Venezuela: la richiesta del riconteggio dei voti fa parte della strategia golpista

di Ángeles Diez* | da www.rebelion.org

capriles urloTraduzione di Marx21.it

L’obiettivo dell’opposizione, quando non riconosce i risultati e chiede il riconteggio totale dei voti, non è “vincere le elezioni” ma guadagnare tempo per la strategia golpista. Si cerca di inaugurare un periodo di incertezza affinché le corporazioni mediatiche e i gruppi d’assalto dell’opposizione eseguano il loro lavoro destabilizzatore. Infatti alla proclamazione dei risultati sono immediatamente seguiti gli attentati di “sostenitori di Capriles” alle sedi del PSUV, gli attacchi ad ambulatori seguiti da medici cubani, i disordini nelle strade, ecc. Si parla già di 7 morti e 61 feriti e l’opposizione ha lanciato appelli alla disobbedienza civile. L’opposizione venezuelana non sembra disposta ad assumere il potere attraverso le urne e sta cercando in tutti i modi di non permettere il consolidamento del nuovo governo.”


Alcuni giorni fa avevo affermato che i mezzi di comunicazione spagnoli facevano intravvedere due scenari possibili in Venezuela: uno era la preparazione della giustificazione della sconfitta, l’altro la preparazione di un colpo di Stato. La vittoria di Maduro, con un margine minore di quanto si sperava, ha spostato i programmi di guerra nella seconda direzione. Occorre tenere conto che questo piano B dell’opposizione venezuelana è sempre stato il il piano A delle oligarchie e dell’impero [1], ma il carisma e la leadership del presidente Chavez, e la costruzione di un progetto di egemonia popolare, gli facevano vincere le elezioni con un margine sufficiente a rendere arrischiati i piani golpisti – con il rapporto costi-benefici sfavorevole in una situazione di guerra civile -; diciamo che il rapporto di forze era abbastanza sbilanciato a favore del progetto bolivariano.

Dopo la sconfitta del golpe dell’aprile 2002 e lo sciopero dei petrolieri contro il governo Chavez l’opposizione, probabilmente con un’adeguata consulenza esterna, ha compreso che il “classico” golpe latinoamericano doveva essere diversificato e adattato alla congiuntura. Ottenere il risultato più appropriato è diventato parte della costruzione delle condizioni preparatorie di un colpo di Stato con la possibilità di vincere. Per ottenerlo il lavoro delle corporazioni mediatiche è fondamentale, non sufficiente senza dubbio, ma imprescindibile allo scopo di bombardare le coscienze e il senso comune. In un paese come il Venezuela con l’80% dei media in mano all’opposizione (circa il 70% delle utenze) possiamo dire che l’artiglieria sparava in casa. Fuori dal Venezuela, le corporazioni mediatiche, in generale, condividono interessi con i loro partner venezuelani e sono a capitale nordamericano. Per anni hanno cannoneggiato sulla non credibilità del processo elettorale, generando dubbi, mettendo in discussione il Comitato Elettorale Nazionale (CNE), alimentando voci e paure e mentendo apertamente. Poco ha importato che anche la stessa opposizione ricorresse al sistema elettorale e al CNE (che in Venezuela è un potere indipendente dallo Stato) per eleggere come candidato dell’opposizione lo stesso Capriles, né che abbia riconosciuto quasi immediatamente i risultati quando le differenze di voto erano elevate. Un sospetto si sparge e matura facilmente nascondendo ogni contraddizione logica. I mezzi di comunicazione si occupano di seminare sospetti e concentrare le coscienze dei cittadini attorno a un tema: il sistema elettorale.

Nel caso di queste elezioni si è lavorato intensamente sulla messa in discussione del sistema elettorale e le istruzioni a riguardo, non poteva essere diversamente, sono partite dal Dipartimento di Stato nordamericano. Il 16 marzo la sottosegretaria degli Stati Uniti, Roberta Jacobson, ha fatto delle dichiarazioni pubbliche mettendo in dubbio la trasparenza e la sicurezza del sistema elettorale venezuelano e immediatamente dopo il discorso di Capriles ha fatto propri i suoi slogan [2]. I giornalisti hanno lanciato i loro proiettili su questo obiettivo nel corso di tutta la campagna. Invece di contrastare le dichiarazioni dell’opposizione, per esempio con il rapporto della Fondazione Carter che afferma che il sistema elettorale venezuelano è il più affidabile e trasparente, più di quello degli USA, “il migliore del mondo”, secondo le parole dello stesso Jimmy Carter, o ricorrere ai rapporti delle centinaia di osservatori e accompagnatori stranieri (di tutte le ideologie e partiti) [3] che in ogni votazione hanno attestato l’affidabilità e la limpidezza del sistema, i giornalisti hanno ripreso senza discutere le parole d’ordine dell’opposizione.

