XVI Congresso del Partito comunista cinese

In occasione dell’80° anniversario della fondazione del PCC, il segretario Jiang Zemin pronunciò un discorso che divenne, in tutta la Cina, una base di discussione centrale in vista del XVI Congresso del Partito.Quell’intervento fu rapidamente assunto come il testo base della teoria della “triplice rappresentatività”, teoria che corre il rischio di essere ricondotta alla sola proposta di ammettere i capitalisti nelle file del PCC.
In realtà, la tesi proposta da Jiang Zemin, secondo la quale il PCC deve rappresentare insieme “le forze produttive avanzate, la cultura avanzata e le grandi masse popolari”, era stata precedentemente elaborata, ma l’intervento del segretario ha assunto un’importanza politica e teorica decisiva, sino al punto di proporne un inserimento nello Statuto del Partito. Tale teoria, nella sua formulazione originaria, non è certo riducibile alla sola proposta di ammissione dei capitalisti nel Partito: la possibilità di appartenenza al Partito riguarda tutta una serie di nuovi ceti, tra cui i capitalisti costituiscono solo una componente che è però qualitativamente la più rilevante.
E’ quindi più che comprensibile che si sia aperto in Cina, a tale proposito, un dibattito profondo, di cui riferiamo alcuni aspetti, cercando di delinearne il contesto, di cui peraltro non tutti i contorni sono compiutamente conosciuti.

Capitalisti nel Partito comunista?

Per essere precisi, la questione dell’ammissione dei capitalisti nel PCC si pone oggi più sul piano teorico e qualitativo che su quello pratico e quantitativo; infatti, conseguentemente ai processi evolutivi della Cina contemporanea e all’appartenenza al Partito dell’“élite” politica e sociale cinese, alcuni capitalisti erano già membri del PCC, in quanto lo erano già prima di cambiare posizione sociale1. Inoltre la definizione cinese differisce da quella in uso nel mondo capitalistico: per “imprenditori” si intendono sovente i dirigenti di imprese a capitale misto, che spesso sono imprese pubblico il cui capitale azionario è stato aperto anche a privati. Il loro numero è assai ristretto in rapporto all’insieme degli iscritti2.
La discussione ha comunque un’altra portata, e concerne la natura stessa del Partito. La proposta del presidente Jiang Zemin non si limitava infatti a constatare e legittimare l’appartenenza di singoli capitalisti al PCC, ma intendeva riconoscere il ruolo nel Partito di quel settore della popolazione, modificando di conseguenza lo Statuto che fino ad ora affermava che “il PCC è l’avanguardia della classe operaia”.
Si pone quindi l’interrogativo se tale proposta modifichi la natura comunista, di classe, del Partito o se sia piuttosto un mero adattamento all’evoluzione contemporanea della società cinese, in tumultuoso sviluppo. Ovvero: se, con questa decisione, la Cina tenda a spostarsi verso il capitalismo o solo ad adeguarsi alla fase attuale di “socialismo di mercato”.3
Tale dibattito va collegato all’evoluzione economica della Cina, dove il settore privato è notevolmente cresciuto e rappresentava il 30% del PIL nel 2001, contro il 70% del settore pubblico (37% statale, 33% cooperativo). Si contavano, nel 2001, due milioni di imprese private con 27,13 milioni di lavoratori , pari al 3,7% dei 730 milioni di lavoratori cinesi (490 mln. nelle zone rurali, 240 mln. nelle città).

Rottura o continuità?

