Giorni che rischiarano decenni

giornali spiraleRiceviamo da Norberto Natali e volentieri pubblichiamo

(prima parte, 16 luglio 2019)

GIORNALISTI, SCOOP O TRUPPE MEDIATICHE?

L’obiettività  e la neutralità sono due categorie molto diverse. 

La prima è possibile e necessaria, è la premessa essenziale per un approccio scientifico alla realtà, deve e può essere perseguita anche con una logica di parte: per esempio, si può difendere apertamente l’interesse di una classe ma con obiettività, in primo luogo ammettendo da che parte si sta.

La neutralità, invece, è un’illusione, è già una manipolazione non obiettiva (“ideologica”) del proprio ruolo: specie nella società divisa in classi, è una pura illusione la “neutralità” della stampa ma anche di altre sovrastrutture (la giustizia, la cultura, ecc.), invocarla o attribuirsela è il primo indizio della mancanza di obiettività. La stampa, per esempio, è borghese anche quando espone o denuncia quanto vi è di negativo e sbagliato nella società capitalista, perché si limita all’indicazione di singoli fatti isolati, slegati dal resto e generalmente li presenta come dovuti a disfunzioni casuali o ad occasionali “colpe”  di singoli, anch’essi considerati isolatamente. 

La stampa borghese evita accuratamente  di far comprendere ai lettori che tanti mali della società, in realtà, sono effetto (più o meno indiretto) di una comune causa originaria: per esempio il potere della borghesia, l’assetto capitalistico della società e la decadenza che esso genera. A maggior ragione, è cura della stampa borghese fare in modo che i suoi utenti non prendano coscienza che tanti guai collettivi potrebbero avere una soluzione duratura, ampia e profonda: ad esempio, con la rivoluzione, la sostituzione della classe al potere, il superamento del capitalismo. 

Non sorprende che la stampa borghese, quindi, sia proprietà (diretta o indiretta) sul piano internazionale, di un piccolissimo gruppo di monopolisti, e che questi trovino anche il modo di guadagnarci economicamente, da tale proprietà, non solo politicamente ed ideologicamente. 

Qui non si lamenta, dunque, la mancata “neutralità” della stampa borghese, né la sua proprietà e neanche l’esagerazione con cui manipola l’orientamento pubblico oltre i limiti fin qui descritti: in Italia in particolare (con il decisivo aiuto della gran parte della sinistra che ha rinunciato, oltretutto, a contrapporre una stampa di classe, proletaria, come ce n’era fino ad alcuni decenni fa) è riuscita a nascondere ogni conflitto ed interesse di classe. Si vuole evidenziare, invece, la differenza tra un impiego “classico” della stampa borghese in funzione degli interessi (politici ed immediati) dei vari potentati che ne sono proprietari (o in generale della classe cui appartengono) e qualcos’altro di diverso.

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Del primo caso, per rimanere ai tempi recenti, fa parte il cosiddetto “metodo Boffo”. Senza farla lunga su origini e retroscena, nell’ambito di uno scontro tra gruppi di potere, l’elegante signor Feltri sguinzagliò dei giornalisti per scovare una vecchia sentenza (priva di significato reale) e utilizzarla  -con confezionamenti e montature di “mestiere”-  per mettere talmente in imbarazzo il direttore del quotidiano Avvenire, appunto Boffo, da costringerlo a dimettersi.

Sorvolando sulla qualità e la moralità di ciò, si è trattato comunque di un’operazione condotta da giornalisti, con metodi e strumenti alla portata di giornalisti, ed effettivamente fondata -almeno parzialmente- su fatti in un certo senso veri (la sentenza). 

Medesime caratteristiche ha un’altra campagna giornalistica degli anni scorsi, quella che ha denunciato che l’ex caporione neofascista Fini si era indebitamente appropriato di un appartamento a Montecarlo, ricavandone un tornaconto personale. Essa fu portata avanti da Il Giornale, poiché il padrone di quest’ultimo era entrato in conflitto politico con Fini e riuscì, anche grazie a tale campagna, a liquidarlo politicamente. 

Sorvolo sulla campagna contro Iniziativa Comunista la quale, quanto meno per ampiezza e complessità, non ha molto da invidiare ad altre del genere. Mi limito ad un solo episodio significativo: il 25-26 marzo 2001 (cinque settimane prima del nostro arresto e quando la relativa indagine era totalmente segreta) la stampa calabrese rese noto che IC aveva ottemperato tutti gli adempimenti, previsti dalla legge, per ottenere la mia candidatura alla Camera dei Deputati nel collegio uninominale di Crotone. Candidatura apertamente operaia e comunista, alternativa sia al centrodestra che al centrosinistra, la quale -secondo riscontri successivi- era destinata con tutta probabilità al successo, cioè all’elezione. 

