Le guerre contro Putin

putin rt smalldi Guadi Calvo* | da alainet.org

Traduzione di Marx21.it

Dal momento in cui la Russia ha spezzato l’unipolarismo, nell’agosto 2013, dopo l’episodio di Al-Ghutta, uno dei momenti più critici della guerra in Siria, quando Barack Obama aveva cercato di avviare un’operazione armata contro il presidente Bashar al-Assad, accusandolo di utilizzare armi chimiche contro la popolazione civile del quartiere di Damasco di Al-Ghutta, in cui sarebbero morte 2.500 persone. Obama, allora, che si sentiva investito del santo diritto dei popoli, aveva mobilitato ancora una volta la sua aviazione, allo scopo di annientare ogni resistenza del governo siriano all’assalto di migliaia di terroristi che avevano invaso il suo paese.

Questo gesto disperato del Premio Nobel della Pace 2009, che aveva condotto il mondo sull’orlo di un olocausto nucleare, non solo generò la risposta immediata e precisa di Mosca, che avrebbe impedito la concretizzazione di tali attacchi, ma anche fece si che il Regno Unito, per la prima volta in una lunga storia di alleanze militari con gli Stati Uniti, desistesse dall’accompagnarlo in una nuova avventura bellica. Naturalmente, come sempre, la Francia nel suo eterno ruolo di secondo violino, non esitò ad assecondare Obama, ma l’operazione Al-Ghutta era già stata smontata, dal momento che si seppe che le armi tossiche utilizzate contro la popolazione civile erano state rubate dagli arsenali del colonnello Gheddafi, dopo che era stato rovesciato, e che era stata denunciata la presenza di 15 agenti del Mossad sul luogo dei fatti, dei quali in seguito non si sono avute più notizie.

Ad Al-Ghutta, Obama subì uno dei più pesanti rovesci della storia degli Stati Uniti; e permise a Putin di occupare il centro della scena mondiale; la Francia, come sempre dalla Conferenza di Yalta, fu costretta a osservare la grande storia dall’esterno.

La fine dell’unipolarismo non ha imposto, al contrario di quanto sostengono molti analisti, il multipolarismo.

Diciamolo chiaramente, nel mondo solo tre paesi hanno voce in capitolo e sono ovviamente Stati Uniti, Russia e Cina. Gli altri, a partire dallo sconnesso blocco dell’Unione Europea, sono comparse e molti di essi sempre più ai margini.

Dopo l’irruzione di Mosca nel conflitto siriano, con un sempre maggiore coinvolgimento, e ben oltre gli ingenti sforzi dell’Occidente, delle monarchie sunnite del Golfo, di Israele e della Turchia, assistiamo al miracolo di Aleppo, sebbene senza dubbio la morte continuerà a essere sparsa sui campi siriani, e il terrorismo subisce un colpo talmente demolitore che, se venisse a mancare del gigantesco appoggio economico e militare dei suoi patrocinatori, segnerebbe la sua sorte.

In ultima analisi, il presidente Bashar al-Assad, insieme a Vladimir Putin, al presidente iraniano Hassan Rouhani e al segretario generale del gruppo libanese sciita Hezbollah, Hassan Nasrallah, si affermano come i grandi vincitori di una delle più terrificanti guerre degli ultimi trent’anni.

Senza dubbio, i think tank avevano preso in grande considerazione la possibilità che le strategie occidentali contro la Siria, per cercare in seguito di colpire l’Iran, avrebbero potuto subire un insuccesso e che da questo insuccesso Putin avrebbe potuto beneficiare politicamente a livello interno e, soprattutto, a livello internazionale.

Il colpo si Stato in Ucraina del 2014 e l’inizio di un conflitto in un ambito geografico molto caro all’immaginario russo, è stato un buon modo per aprire una ferita e mantenerla sanguinante per tutto il tempo possibile e necessario.