La tesi ufficiale riportata dai mass-media cinesi è categorica: si tratta di adattamento, nel solco della tradizione, non di rottura. Il teorico Li Zhongjie, riferendosi alla teoria nel suo complesso, invita “a cogliere il nesso stretto esistente tra la” triplice rappresentatività” e il marxismo-leninismo, il pensiero di Mao Zedong, e la teoria di Deng Xiaoping, contrastando ogni tendenza a separare o contrapporre tali impostazioni. Una volta, riferendosi al metodo scientifico del marxismo, Deng Xiaoping impiegò due espressioni: “antenati remoti” e “dire cose nuove”, per indicare che non dobbiamo abbandonare i testi clasici dei marxisti che ci hanno preceduto, ma dobbiamo apportare qualcosa di nuovo, in accordo coi nuovi tempi”. Dopo parecchie citazioni che mostrano la “continuità della linea”del PCC sul piano dell’impostazione metodologica, pur riconoscendo gli elementi nuovi del contesto, Li Zhongjie aggiunge: “Vanno contrastati gli errori “di sinistra”, di coloro che negano l’importanza della “triplice rappresentatività” in termini rigidi e dogmatici, senza considerare i cambiamenti della situazione storica obbiettiva, come pure le tendenze “di destra” che negano i principi fondamentali del marxismo ed i quattro princìpi cardinali4, col pretesto di sostenere la “ triplice rappresentatività”.5
Nello stesso spirito, riguardo all’ammissione di nuovi aderenti,“Li Liangdong, dirigente della Scuola centrale di partito, ha sottolineato che il carattere di avanguardia di classe di un partito politico è determinato dai suoi principi orientativi, dai suoi obiettivi di lotta e dai suoi valori, non dalla provenienza sociale degli iscritti. Non abbiamo motivo di escludere dall’appartenenza al Partito elementi avanzati di altri strati sociali, compresi gli elementi avanzati degli operatori economici privati. (…) Si intende che si tratta di ammettere non tutti, ma gli elementi avanzati(…) e se tali non sono, non potranno essere ammessi nel Partito. Non possiamo quindi dire che il PCC stia diventando un “partito di tutto il popolo”6. Un buon numero dei principali dirigenti del Partito nella fase della Nuova Rivoluzione Democratica proveniva da famiglie della classe sfruttatrice; ma non per questo si può dire che il PCC non fosse allora l’avanguardia della classe operaia; né si può usare l’origine sociale di una persona come criterio per giudicarne la qualità complessiva”7.