Il 27 marzo il Corriere della Sera uscì con un titolone spettacolare affermando “Iniziativa Comunista: la struttura a tre livelli delle Brigate Rosse”. L’articolo era firmato da Fiorenza Sarzanini, una giornalista che da almeno vent’anni, quasi sempre, spiattella notizie “segrete” (come in quel caso) su tutte le più importanti indagini e fatti che interessano le cronache, soprattutto politiche, senz’altro molto fortunata e molto capace.

Essa anticipava, sia pur un po’ confusamente (come accertammo un paio di mesi dopo), alcuni contenuti della patetica montatura architettata dal ROS. La “notizia” era che gli imprendibili terroristi che avevano ucciso Massimo D’Antona e da due anni angosciavano l’opinione pubblica, finalmente erano stati individuati (Iniziativa Comunista) e in quel momento uno di loro era candidato in Calabria per le imminenti elezioni politiche. 

La domanda sorge spontanea: ma la Sarzanini (e i responsabili del Corriere) erano coscienti che si trattava di una bufala insignificante? In tal caso, per l’ossessione degli scoop, mandavano alla rovina povere persone ignare. In caso contrario, invece, si deve dedurre che la Sarzanini è talmente cinica che, pur di ottenere un successo professionale, sarebbe capace di aiutare dei terroristi assassini, rivelando indagini segretissime, permettendo loro di distruggere le prove e fuggire.  

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Poi ci sono, invece, vicende di ben altra natura che coinvolgono i media e i giornalisti ed è su questo che dobbiamo attentamente riflettere, se vogliamo ragionare liberamente e non lasciare che la borghesia ci manipoli come vorrebbe, con la propria “informazione”.

Tre soli esempi, tra molti possibili, limitandomi a quelli italiani:

– Guido Giannettini, redattore del giornalaccio fascista Secolo d’Italia (organo del MSI) e anche agente Z del SID, il servizio segreto italiano dell’epoca. Non c’è spazio qui per riassumere le sue vicende, le quali si sono incrociate con la stagione delle stragi e della strategia della tensione. 

Nella sua qualità di giornalista, fu utilizzato come informatore, confidente e anche come artefice e diffusore di articoli funzionali ai depistaggi ed alla provocazione. Legato al regime fascista dei colonnelli greci, fiancheggiò i tentativi di mimetizzazione o infiltrazione nera nell’ultrasinistra allora nascente e rimase coinvolto già nelle vicende giudiziarie riguardanti la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Fu poi latitante in Argentina fino al 1974, quando venne arrestato. 

Era alle dipendenze del reparto “D” del SID ed i capi di esso (il generale Maletti e il capitano Labruna) finirono in galera per le vicende che lo videro coinvolto. Quando c’era il PCI, parecchi dirigenti dei servizi segreti “deviati” finivano in galera! 

– C’è una vicenda che è una sorta di groviglio delle ombre e delle forze peggiori che hanno attraversato la storia della repubblica italiana la quale, sotto questo profilo, non ha un’importanza molto minore di quella della strage di piazza Fontana. Si tratta del rapimento, avvenuto nella primavera del 1981 da parte delle Brigate Rosse, dell’assessore regionale DC della Campania Ciro Cirillo.

Richiederebbe troppo spazio il solo citare l’insieme delle questioni, dei risvolti e degli sviluppi a cui rimanda tale fatto. Basti dire che la DC -al contrario di quanto aveva fatto appena tre anni prima per Moro- sprofondò in una trattativa con le BR che coinvolse, in un crescendo rossiniano, i servizi segreti, le stesse BR, il capo della camorra Cutolo e via via sempre peggio in un turbine di reati (senza contare le scorrettezze morali e l’indecenza politica) sempre più gravi; tanto che -nel corso di tale grottesca “trattativa”- avvennero alcuni tra gli omicidi più gravi e misteriosi dell’epoca. 

Alla fine (a differenza di Moro, giova ricordarlo) Cirillo fu liberato dietro il pagamento di un riscatto di circa 3 miliardi di lire (approssimativamente 6 o 7 milioni di euro di oggi) che vennero spartiti tra camorra e BR. Ovviamente tutti negarono, non solo il pagamento di un riscatto ma perfino la trattativa.

Il PCI dette battaglia fin da subito, implacabile, e la intensificò nei mesi successivi al rilascio, mettendo a dura prova il muro di omertà e complicità costruito intorno alla vicenda. Da poco era scoppiato lo scandalo della P2 e il Partito dimostrò che erano di tale loggia segreta quelli che avevano diretto le indagini (e le trattative, ancora sconosciute) sul sequestro. 

Nell’inverno successivo uno strano personaggio, tale Luigi Rotondi che aveva modo di frequentare il Viminale (lui sosteneva di avervi il suo ufficio), fece innamorare una giornalista dell’Unità, Marina Maresca, come ammise lei stessa; da questa relazione personale, si profilò per la povera Maresca la possibilità di un allettante scoop: un documento dei servizi segreti (procurato e garantito da Rotondi) contenente la prova che il ministro dell’Interno dell’epoca, il democristiano napoletano Enzo Scotti, era gravemente compromesso con la sospettata trattativa e le varie sconcezze ad essa collegate.

