Quale patria per il ribelle? Parte II

di Giambattista Cadoppi

Patriottismo, sovranità nazionale, adattamento nazionale del marxismo e alleanze

Patriottismo della costituzione e stato di cittadinanza

L’amore per la Patria comprende necessariamente l’amore dell’uguaglianza.

Robespierre, discorso alla Convenzione del 18 piovoso, anno II.

Qui la prima parte

Una delle prime mosse che fece l’Assemblea Costituente francese fu di fare un’indagine su chi fossero i francesi e scoprì che solo il 17 per cento dei francesi parlava francese e che francesi erano anche i baschi, i provenzali, gli occitani, i bretoni, i corsi, che francesi erano pure gli ebrei e i protestanti piuttosto che i cattolici. La Rivoluzione francese trasformò i sudditi in “citoyen” e si era “citoyen” indipendentemente dal credo religioso o dalla lingua parlata, dall’etnia di appartenenza o dall’estrazione sociale. Era lo “Stato di Cittadinanza” che è l’opposto dello stato etnico nazionalista, così come l’abbiamo conosciuto sotto i fascismi con il loro suprematismo razziale, la mentalità razzista e colonialista spesso sterminazionista. (Valga per tutti l’atteggiamento fascista nei confronti della minoranza slava dell’Istria, che poi relativamente all’Istria nel suo insieme, minoranza non era).

Il patriottismo, quindi, è legato allo stato di cittadinanza, perché per il giacobinismo è patriota non chi è “francese”, ma chi condivide i principi costituzionali francesi riassunti in “Liberté, Fraternité, Egalité”. Il patriottismo giacobino è un patriottismo se vogliamo “della costituzione” (Hobsbawm 1992; Viroli 1995) [1].

Il patriottismo giacobino è all’origine di natura prevalentemente politica piuttosto che culturale. Lo stato non è inizialmente concepito come una comunità culturale, ma come un’unità politica che si è affermata con l’atto stesso dell’istituzione dell’uguaglianza giuridica. Come ricorda Robespierre, in un famoso discorso alla Convenzione: «L’amore per la Patria comprende necessariamente quello per l’uguaglianza». L’uguaglianza legale è il punto di riferimento della nazione, e continuava a essere percepita come la sua essenza. I giacobini accettano anche con entusiasmo la conclusione di Rousseau secondo cui le nazioni moderne hanno necessariamente un’identità culturale propria. Anche quell’identità è stata creata, non trovata. La repubblica non è solo “une et indivisible” ma anche “française”. I Girondini furono accusati di dimenticare gli interessi del popolo francese in nome dell’internazionalismo astratto.

Rousseau fornisce un punto di partenza naturale per la discussione sul problema del patriottismo. Il filosofo francese è un oppositore dichiarato di quello che chiamava “cosmopolitismo”. Secondo lui, il patriottismo è una passione sana, perché stimola la virtù. L’amor proprio è un tratto negativo nell’uomo ma difficile da sopprimere. Ma l’amore per la propria patria permette a una persona di unire l’amore di sé alla dedizione a qualcosa più grande di sé. Per il filosofo francese la nazione, la vera patria, è la cittadinanza democraticamente associata. Quindi l’orgoglio della patria è, in realtà, l’orgoglio della democrazia popolare e dunque in ultima analisi della costituzione democratica. Troveremo tracce di questo anche nei teorici del marxismo.

I concetti di uguaglianza politica e identità culturale francese sono strettamente fusi, perché le classi “feudali” che incarnano tradizionalmente la disuguaglianza sono ritenute lontane dalla nazione come comunità culturale. Lo stato rivoluzionario francese accetta la dottrina di Danton secondo cui una nazione moderna e sovrana non può fare a meno delle “frontiere naturali”. In reazione al vecchio mondo dinastico, dove i principi governano territori sparsi che possono acquisire e scambiare a loro piacimento secondo i loro legami familiari, contro gli imperi dove non tramonta mai il sole, gli stati moderni hanno bisogno di una base nazionale omogenea. Gli stati hanno diritto a un’esistenza consolidata all’interno di frontiere sicure. I Giacobini, In quanto “patrioti rivoluzionari”, sperano di trasformare ulteriormente il mondo al di fuori dei confini nazionali. Lo stato francese agisce come replicatore di nazioni. Allo scopo di diffondere la “libertà” ai patrioti all’estero, si crea una rete di “repubbliche sorelle” lungo i confini francesi, analogamente all’Unione Sovietica del dopoguerra. Non c’è dubbio che i francesi si considerano la nazione d’avanguardia. Certo, come farà l’Unione Sovietica più tardi, influenzano le altre nazioni che hanno liberato. Essi tentano di sradicare la disuguaglianza “feudale” sulla scia dei loro eserciti. Sperano di creare un nuovo mondo di nazioni basate sull’uguaglianza legale. E quella causa continua a essere perseguita anche dopo che Napoleone prede il potere. Nonostante le manie imperiali, l’imperatore la diffonde in tutta Europa. Secondo Marx i giacobini “spezzarono le terre feudali, e falciarono le teste feudali cresciute sopra di esse”, mentre Napoleone spazza via, anche oltre i confini della Francia, le istituzioni feudali [2].

Lo stato giacobino crolla prima che molti dei suoi obiettivi possano essere raggiunti. Le forze radicali di tutta Europa si chiedono subito cosa fosse andato storto. Perché il meraviglioso ideale della comunità virtuosa degli eguali è crollato? I giacobini radicali Babeuf e Buonarotti, concludono che le nazioni possano avere unità di volontà e d’interessi solo abolendo la fonte del male: la proprietà privata. Robespierre è stato incoerente. Il leader giacobino non è riuscito a creare una base economica comunista adeguata per regno della virtù. Quest’analisi fornisce il punto di partenza per la crescita del ramo comunista dall’albero giacobino (van Ree).