Il non riconoscimento dei risultati era già annunciato nel caso il margine non fosse stato molto ampio. Infatti, i mezzi di comunicazione spagnoli avevano dato spazio all’azione di 40 studenti e avevano ripreso nei titoli le loro dichiarazioni “Speriamo che Capriles sia all’altezza e non riconosca il risultato in caso di frode” [4]; la stessa cosa ha fatto il Dipartimento di Stato, il cui portavoce Patrick Ventrell si era rifiutato di riconoscere la vittoria di Maduro, sostenendo in tal modo la destabilizzazione e permettendo alla strategia golpista di prendere tempo.

Un’altra delle condizioni necessarie al golpe è stata quella di guadagnare posizioni nel rapporto di forze, ottenere un sufficiente sostegno popolare, anche in caso di non vittoria elettorale, di modo che, dentro e fuori il Venezuela, i conflitti fossero visti dall’opinione pubblica come “inevitabili”. Il lavoro più sistematico si è fatto in questo campo. Anche quando il presidente Chavez vinceva ampiamente, i media non cessavano di ripetere che il Venezuela è diviso in due metà, che il presidente divideva il paese, ecc. Si è sempre diffusa la ricostruzione che assegnava ai sostenitori di Chavez l’etichetta di provocatori, estremisti, ecc., mentre i sostenitori di Capriles venivano presentati come pacifiche vittime che soffrono ingiustamente l’abuso di potere dello Stato. Avanzare nel rapporto di forze ha permesso inoltre l’operazione di marketing che assegna a Capriles quell’aria di personalità popolare che gli fa difetto – sia per estrazione che per risorse -. La vittoria ridotta di Maduro [5] e l’assunzione del potere, in corrispondenza alle leggi venezuelane, ha permesso di ricreare l’immagine di estremismo che potrebbe “giustificare” agli occhi dell’opinione pubblica internazionale i conflitti provocati dall’opposizione. Qui i media hanno lavorato sull’idea di “patto” omologando il chavismo ai partiti occidentali in cui, in assenza di ideologie e progetti antagonisti, tutto si può contrattare e negoziare. Nel caso non si vincessero le elezioni e in assenza di un sufficiente appoggio popolare, si potrebbe esigere dal governo di venire a patti con l’opposizione. L’opinione pubblica cade facilmente nella trappola che fa apparire cosa logica e di senso comune il fatto che, se non si hanno grandi differenze di voto, occorra venire a patti, non si rende conto che qui ci troviamo di fronte a due progetti contrapposti tra loro, uno di egemonia popolare, l’altro di egemonia delle elites – sebbene si presenti con un discorso populista -. Il rifiuto di venire a patti viene presentato come una manifestazione di intransigenza che alimenta lo stereotipo dell’autoritarismo perché serva come argomento giustificatorio di un golpe.

Senza alcun dubbio la richiesta di riconteggio totale dei voti è la principale arma a favore del colpo di Stato. In primo luogo perché all’opinione pubblica internazionale, compresa quella progressista, risulta ragionevole una richiesta di questo tipo. La nostra logica di fondo funziona nel seguente modo: se i risultati sono stati così risicati e se si nutrono dubbi in merito a frodi non è certo inopportuno che si proceda al riconteggio totale, e così si manterrebbe la pace e si eviterebbero disordini nelle strade. In secondo luogo non dovrebbe rappresentare un problema aspettare ad assumere il potere fino a quando non vengano confermati i risultati. Ma, tutto questo che pare così ragionevole, inserito nel contesto venezuelano, si trasforma in un tranello. Né la CNE può accettare il riconteggio totale del voto né Maduro può ritardare la sua assunzione del potere. Se la CNE accettasse il riconteggio totale dei voti accetterebbe che il sistema elettorale venezuelano (totalmente automatizzato), con i suoi 14 centri di controllo su tutto il processo e con il 54% delle sezioni elettorali sottoposte a controllo, non è affidabile, che ci troveremmo di fronte all’eventualità di qualche tipo di frode. Tutto il sistema elettorale è la garanzia della sovranità popolare in Venezuela e non trasmette risultati provvisori o sondaggi, e quando trasmette i risultati è perché il conteggio realizzato ormai rende irreversibili i risultati; di modo che mettere in discussione questi risultati significa mettere in discussione tutto il sistema, compresa l’indipendenza della CNE. Qualsiasi irregolarità rilevata, come in qualsiasi paese che conosciamo, deve essere discussa nei tribunali, cosa che non ha fatto l’opposizione venezuelana che non ha neppure formalizzato la sua denuncia di frode e i reclami. D’altro lato, l’eletto presidente Maduro non può non assumere la presidenza poiché implicitamente riconoscerebbe che il risultato non è chiaro e contribuirebbe ad alimentare i dubbi e l’instabilità del paese.