Critiche interne

Schematizzando, questa posizione suscita critiche di due tipi: una, cosiddetta di destra, ravvisa nell’apertura ai capitalisti una prossima e sostanziale rottura col socialismo, mentre l’altra, di sinistra, è contraria ad assumere qualunque rischio in tal senso. Così, “alcuni intellettuali chiedono che il partito cambi Statuto e nome per sancire la sua nuova identità. Chen Yingyuan, docente all’ Università di Pechino, è giunto a raccomandare che la “triplice rappresentatività” di Jiang Zemin sostituisca, nella Costituzione, i “Quattro principi cardinali” di Deng Xiaoping, togliendo esplicitamente ogni riferimento al marxismo-leninismo-pensiero di Mao, alla via socialista e alla dittatura del proletariato”8
In questa fase, in realtà, suscita più commenti ed assume maggior rilevanza la critica di sinistra, che riecheggia e in parte veicola lo scontento provocato dai cambiamenti (contro i nuovi ricchi, la corruzione, la disoccupazione e così via), e si connette alla forte ascesa, nei settori intellettuali e giovanili, di una “nuova sinistra” anti-globalizzazione, molto “rossa” e influenzata dalle esperienze che si compiono nei paesi capitalisti.
Per esempio, la ben nota rivista della sinistra americana, Monthly Review, ha dedicato un dossier alle posizioni della succitata tendenza9, pubblicando una lettera di 14 ex-dirigenti che duramente contestano “l’assenza di democrazia insita nella teoria di Jiang Zemin” ed il suo orientamento, nel quale ravvisano una premessa ad una capitolazione analoga a quella verificatasi nell’ex-URSS e in Europa orientale. Una corrente, questa, su cui si è incentrata l’attenzione internazionale: “Dall’ inizio dell’estate, ultrasinistri od ultraconservatori hanno diffuso un’altra “petizione di 10.000 caratteri”, con riferimento ad opuscoli neo-maoisti che accusavano la direzione del Partito di tornare sulla via del capitalismo. Questo documento affermava che la corruzione era l’inevitabile conseguenza del fatto Pechino aveva abbandonato il socialismo ortodosso, e lasciato fiorire il capitale privato e straniero. Gli ultrasinistri fanno appello ad una lotta politica per liberare il partito dalla “coda del capitalismo” 10 . Tali posizioni sono state riprese in Cina da piccoli organi di stampa.
E’ difficile valutare l’impatto di questa critica, non solo in termini di opposizione aperta, ma soprattutto in termini di influsso su settori che pure aderiscono alla linea ufficiale, fino ai vertici del Partito. Essa, comunque, sembra essere abbastanza influente, tanto da offrire lo spunto per un’intervista a un dirigente comunista estero, Gennadij Zjuganov, presidente del Pc della Federazione russa, invitato a rispondere a due domande11. La prima, “come far fronte, in seno al Partito, alla difficoltà rappresentata dalla resistenza delle forze di sinistra, quelle cioè che si oppongono all’ingresso nel Partito di nuovi gruppi sociali, a cominciare dai capitalisti e dai grandi imprenditori”; la seconda, “perché i nostri vecchi militanti “di sinistra” parlano di tradimento della politica precedente e avanzano dure critiche” al nuovo corso cinese: aperto riconoscimento di un dibattito che peraltro non è del tutto nuovo.
Effettivamente, nel PCC di sono delineate tre grandi tendenze che, secondo l’analisi particolareggiata di Al Sargis, si collocano comunque tutte in continuità coi “riformatori” del dopo Mao. Ossia, con inevitabile semplificazione: una sinistra (“conservatori”), una destra (“liberali”) e un centro (“moderati”), che si distinguono anzitutto sulla portata, la profondità, il ritmo e la direzione delle riforme economiche e politiche. In sintesi: la sinistra vuole riforme economiche che antepongano il piano al mercato, ma respinge le riforme politiche come “liberalizzazione borghese”; la destra persegue riforme economiche che valorizzino il mercato ed assegnino allo Stato una funzione sussidiaria, nonché riforme politiche in senso legalitario; il centro opta per riforme economiche che pongano sullo stesso livello piano e mercato, con meccanismi regolatori sinergici ed equivalenti, ma in termini di struttura politica difende lo status quo”.