Nell’Europa del diciannovesimo secolo, il patriottismo è ancora inteso come un progetto rivoluzionario. Non è strano che l’Internazionale sia cantata insieme alla Marsigliese, con i suoi “Allons enfants de la patrie”. I socialisti riconoscono la lotta per lo stato di nazione ai polacchi, tedeschi, ungheresi e italiani. Si spera che gli stati di nuova creazione diventino democrazie radicali e imbocchino la via del socialismo.

Friedrich Engels indica la mobilitazione rivoluzionaria di popolo come uno dei tratti caratteristici del «glorioso anno 1793». Engels menziona come esempio a lui contemporaneo la rivolta nazional-popolare ungherese del 1848 guidata da Lajos Kossuth, «che per la sua nazione è stato Danton e Carnot in una sola persona» (Lowy).

A Proudhon che deride e condanna le aspirazioni nazionali dei popoli oppressi come espressione di attaccamento oscurantista a pregiudizi obsoleti risponde Marx:

In Polonia, la lotta per l’indipendenza e la resurrezione nazionale vede la partecipazione anche di borghesi e persino di nobili. La cosa non stupisce, dato che a subire l’oppressione è la nazione nel suo complesso. Ma ciò è un motivo di scandalo per il populista incline a pensare che l’unica contraddizione reale sia quella tra poveri e ricchi, tra “popolo” umile e incorrotto da un lato e i grandi e i potenti (borghesi e nobiliari) dall’altro. Di qui l’atteggiamento beffardo e sarcastico che Proudhon assume nei confronti dei movimenti nazionali e, in particolare, di quello polacco. Duro è il giudizio di Marx, che parla a tale proposito di “cinismo da cretino”, per di più al servizio o alla coda dell’imperialismo zarista o, in altri casi, del bonapartismo di Napoleone III (Losurdo).

La Comune di Parigi è un bell’esempio della fusione dei vecchi ideali patriottici e democratici. Esprime il desiderio della popolazione della capitale francese di determinare il proprio destino sia come avanguardia della nazione francese contro gli invasori tedeschi sia come avanguardia delle masse nelle loro lotte sociali. La Comune di Parigi imputa alla classe dominante non solo lo sfruttamento dei lavoratori ma anche il non essere in grado di resistere all’aggressione tedesca (Losurdo). La Comune non è solo un momento epico della lotta di classe ma vi è presente un intreccio tra questione nazionale e lotta di classe. Per Blanqui, il socialismo e il patriottismo sono ancora difficili da distinguere. La sua esortazione alla lotta nel 1870 è quella della patria in pericolo di Danton (van Ree).

Il patriotta di cui abbiamo parlato è semplicemente colui che vuole fare in Italia ciò che i francesi hanno fatto a casa loro, come più di cento anni dopo i comunisti di tutto il mondo con la “Russia soviettista”. Il patriotta è repubblicano, spesso carbonaro, quasi sempre membro di gruppi che fanno capo alla Giunta Liberatrice di Buonarroti. Siccome il programma della Giunta Liberatrice è in definitiva il comunismo [3] (Buonarroti partecipa alla “Congiura per l’eguaglianza” di Babeuf) si può tranquillamente dire i primi patrioti italiani sono comunisti.

L’ethos politico che governa la Francia rivoluzionaria e poi l’Unione Sovietica è piuttosto simile. Il termine “unità di volontà” era già in uso da Robespierre. Babeuf e Buonarroti lo trasferiscono al comunismo delle origini. Essi si riferiscono alla stretta unità d’intenti della comunità popolare. I cittadini sono impegnati con dedizione totale alla causa pubblica (van Ree).

Il marxismo, nonostante abbia riconosciuto nel nazionalismo un fenomeno sorto nell’età borghese, ha commesso all’inizio un errore nel sottovalutare la sua importanza e la sua capacita di sopravvivenza, errore questo causato soprattutto da una radicata antipatia nei suoi confronti in alcuni ambienti per altro minoritari. A partire da Lenin e in seguito con Stalin, i marxisti ne hanno analizzato il significato storico rivoluzionario, prendendone in considerazione la forza politica. L’elaborazione leninista del marxismo costituisce un importante progresso per la comprensione di questo problema, specie per quanto riguarda i movimenti di liberazione dei popoli coloniali e semicoloniali, nonché la lotta delle nazioni europee contro il fascismo (Hobsbawm).

In effetti, il marxismo e stato in grado di prevedere alcune questioni molto importanti, particolarmente la commistione di elementi sociali e nazionali nelle lotte di liberazione del secolo scorso e l’importanza storica di questi movimenti nei paesi extraeuropei.

NOTE

1. Per il sociologo tedesco Jurgen Habermas, dopo Auschwitz non poteva esistere che il patriottismo della costituzione la sola via accettabile per creare una identità nazionale tedesca. Habermas afferma: «Per noi nella Repubblica Federale patriottismo costituzionale significa, tra l’altro, la fierezza di essere riusciti a trionfare in modo durevole sul fascismo per stabilire l’ordine di uno stato di diritto». Certo questo patriottismo manca del pathos di un Mazzini. Scrive Viroli «Giuseppe Mazzini che ci ha lasciato una teoria dell’amor di patria che anche i più autorevoli critici del patriottismo oggi riconoscono come una valida visione per la lotta contro le diseguaglianze sociali».

2. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte.

3. “La Società dei Veri Italiani ha per oggetto l’unità, indipendenza e libertà d’Italia intendendo per libertà un governo repubblicano democratico istituito sulla sovranità del popolo e perfetta uguaglianza” (Filippo Buonarroti)