Anche a causa dell’incapacità (diciamo così) dell’allora direttore dell’Unità, Claudio Petruccioli -si tratta di un parente degli Agnelli, la cui funzione nella storia del PCI andrebbe considerata più attentamente- venendo meno alla tradizione e ai criteri giornalistici dell’Unità stessa, consentì la pubblicazione del “documento segreto” con grande rilievo nel marzo 1982. Era un clamoroso falso e ciò fu noto a tutti nella stessa giornata della pubblicazione. 

Il vero scoop, anzi, lo fece il ministro Scotti stesso, recandosi nel pomeriggio alla sede dell’Unità,  chiedendo di parlare con i responsabili perché (secondo un astuto copione vittimistico) era addolorato che un giornale così serio e rispettabile avesse fatto una scorrettezza simile. Fu uno smacco clamoroso per il Partito e il suo quotidiano che mise in grave pericolo la battaglia per la verità e la giustizia su quei gravi scandali della DC. 

Il documento era falso, era falso anche il coinvolgimento del ministro Scotti ma gran parte di quello che vi era scritto (circa lo scempio di democrazia e legalità compiuto con la trattativa) era vero o ricalcava quel che era veramente successo. Si tratta di un caso classico, avviene in tutto il mondo, in cui i servizi segreti (chissà quali?) per depistare delle indagini fabbricano e diffondono un falso contenente molte verità, usando giornali e giornalisti allo scopo. 

Una curiosità è che l’ex ministro Scotti, ora, patrocina la scuola di formazione politica frequentata da molti parlamentari del M5S.

– Il giornalista Renato Farina è di Comunione e Liberazione e stretto collaboratore di Vittorio Feltri, tanto che è stato vicedirettore di Libero fin dalla sua fondazione. Contemporaneamente, come ha ammesso lui stesso, era la fonte Betulla del SISMI, a cavallo del 2000. In tale veste, combinò diversi pasticci, in particolare un altro falso scoop secondo cui Romano Prodi -all’epoca presidente della commissione UE- era corresponsabile dei rapimenti illegali di arabi (per lo più innocenti e legalmente residenti) che venivano portati da varie città europee in paesi mediorientali, dove spesso venivano atrocemente torturati ed uccisi.

Per “premio” fu eletto deputato nelle liste berlusconiane nel 2008 ma l’esperienza parlamentare durò poco perché venne condannato ed anche sospeso dall’ordine dei giornalisti. 

Erano gli anni -non si sa se e come Betulla vi fosse intrecciato- in cui si attribuì (per esempio lo fece anche La Repubblica con dovizia di particolari) al SISMI la realizzazione del falso dossier sull’acquisto (mai avvenuto, né tentato) di uranio del Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. Questo fu uno dei principali pretesti adottati dal presidente Bush e dal governo inglese per scatenare nel 2003 la guerra contro l’Iraq: un massacro vergognoso e la devastazione di un paese indipendente, i cui riflessi si avvertono ancora oggi.

Alla vicenda di Farina c’è un’appendice che apre ulteriori interrogativi: tre anni fa ha semismentito (non chiaramente smentito) la sua ammissione di essere la fonte Betulla. Allora perché dieci anni prima aveva detto di esserlo? Forse dietro la sua vicenda ci sono intrighi o ombre ancora non considerati? 

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La lista potrebbe continuare, per esempio con gli articoli di stampa che indicarono Prodi come possibile agente del KGB e un intellettuale cattolico poco noto ma molto serio, Ruggero Orfei, vicino anche ad Aldo Moro, come agente dei servizi segreti cecoslovacchi, poiché fu fotografato a pranzo con l’ambasciatore di Praga a Roma. 

Quel che intendo, è che il genere di bufale sopra descritte è qualitativamente diverso da quelle indicate precedentemente. In questo caso, si tratta di media o giornalisti direttamente inquadrati nella guerra che potenze imperialiste (o cartelli di monopoli finanziari) conducono tra di loro o contro chi è ritenuto proprio avversario. Insomma, si tratta non di giornalisti che conducono campagne (più o meno manipolate o pregiudiziali) bensì di “truppe” direttamente incorporate nella componente mediatica della guerra.

Ciò avviene oggi in modo anche diverso, più sofisticato, rispetto ai vecchi esempi accennati sopra, per una ragione già spiegata molto bene da Gramsci e Togliatti: il “sovversivismo” delle classi dominanti. La borghesia al potere, in decadenza (se non in putrefazione) per l’aggravarsi della sua crisi generale, nell’affannoso tentativo di fronteggiarla, entra in contraddizione anche con le proprie istituzioni democratiche e le conquiste storiche con cui conviveva. Per questo da noi attacca la Costituzione ed il suo spirito, minaccia le conquiste storiche della repubblica ma anche suoi vecchi miti e certezze, per esempio la sua stampa “libera” e indipendente: oggi non è più tempo di Watergate, infatti J. Assange -un tempo lo avrebbero premiato- finisce in galera.