Aggiunge, Al Sargis, che “la sinistra può a sua volta essere suddivisa in tre gruppi. Uno è composto da coloro che si oppongono al progetto riformista di Deng, ritenendo che esso comporti la negazione del socialismo. Un secondo gruppo, verosimilmente il più grande, non è contro la riforma in quanto tale, ma ne critica ampiezza, ritmo e traiettoria. Infine, vi è il raggruppamento più recente, quello della nuova sinistra neo-maoista. Si tratta di elementi giovani, che spesso si sono culturalmente formati in occidente, e sostengono alcuni principi di Mao interpretandoli nel senso di un maggior controllo operaio e di una democratizzazione dell’economia e dello Stato”. Quanto alla “destra”, “alcuni sostengono le riforme economiche come parte imprescindibile di una una lunga fase di transizione pre-socialista o semi-socialista. Altri sono socialisti di mercato a pieno titolo, nel senso che considerano il mercato come elemento centrale dello stesso socialismo maturo. Vi è poi un terzo gruppo, di impronta socialdemocratica”12.

Un compromesso?

Questo dibattito sembra aver avuto ripercussioni ai vertici del PCC e avrebbe dato luogo ad un compromesso con alcune tendenze critiche di sinistra. Per esempio, secondo alcune fonti, nella riunione del Comitato Centrale del 24 e 26 settembre 2001, l’ammissione dei capitalisti sarebbe stata fortemente contestata ed anzi parzialmente respinta, in base ad un accordo stipulato a Minzhu Shenghuohui, dove, ai primi di settembre, si sarebbe riunita la maggior parte dei membri dell’ Ufficio politico insieme a “tre dei maggiori veterani: Qiao Shi, Song Ping e Liu Huaqing”13 . Ed anche nel tradizionale discorso di Jiang Zemin , tenuto nel giugno 2001 – prima del Congresso – alla scuola quadri , alcuni osservatori hanno ravvisato una conferma del raggiunto equilibrio interno.
Nel primo semestre del 2002, in cui sono stati eletti 2.120 delegati al Congresso, alcuni specialisti hanno prestato particolare attenzione alle procedure elettorali; per esempio, secondo una fonte americana, “il presidente Jiang Zemin ha fatto appello all’unità del Partito comunista, consentendo a vari funzionari conservatori di restare sulle loro posizioni. Sta per terminare il rimaneggiamento della direzione nelle 31 province e città ad amministrazione diretta; la maggioranza dei dirigenti provinciali e cittadini di partito sono stati riconfermati, o trasferiti ad analoghe posizioni in altre regioni. Così sono stati lasciati in carica parecchi quadri di sinistra o semimaoisti , che si erano opposti agli sforzi di Jiang per lasciar entrare nel partito gli uomini d’affari”14.
Al di là del dibattito teorico e dei diversi orientamenti politici concreti che ne potrebbero derivare,
certa stampa internazionale ha descritto tutto solo in termini di conflitti di successione e di ruolo tra dirigenti, con analisi attinte dalla vecchia “cremlinologia”. Da un lato, la successione tra il numero uno uscente, Jiang Zemin, e quello futuro, Hu Jintao, candidato a tale ruolo fin dai tempi di Deng Xiaoping, visti rispettivamente come dirigenti della terza e della quarta generazione; dall’altro, la questione del prestigio connesso alla menzione o meno del contributo teorico di questo o quel dirigente nello Statuto del partito.15

