La presunta “fine del ciclo progressista in America Latina”

chavez corteodi Angel Guerra Cabrera* | da alainet.org

Traduzione di Marx21.it

Da qualche tempo è stata decretata, da parte delle destre e di settori della sinistra disorientati dell’America Latina e dei Caraibi (ALC) e anche dell’Europa, la fine di quello che è definito ciclo progressista. Basano le loro affermazioni su speculazioni molto lontane da un autentico lavoro sul campo e dalla conoscenza, o la corretta interpretazione, della storia delle lotte dei nostri popoli latinoamericani e caraibici. O, semplicemente le alimentano con i propri desideri.

Esistono, senza dubbio, elementi di carattere oggettivo e soggettivo che hanno portato a una diminuzione dell’impeto offensivo dei cosiddetti governi progressisti. Inoltre, si sa bene che i processi popolari e rivoluzionari non crescono in maniera lineare per tutto il tempo ma subiscono accelerazioni e retromarce, flussi e riflussi per quanto bene siano diretti e per quanto consenso popolare abbiano acquisito.

Ma prima di passare a questo argomento credo importante dire che preferisco un’altra denominazione per questi governi rispetto a quella di progressisti, ma adeguata a mia umile opinione alla realtà dell’ALC dopo l’ascesa alla presidenza del Venezuela di Hugo Chavez (1999).

Per questo, li qualifico come governi che, in grado differente, sono indipendenti dagli Stati Uniti, prendono le distanze dai dettami del Consenso di Washington, si pronunciano attivamente per l’unità e l’integrazione latino-caraibica e per un mondo multipolare. Se ci atteniamo a queste caratteristiche, possiamo dire che le posseggono in qualche misura: Antigua e Barbuda, Argentina, Bolivia, Brasile, Cuba, Dominica, Ecuador, El Salvador, Granada, Nicaragua, San Cristobal y Nieves, Santa Lucia, San Vicente y las Gradinas, Suriname, Uruguay e Venezuela.

Riprendendo il filo, è evidente che la scomparsa nel 2013 di un leader di qualità tanto spiccate come Hugo Chavez, ha rallentato, nonostante i valorosi sforzi del degno Nicolas Maduro, il ritmo dell’avanzata dell’unità e dell’integrazione della nostra regione. A ciò si aggiungono la impetuosa caduta del prezzo delle materie prime; il fatto che alcuni dei paesi menzionati siano entrati in recessione, come il Venezuela e il Brasile, o abbiano subito una diminuzione della loro crescita, con la conseguente diminuzione dei fondi per i programmi di redistribuzione della ricchezza e un colpo al potere d’acquisto della popolazione; inoltre, la necessità di ricorrere al credito internazionale, fondamentalmente della Cina, per compensare la caduta delle loro entrate in divisa. Dobbiamo aggiungere errori e insufficienze nella gestione dei governi e nel comportamento dei loro partiti.

Ma già prima del 2013 si era registrata un’altra variabile fondamentale: la controffensiva degli Stati Uniti e delle oligarchie contro i governi indipendenti e contro l’unità e l’integrazione dell’ALC, dall’attacco yankee-uribista al territorio dell’Ecuador e il ristabilimento della IV Flotta da parte di Washington (2008), fino ai colpi di Stato riusciti contro i presidenti Zelaya e Lugo in Honduras (2009) e in Paraguay (2012) e a quelli sconfitti in Bolivia (2008) e Ecuador (2010) contro i loro omologhi Morales e Correa.

Tutto quanto ciò è stato preceduto dal golpe e dal boicottaggio petrolifero in Venezuela (2002-2003) e  proseguito nell’ultimo decennio da un permanente assedio destabilizzante contro questi governi. Impegno in cui le cosiddette industrie culturali statunitensi – compresi gli agglomerati corporativi di comunicazione dell’ALC – sostituiscono letteralmente come armi da guerra gli eserciti, mediante l’intossicazione, l’abbruttimento e l’inganno di milioni di persone. Lo vediamo in modo molto evidente in questi giorni in Brasile, Ecuador e Argentina. Aggiungiamo poi i programmi statunitensi che formano attivisti nelle tecniche delle rivoluzioni colorate, che comprendono l’uso delle reti sociali digitali.

Oggi vediamo che, oltre all’offensiva contro Maduro, sono attaccati a fondo Correa, Dilma e Lula, ed è trattato in maniera ostile Sanchez Cerén (attuale presidente di El Salvador, ndt). Però non siamo di fronte alla fine del ciclo. Ciò a cui stiamo assistendo è golpismo di destra causato dall’impossibilità di sconfiggere alle elezioni questi governi.

La ragione è semplice. Nonostante la crisi economica internazionale che colpisce anche e duramente paesi sviluppati come Stati Uniti, Germania, Francia e Giappone, i governi indipendenti da Washington ottengono conquiste sociali incomparabili nell’ALC che arrivano a coloro che non hanno mai posseduto nulla. Tra le quali sottrarre alla povertà milioni di persone, portare nelle aule milioni di studenti, estendere apprezzabilmente l’assistenza sanitaria ed elevare la qualità della vita delle popolazioni. Tornerò sul tema.

*Giornalista cubano residente in Messico ed editorialista di La Jornada