L’obiettivo dell’opposizione, quando non riconosce i risultati e chiede il riconteggio totale dei voti, non è “vincere le elezioni” ma guadagnare tempo per la strategia golpista. Si cerca di inaugurare un periodo di incertezza affinché le corporazioni mediatiche e i gruppi d’assalto dell’opposizione eseguano il loro lavoro destabilizzatore. Infatti alla proclamazione dei risultati sono immediatamente seguiti gli attentati di “sostenitori di Capriles” alle sedi del PSUV, gli attacchi ad ambulatori seguiti da medici cubani, i disordini nelle strade, ecc. Si parla già di 7 morti e 61 feriti e l’opposizione ha lanciato appelli alla disobbedienza civile. L’opposizione venezuelana non sembra disposta ad assumere il potere attraverso le urne e sta cercando in tutti i modi di non permettere il consolidamento del nuovo governo.

I mezzi di comunicazione in Spagna e il governo hanno serrato le fila a fianco dell’opposizione venezuelana e stanno dispiegando tutta l’artiglieria. Anche se il ministro Margallo ha parlato di un malinteso in merito alla richiesta di riconteggio dei voti (probabilmente gli investimenti spagnoli in Venezuela gli hanno fatto mitigare le dichiarazioni), i media, molto più coinvolti nella strategia golpista, hanno battuto il tasto del vuoto di potere.

In questo momento il riconteggio totale è la parola d’ordine che cerca di rovesciare il rapporto di forze e il risultato elettorale, che cerca di rendere accettabile ciò che non lo è. I media riescono a far credere che il vincitore delle elezioni debba essere messo in discussione, che i difensori della legalità vigente appaiano come trasgressori e che la violenza golpista venga presentata come espressione della volontà popolare. Si lanciano i corpi di assalto che attiveranno una spirale di violenza e dopo le mobilitazioni di massa. Questi gruppi violenti utilizzeranno la provocazione (attentati, violenza di strada, ecc.) e se non otterranno risposta aumenteranno il livello della provocazione e se i chavisti dovessero rispondere verrebbero giustificati nei loro attacchi (presentati come se si stessero difendendo). D’altro canto, questi gruppi non possono agire isolati e per questo si cercherà di portare le masse nelle strade di modo che non si possa distinguere tra questi gruppi e la gente normale. Di qui l’appello di Capriles a una marcia popolare fino a Caracas. “Il popolo nelle strade” servirà come giustificazione ai media e a molti intellettuali e accademici per dare ragione all’opposizione.

La storia dell’America Latina si ripete nelle forme con cui le elites perpetuano il loro potere. O vincono le elezioni o prendono il potere in altro modo. Chavez e la Rivoluzione Bolivariana hanno sfidato l’impero e i suoi alleati per un tempo sufficiente e il virus si è esteso ad altri paesi latinoamericani. Pare proprio che, al contrario di quanto affermano alcuni media, né l’opposizione venezuelana né l’impero sappiano aspettare.

NOTE

[1] La oligarquía venezolana, muy vinculada a EEUU y sus socios, engloba a las empresas transnacionales con intereses en las reservas petroleras, el empresariado importador nacional, los partidos políticos tradicionales y las corporaciones mediáticas.

[2] http://www.telesurtv.net/articulos/2013/03/17/venezuela-rechaza-declaraciones-injerencistas-de-sub-secretaria-de-ee.uu-6294.html

[3] http://internacional.elpais.com/internacional/2013/04/16/actualidad/1366109495_132234.html

[4] http://internacional.elpais.com/internacional/2013/04/09/actualidad/1365516397_978209.html

[5] http://www.rebelion.org/noticia.php?id=166766&titular=victoria-m%EDnima-del-%3Ci%3Echavismo%3C/i%3E-


*Ángeles Diez è dottore di Scienze Politiche e Sociologia, Professore all’Università Complutense di Madrid