Il XVI Congresso

Tutte queste questioni, ed altre, sono state dibattute al Congresso del PCC (8-14 novembre 2002), alla cui vigilia, l’orientamento prevalente è stato delineato in un articolo teorico ufficiale. Facendo risalire agli inizi del 1999 la discussione (connessa a divergenti interpretazioni della “teoria marxista del valore”) circa l’ammissione degli “imprenditori” al partito, considerati dagli uni “lavoratori”e dagli altri “sfruttatori” , l’articolo accoglieva la prima interpretazione16.
La relazione introduttiva di Jiang Zemin ha confermato l’importanza attribuita alla teoria della “triplice rappresentatività”, oggetto di una diffusa trattazione. La relazione esordisce con un riferimento alla trascorsa esperienza ed all’orientamento ideologico delineato: “compito principale del Congresso è tenere alta la bandiera della teoria di Deng Xiaoping, ed attuare nell’insieme il concetto importante della “triplice rappresentatività”. La tesi è presentata come contributo fedele e creativo al marxismo, in un contesto internazionale contrassegnato dalla decisione cinese di perseguire, in forme peculiari, la costruzione del socialismo, dopo il crollo nell’ ex-URSS e nell’Europa dell’Est.
La questione degli “imprenditori” viene trattata, in questo contesto, come arricchimento sociale, senza riferimenti all’appartenenza al partito17. Vengono invocati come principi ispiratori il rispetto delle diversità nelle forme di lavoro, la garanzia dei diversi contributi personali, il rafforzamento dell’unità nazionale18.
Alla fine la relazione così fa riferimento all’appartenenza al Partito: “bisogna che il Partito faccia in modo di rimanere sempre l’avanguardia della classe operaia cinese, del popolo cinese e della nazione cinese (…), di rappresentare sempre la tendenza allo sviluppo delle forze produttive cinesi avanzate, l’orientamento della cultura cinese avanzata, e gli interessi fondamentali della maggioranza della popolazione cinese”.
Dopo un richiamo ai massimi principi del comunismo, la relazione conclude così: “Dobbiamo integrare nel Partito anche gli elementi avanzati dei ceti non operai, contadini o intellettuali che ne accettino il programma e lo statuto, che intendano lavorare per portarne avanti consapevolmente la linea ed il programma, e, dopo un lungo periodo di candidatura, risultino possedere i requisiti per diventare membri del Partito. Potremo così potenziare l’influenza e la capacità di attrazione del Partito sull’insieme della società”19.
Quindi si aprono le porte, ma forse non tanto quanto alcuni si aspettavano. La pratica mostrerà quale importanza sarà data all’insistenza suoi prerequisiti politici e ideologici per l’iscrizione al Partito, ed alla “lunga candidatura”20 di cui sopra; se cioè si tratterà di una fase intermedia o di una vera e propria reticenza, e il tempo stesso dimostrerà anche la natura del compromesso raggiunto.
Come sempre in questi congressi, si presta attenzione alla scelta delle personalità, per anticipare le tendenze della successiva fase di attuazione pratica. Delle personalità si conosce l’essenziale: il nucleo dirigente (Comitato permanente dell’Ufficio Politico) è costituito da nove dirigenti, di cui otto nuovi, tutti ingegneri per formazione, attorno al nuovo segretario generale Hu Jintao. Jiang Zemin rimane, come già Deng Xiaoping, presidente della Commissione militare centrale21.
Nel periodo precongressuale, molte sono state le congetture dei sinologi di tutto il mondo. Così, alla vigilia dell’elezione del CC, è stata annunciato l’avvento dell’ “era dei capitalisti”, solo per l’elezione di due di essi, Zhang Ruimin e Liu Chanzi, tra i 350 membri effettivi e supplenti del CC, pur riconoscendo che “non si tratta di veri e propri imprenditori privati, in quanto dirigono aziende di proprietà in parte governativa (lo Stato detiene la maggioranza delle azioni)”. Di fatto, solo il primo è stato eletto, come membro supplente22. Altri preconizzavano l’ascesa a “numero due” di Li Ruihan, considerato il leader dell’ala moderata del PCC, e fino ad allora “numero quattro”. Significativo pure che l’esperto della CNN abbia annunciato, all’indomani del