc.). Parallelamente, dal punto di vista del singolo possono essere presi in considerazione eventi inattesi quali malattie, lutti, responsabilità da assumere nei confronti di altri individui a discapito della propria soggettività. In ciò appare evidente, come il concetto della competizione, ed i suoi succedanei di cui l’eccellenza fa parte, siano solamente parole vuote, o meglio, parole piene di violenza e sopraffazione, atte a mantenere, se non addirittura ad ampliare, le differenze ed il potere del dominio costituito.

Competere, concorrere, eccellere, nella loro accezione più sana, sono mere utopie, di fronte all’incertezza ed alla complessità della vita umana, che, realisticamente, impone sempre dei vincoli più o meno prevedibili, al divenire dei fatti.

Purtroppo, però, grazie all’instancabile lavoro mediatico e “politico” svolto dai difensori prezzolati dell’attuale sistema, i “nuovi valori” si sono diffusi a macchia d’olio, facendo dapprima breccia nei luoghi deputati allo studio del sapere ed alla sua trasmissione (atenei, fondazioni culturali, etc.), per contagiare così, da un livello di autorevolezza del tutto auto costruito ed auto riconosciuto, anche gli intellettuali più attenti e progressisti, coinvolgendo a cascata la classe politica, i mondo dei media, la classe docente, fino a raggiungere “l’uomo comune”. La stessa Europa, o per essere più precisi l’UE, sembra imperniata su questi beceri concetti di cui si fa portatrice. Il sistema scolastico si è già in parte adeguato al meccanismo, ugualmente stanno facendo le istituzioni degli stati, le sovrastrutture di vario genere e in ultimo i singoli individui. Come se la realtà riproducesse nel suo complesso i meccanismi tipici delle aziende che operano in regime capitalistico, si è instaurato complessivamente il modo del competere, del prevalere, dell’eccellere, con tutte le conseguenze che ne conseguono: diffidenza, egoismo, paura, “colpi bassi”, insomma, le peggiori pulsioni e i più meschini comportamenti dell’essere umano sono stati innalzati a modello.