L’Occidente, non solo, da molti anni, tenta di colpire la Russia in Ucraina, e soprattutto dal momento della sua azione decisa per porre fine alla guerra in Siria, ma le operazioni e le provocazioni contro la Russia si moltiplicano a partire dai territori dell’ex Unione Sovietica e di quelli appartenenti all’ex Patto di Varsavia. Nel tentativo di limitare l’influenza russa in questi territori sul piano politico, economico e militare.

La riconquista della Crimea da parte della Russia è stata l’evento che ha finito di spaventare la NATO e l’Unione Europea, facendo in modo che piovessero le sanzioni economiche contro Mosca, aggiungendole a quelle già applicate per la sua “ingerenza” nelle nuove repubbliche dell’est ucraino, Donetsk e Lugansk.

La riattivazione del fronte orientale

I nemici del presidente Putin non permetteranno che la vittoria schiacciante di Aleppo possa essere sfruttata in pieno, e insieme alla campagna mediatica, con cui cercano di trasformarlo da liberatore in genocida, nelle ultime settimane hanno ripreso nell’est ucraino la guerra, che sembrava mantenersi sotto traccia.

Dal 18 dicembre nei dintorni di Svetlodarsk, nella regione di Donetsk, forze di Kiev hanno iniziato a mobilitarsi, provocando la rapida reazione dei separatisti, con un bilancio, a seconda delle fonti, tra le venti e le 300 vittime.

Alla fine di novembre, a Minsk l’incontro tra Ucraina, Russia, Francia e Germania, per la ricerca di un piano di discussione per la soluzione pacifica del conflitto, è fallito come già erano fallite tutte le precedenti riunioni di questo tipo.

Il fronte di guerra alle porte della Russia è ancora attivo e senza dubbio continuerà ad allargarsi, secondo le esigenze dell’Occidente.

Il governo del presidente Petro Poroshenko sta affogando nella crisi economica, nella corruzione e nel pantano della guerra.

E non controlla neppure i gruppi neonazisti che lo hanno portato al potere e che in questi giorni hanno compiuto diversi pogrom contro l’importante comunità ebraica di Kiev, e persino contro uno dei siti più sacri della comunità ebraica in Ucraina, la tomba del rabbino chassidico Nachman di Breslav, a sud di Kiev, visitata ogni anno da migliaia di ebrei.

Il recente scandalo, a seguito della diffusione di documenti compromettenti per il presidente Poroshenko, lo avvicinano sempre più al baratro.

Alexander Onishchenko, un ricco uomo di affari ucraino che è stato costretto a fuggire dal suo paese, ha diffuso documenti che rivelano gli interessi economici di Poroshenko, dietro le incursioni dell’esercito ucraino nel Donbass. Il rapporto rivela i contratti militari delle imprese del presidente ucraino con l’esercito.

Questa situazione costringerebbe il Fondo Monetario Internazionale (FMI) a tener conto del fatto che il denaro prestato all’Ucraina aveva un’altra destinazione, ma il legame tra il FMI e la NATO fa si che la sua direttrice, la discussa Christine Lagarde, mantenga un rigoroso silenzio, dal momento che Poroshenko garantisce il conflitto alla frontiera russa.

E’ fuori di dubbio che l’Occidente non perdonerà a Putin di avere spezzato l’unilateralismo e, insieme ad esso, i piani di espansione globale delle imprese sia statunitensi che europee.

Per questa ragione non gli si darà tregua, e non si esclude che l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, Andrey Karlov, o la remota possibilità che l’aereo Tupolev-154 caduto nel Mar Nero, che si dirigeva verso la Siria con 91 persone a bordo, sia stato anch’esso bersaglio di azione terroristica, abbiano aggiunto altre vittime nelle guerre contro Putin.

* Guadi Calvo è scrittore e giornalista argentino. Analista internazionale, in particolare delle questioni riguardanti Africa, Medio Oriente e Asia Centrale. In Facebook: https://www.facebook.com/lineainternacionalGC