Congresso, la nomina di Zhang Dejiang a capo del Partito nella provincia di Guangdong (Canton), che conta oltre 70 milioni di abitanti (meno del 5% della popolazione totale), ed è simbolo della nuova economia cinese, con il 30% degli investimenti stranieri, ma solo il 10% del PIL (pur essendo la prima provincia). Lo stesso Zhang Dejiang, membro dell’Ufficio Politico, viene presentato come “quadro dirigente relativamente conservatore”, un dirigente che tra l’altro, all’inizio del 2001, aveva pubblicato “un articolo su di una rivista teorica conservatrice, sollevando perplessità circa la rettitudine etica e politica degli uomini d’affari privati”23.
La decisione di ammettere gli imprenditori, capitalisti o meno, oggi assunta al massimo livello, continuerà ad alimentare dispute interpretative, che sarà difficile seguire compiutamente. A partire dalla discussione in Cina24, i più concordano sul seguente aspetto: la priorità conferita allo sviluppo economico fa sì che si centri l’attenzione sugli imprenditori, nell’intento di costruire coesione sociale e nazionale, mirando,da una parte, a legittimare pienamente il contributo di quei “lavoratori/sfruttatori” che devono accompagnare per lungo tempo la costruzione della “ fase primaria del socialismo”; e d’altra parte a controllarli, essendo chiaro che essi rappresentano al tempo stesso un contributo e un pericolo. Il pericolo non riguarda solo il conflitto sociale, ma l’egemonia in Cina. I comunisti cinesi possono scegliere: o accettare al proprio interno gli imprenditori per “controllarli”, o respingerli per evitare che “controllino” il Partito. La prima via è quella scelta ufficialmente, e “l’idea è quella di allargare la base di sostegno al Partito fino ad includervi gli imprenditori privati, affinché il Partito possa mantenerne il controllo” 25. Tale approccio è visto negativamente da taluni oppositori: così, Bao Tong, dissidente espulso nel 1989, avverte l’Occidente di non nutrire troppe speranze: “i capitalisti rossi, posti sotto tutela di un potere assoluto, non potranno diventare una forza motrice della riforma politica”.26
La seconda tesi, critica di quella ufficiale, vede invece il pericolo, nel tempo, di un controllo dei capitalisti sul PCC. Anche qui si possono evincere due impostazioni, con obiettivi diversi ma con analisi affini. Da un lato, la critica “di sinistra” nel PCC che propone di indirizzare i capitalisti verso i partiti minori che tuttora gravitano nell’ambito del potere, per impedire che il Partito comunista venga “inquinato”27. La tesi dello “snaturamento” viene fatta propria dalla maggioranza della stampa occidentale, che saluta la svolta cinese come verifica e annuncio della progressiva integrazione della Cina nel capitalismo. Si tratta in realtà di un messaggio ideologico-propagandistico diretto all’opinione pubblica mondiale, per convincerla che dopo la “svolta” della Cina, sull’intero pianeta non vi è più spazio per alcuna forma di socialismo.
Secondo altri commentatori, il nodo della questione è un altro, e riguarda non tanto l’ingresso di pochi “capitalisti” nel partito, quanto l’irruzione dei “ceti medi” sulla scena politica28. La stessa nozione di ceti medi è controversa: sono definibili solo in base al reddito? Sono politicamente autonomi? A seconda dei criteri adottati, si tratterebbe di una entità variabile dall’1 al 5-7% della popolazione, ossia fino a 200 milioni di persone. Da ciò le varie tesi interpretative sul futuro sociale e politico della Cina possono attingere motivi di fiducia o di timore29.
L’altra dimensione è quella nazionale. Gli appelli agli imprenditori si rivolgono a tutti i cinesi, e quindi anche alla diaspora di tutte le comunità cinesi, anche quelle che hanno fatto le loro esperienze nel mondo capitalistico: “il PCC è l’avanguardia della nazione e della classe operaia cinese”.Ciò rafforza comunque all’estero, in particolare negli USA, lo spettro dell’avvento di una superpotenza asiatica come futura concorrente globale. Il che è peraltro l’obiettivo della Cina, la quale, dopo aver aumentato di otto volte il proprio PIL dal 1978 a oggi, si propone di quadruplicarlo da oggi al 2020.

