Welfare, la Kabul della sinistra

L’Afghanistan di Rifondazione comunista ha il nome e il volto di Lamberto Dini, alias l’amerikano per le sue frequentazioni di Washington. Ma ha anche le sembianze del protocollo sul welfare, che stasera alle 19 sarà alla camera per essere approvato con il voto di fiducia dell’intera maggioranza di centrosinistra. Sì, perché ieri, tra distinguo, rivolte interiori, discussioni e crisi di coscienza, l’intera ala sinistra dell’Unione si è preparata a bere l’amaro calice dell’intesa del 23 luglio riproposta nella sua versione originaria concordata dal governo con le parti sociali e poi approvata dai lavoratori con il referendum. Certo, qualche ritocco c’è stato, ma l’aut aut dei diniani e la consapevolezza che la caduta del governo farebbe automaticamente entrare in vigore, dal primo gennaio prossimo, lo scalone previdenziale introdotto dalla riforma Maroni, hanno costretto Rifondazione e il Pdci a più miti consigli. Come del resto aveva previsto il presidente del consiglio, Romano Prodi, che ora si prepara a somministrare al partito guidato da Franco Giordano un’altra dose medicinale non certo omeopatica: il rifinanziamento della missione internazionale di pace in Afghanistan, perenne minaccia per la stabilita dell’esecutivo fin qui sempre disinnescata dal premier. Gli ultimi attentati a Kabul e la morte del maresciallo italiano Daniele Paladini, hanno aumentato gli interrogativi sulla permanenza delle truppe italiane in Afghanistan, e ieri sia il presidente della camera, Fausto) Bertinotti, sia il leader del Pdci, Oliviero Diliberto, hanno sollecitato un cambiamento di rotta. Ma, a differenza di Diliberto, che ha rilanciato lo slogan: «Vìa subito le truppe da Kabul», il numero uno di Montecitorio ha scelto toni più sfumati «Mi pare inadeguata una piena applicazione della norma che riguarda la presenza militare italiana senza una riflessione politica e strategica sul fine della missione anche con elementi di revisione». Come dire che Rifondazione farà fermare la sua «compostezza politica al lutto» e darà battaglia su tutto il resto, così come daranno battaglia i comunisti di Diliberto. Ma Prodi non è sembrato molto preoccupato, perché, ha detto, «io penso a un problema per volta». Il professore, insomma, navigherà ancora a vista con buone possibilità di non finire nelle secche. Anche perché la sinistra radicale guarda con molta apprensione al dialogo sulla riforma elettorale, che in caso di fallimento, o di caduta del governo, porterebbe direttamente al referendum tanto inviso ai partiti minori e medi. Sfilarsi dalla maggioranza, insomma, sarebbe una pessima idea, casomai, come si è ventilato più volte ieri, si potrebbe pensare a un appoggio esterno, che lascerebbe le mani più libere alla sinistra dell’Unione, ma anche più ampi margini di manovra a Prodi. Che ieri ha incassato il sostanziale via libera (con riserva di decidere oggi) di Dini e dei suoi uomini al maxiemendamento governativo sul welfare sul quale oggi si voterà la fiducia alla camera. Lambertow, che ha presentato l’alleanza tra i suoi Liberaldemocratici (oltre a Dini, i senatori Roberto Scalerà e Natale D’Amico) e l’Unione democratica di Willer Bordon e Roberto Manzione, ha maramaldeggiato nei confronti del Prc e del Pdci, «che sul welfare stanno subendo una grossa sconfitta». Non contento, Dini ha sostenuto che i tempi sono maturi per «un cambiamento del quadro politico, visto che al senato non c’è più una maggioranza sicura (anche lo Sdi ha annunciato che dopo la fiducia sul welfare si riterrà libero di votare caso per caso). Secca la risposta del segretario di Rifondazione, Franco Giordano: «Non mi interessa quello che dice Dini, penso all’interesse dei lavoratori», ha dichiarato prima di avvertire che da gennaio la musica cambierà «La scelta del governo di porre la fiducia sul protocollo ha aperto una grave lacerazione nella maggioranza», ha detto dopo la riunione del gruppo del Prc alla camera che ha detto sì con 25 voti favorevoli e 10 contrari alla fiducia. «Chiediamo quindi una verifica politico-parlamentare a gennaio, quando si aprirà una nuova fase».
Un nuovo capitolo ormai indispensabile anche per Prodi, che ha invitato tutti a non intonare canti di vittoria, ha definito la scelta di porre la fiducia «un atto di coerenza politica» e ha detto sì alla verifica che al principio dell’anno servirà «a fare il punto sull’azione di governo» e a lanciare la fase tre dell’azione dell’esecutivo. Il professore, insomma, ha cercato di tenere insieme i pezzi della maggioranza, nella consapevolezza che il tempo e le circostanze sembrano giocare a suo favore. Ma superato l’ostacolo del welfare e gettate le premesse per ottenere il sì anche sull’Afghanistan, non sarà facile servire sul piatto alla sinistra radicale nuovi rospi da ingoiare.