La posta in gioco a livello internazionale

Essendo in gioco il futuro del PCC quale forza dirigente30 della seconda potenza mondiale e per ora il più verosimile candidato a contestare l’egemonia USA nel 21° secolo, le scelte ideologiche o di gruppo dirigente non possono offuscare il dato essenziale, che non è solo cinese. Considerando superate le forme assunte dalla guerra fredda nel 20° secolo, la Cina si colloca in una prospettiva di pace duratura, ma con sempre maggior prudenza31. La competizione a breve e medio termine è sostituita da una lunga guerra di posizione, in cui ciascuno si colloca fin da ora; lotta che assume oggi forme specifiche, con l’esclusione a breve termine, da ambo le parti, dello scontro frontale, in favore di una cooperazione competitiva.
Qual è allora la strategia a lungo temine degli USA? Secondo Zbigniew Brzezinski, “obiettivo strategico principale degli Usa è l’Eurasia. Di fatto, “ritmo di crescita economica e investimenti esteri æ entrambi al primo posto nel mondo æ autorizzano a ritenere che, nell’arco di un ventennio, la Cina diverrà una potenza mondiale, di statura uguale o quasi agli USA o all’Europa(…) Si affermerebbe una Grande Cina, corroborata dal ritorno di Hong Kong, Macao e forse Taiwan, che costituirebbe non solo lo Stato dominante dell’Estremo Oriente, ma una potenza globale di primissimo ordine”. 32
Uno specialista francese di geopolitica, incaricato della formazione dei quadri militari, nota dal canto suo:“Evidentemente la Cina è l’ oggetto principale dell’ossessione degli USA. Mettendo insieme le tessere del puzzle, si constata che la strategia globale americana è volta a contrastare l’ascesa di quel gigante”33. La Cina, secondo lo stesso autore,”vuol dire 1,4 miliardi di individui, massa enorme che resta al riparo dal capitalismo mondiale. Gli USA vogliono abbattere le recinzioni della Cina, come hanno fatto nel 1945 con l’Europa occidentale, col ricorso a tutti gli strumenti del liberismo”. E aggiunge, richiamando i recenti avvenimenti (Afghanistan, Iraq): “quali sono le direttrici di questa strategia americana? Primo, controllare l’approvvigionamento energetico della crescita asiatica (…) Per gli USA, mettere le mani su quella regione significa possedere la pompa di benzina dell’Asia e quindi il fabbisogno energetico cinese. Secondo, costruire un cordone di alleanze entro cui stringere la Cina, come quello in cui gli USA avevano costretto l’URSS durante la Guerra Fredda”.
Sotto il profilo nazionale la Cina, per le sue dimensioni e la sua cultura, viene effettivamente intesa come una minaccia, in quanto non assimilabile dall’Occidente. Sotto il profilo politico e ideologico, quel partito che, nonostante importanti evoluzioni, non ha rinunziato alla propria identità comunista, undici anni dopo la caduta dell’URSS, è la dimostrazione più clamorosa, in tutto il mondo, che i comunisti non sono spariti. Ed è anche l’esempio di un socialismo non più “a tenuta stagna”, come quello che ha resistito per 70 anni nella lotta col capitalismo, bensì di una nuova versione non isolazionista, che si compenetra col resto del mondo. Vero è che la compenetrazione dei due mondi è percepita, a breve termine, come similitudine e come affermazione di un certo tipo di capitalismo in Cina. E la regressione, nei Paesi capitalistici, di alcuni valori di ispirazione socialista (“Stato sociale” ecc.), può rafforzare la percezione di una sorta di omogeneizzazione globale a senso unico, l’ideologia appunto della “globalizzazione”. Ma cosa potrebbe accadere se viceversa il movimento anti-globalizzazione modificasse almeno in parte gli equilibri nel mondo capitalistico? Quale sintesi potrebbe scaturirne, su scala mondiale, se le diverse impostazioni e aspirazioni socialiste di questi due mondi dovessero convergere?
Chi potrebbe oggi misurare l’impatto politico-ideologico, a livello mondiale e soprattutto nel terzo mondo, di un paese come la Cina, che è il prototipo di uno Stato uscito dal sottosviluppo grazie al “socialismo di mercato”, diretto da un Partito che continua a fare riferimento a quella identità comunista sconfitta nel 20° secolo, e che secondo gli ideologi della borghesia non avrebbe spazio alcuno nel secolo appena cominciato?

(traduzione a cura di F. Visentin)

Note

1 A Shenzhen, sarebbero iscritti al PCC un quarto degli imprenditori, cfr. Jasper Becker: Kicking Marx out of the
party(Marx cacciato dal Partito), sul South China Morning Post di Hong Kong. I cinesi chiamano “imprenditori” elementi spesso membri del Partito e dirigenti di aziende pubbliche posti a capo di nuove aziende.
2 Si cita un totale di 112.000 imprenditori, equivalente allo 0,16% dei membri del PCC.
3 Il PCC, dal XIII Congresso del 1987, caratterizza il periodo in corso come “stadio iniziale del socialismo, che durerà a lungo (…,), più di un secolo (Programma generale del PCC).
4 I Quattro Principi Cardinali sono: mantenimento della via socialista, dittatura democratica del popolo, marxismo-leninismo-pensiero di Mao, e ruolo dirigente del Partito comunista.
5 “Correctly grasp the relationship links” (Cogliere correttamente i nessi…) di Li Zhongjie.
6 Allusione al dibattito tra PCC e PCUS, che consente di mantenere la collocazione del PCC a sinistra del vecchio “avversario” Krusciov. Da sottolineare la diversità del contesto: allora l’URSS era una società più omogenea, ed il suo sistema appariva irreversibile, due punti su cui la Cina si differenzia.
7 Li Zongjie, Ta Kung Pao, 6 settembre 2002.
8 Kicking Marx out of the party di J. Becker, cit.
9 Monthly Reviewn° 54, maggio 2002 (www.monthlyreview.org).
10 Willy Wop lap Lam 20-09-02.
11 BEIJING daily,13/09/02.
12 “Ideological Tendencies and Reform Policy in China’s Primary Stage of Socialism” , in Nature, Society and Thought vol. 11, n° 4, 1998.
13 Asia Times 23/10/2001.Xu Yufand, in Asiian Times Online, di proprietà di Taiwan, e sito ad Hong Kong, sosteneva che “senza rumore, anzi senza una sola dichiarazione pubblica, il PCC ha respinto l’audace progetto del Segretario Generale Jiang Zemin di aprire il Partito a capitalisti ed imprenditori”.
14 Jiang Appeals for Party Unity, di Willy Wo-lap, esperto sinologo della CNN.
15 Oltre ai fondatori (Marx, Engels e Lenin) nello statuto del PCC si fa riferimento al pensiero di Mao e alla teoria di Deng Xiaoping (questa inserita nel 1992 al XV Congresso). La teoria della “triplice rappresentatività” è legata alla personalità di Jiang Zemin.
16 Gli autori valorizzano l’onesto contributo al socialismo di tali “imprenditori”. Attualmente, il partito annovera un 94,4% di “operai, contadini ed intellettuali”, il resto è costituito da tutti gli altri ceti, che ammontano a 3,7 milioni di individui. Developing party’s Solid Foundation, di Xu Wenhua e Chen Dong, China Daily, 7/11/2002.
17 “Con l’approfondimento della riforma e l’apertura e lo sviluppo economico e culturale,la classe operaia del nostro paese si rafforza e la sua qualità migliora continuamente.La classe operaia,compresi gli intellettuali, e le grandi masse contadine,sono state sempre la forza essenziale propulsiva per lo sviluppo delle forze produttive avanzate del nostro paese, così come per il progresso complessivo della società. Ceti sociali che emergono in tempi di cambiamenti sociali, quali gli imprenditori ed i tecnici impiegati da aziende tecnico-scientifiche private, gli amministratori ed i tecnici impiegati dalle aziende finanziate dall’estero, gli imprenditori privati,gli operatori delle aziende intermediarie, i liberi professionisti, sono tutti costruttori del socialismo di cinese”.
18 I membri di tutti i ceti sociali che si adoperano ad edificare una patria prospera e forte debbono unirsi; bisogna incoraggiarne l’intraprendenza, proteggerne i legittimi diritti ed interessi,valorizzarne i migliori, per creare una situazione di armonia, in cui tutti facciano del loro meglio e siano ben collocati. Bisogna rispettare lo sforzo lavorativo, la conoscenza, il talento, la creatività, quale politica essenziale del Partito e del paese,che va onestamente portata avanti nell’insieme della società. Va rispettato e salvaguardato ogni lavoro che giovi al popolo ed alla società,sia esso lavoro manuale o intellettuale, semplice o complesso: ogni lavoro che contribuisca alla modernizzazione del socialismo nel nostro Paese è meritorio, e va riconosciuto e rispettato.
Nella nostra edificazione nazionale, le aziende costruite da vari investitori nazionali ed esteri vanno incoraggiate, così come va protetto ogni reddito legittimo derivato o no dal lavoro.Non è giusto ritenere gli individui politicamente avanzati o arretrati solo in base al fatto che dispongano o meno di proprietà, ed in che misura: bisogna invece considerare la loro mentalità, coscienza politica, e rendimento effettivo. Bisogna promuovere formazione e funzionamento aziendale conformi al sistema economico sotteso allo stadio iniziale del socialismo; creare un’atmosfera sociale che incoraggi e favorisca l’intraprendenza; liberare le forze vive di ogni tipo di lavoro, sapere,tecnica direzione e capitale, e lasciar ampio spazio di azione a tutte le forze creative della ricchezza sociale a vantaggio della popolazione”.
19 Nello stesso statuto, oggetto, secondo la relazione introduttiva, di “revisioni d’importanza solo secondaria”, l’art.1 include i nuovi ceti, ma con la dizione restrittiva di “elementi avanzati”, che non non si applica ai ceti popolari:” Ogni operaio, contadino, membro delle FF. AA., intellettuale o elemento avanzato di altri ceti sociali in età di almeno 18 anni, che accetti il programma e il regolamento del partito, e intenda aderire” al PCC.
20 E’ così che la stampa ha riportato l’organizzazione di corsi di formazione predisposti dalla Scuola centrale di partito, rivolti agli imprenditori per formarli “ideologicamente e teoricamente” (Ming Pao, 29.11.2002)
21 La stampa internazionale ha abbondato di commenti in merito, sottolineando la cospicua presenza, in questo comitato, di elementi vicini a Jiang Zemin (5o 6 su 9), e pertanto la continuità politica.
22 Il bilancio definitivo dei 158 supplenti vede la presenza di 15 imprenditori, di cui 13 manager di imprese statali, 1 di un gruppo pubblico non statale e 1 privato, Zhang Ruimin.
23 Willy Wo-Lap Lam, CNN. Com 19/11/2002.
24 Non si trattano qui le tesi secondo cui la Cina è sempre stata un paese capitalista, o lo è diventata, posizioni classiche di talune tendenze estremistiche, per le quali il dibattito in corso è in pratica privo d’importanza, se non come ennesima “conferma” delle tesi stesse.
25 Come scrive un anonimo politologo citato dal Washington.post.com del 4/11/2002.
26 Libération, 7/09/02.
27 Formalmente, il PCC non è partito unico, perché vi sono otto partitini cosiddetti democratici (Comitato rivoluzionario del Guomindang di Cina; Lega democratica di Cina; Associazione per l’edificazione democratica della Cina; Associazione Cinese per il Progresso e la Democrazia; Partito Democratico operaio e Contadino di Cina; Zhi Gong Dang di Cina; Società Jiu San; Lega per l’Autonomia democratica di Taiwan), partiti inseriti al governo, con voto consultivo, e che insieme contano 360mila membri circa (1999).E’