Dopo la visita di Prodi in Israele, Alì Raschid, deputato del Prc, esponente di punta della resistenza palestinese, ha accettato di commentare le zone d’ombra lasciate dalle dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio, circa la possibilità di cambiare le regole di ingaggio della missione italiana in Libano, guardando a più ampio raggio sugli effetti negativi che, scelte sbagliate, potrebbero portare ad una nuova escalation di violenza nei territori mediorientali.
Quale è il suo giudizio sull’incontro bilaterale, di alcuni giorni fa, tra il presidente del Consiglio Romano Prodi e il Primo Ministro israeliano Ehud Olmert?
«Il mio giudizio parte dalla dichiarazione, sempre di Prodi, “cambiano i governi, ma non cambia il giudizio su Israele”. Quindi, esprimo un giudizio negativo. O sono giunti elementi nuovi, o i programmi si fanno ma non sono vincolanti per i governi. Ci sono alcuni caratteri di convergenza che, credo, vanno discussi; tipo la collaborazione sugli armamenti, visto che Israele è in guerra con altri popoli e le sue intenzioni militari ed espansionistici sono destabilizzanti per l’intera area. La missione in Libano, poi, è stata sostenuta per garantire la pace e far rispettare la risoluzione, al fine di prevenire una guerra tra i due stati. Ma, si sa che Israele tende a trasformare la missione di pace e utilizzarla per allargare la guerra ed interferire sugli affari interni del Libano. Penso, quindi, che le regole possano anche cambiare, ma solo per continuare la missione di pace. C’è, però, quasi uno scollegamento tra Prodi e la politica estera del Paese. Basti pensare alla lettera dei dieci ministri degli esteri europei, con la quale si prende atto della morte della road-map e guarda ad un rispetto rigoroso della risoluzione e alla fine dell’occupazione dei territori. Tutto ciò, ci spinge ad avere un atteggiamento cauto sulla visita e sul viaggio di Prodi».
E qual è, invece, il suo giudizio sul tentativo di Abu Mazen di far fuori Hamas, facendo credere di contatti con Al Qaeda?
«Credo che Abu Mazen sia stato incauto, perché falsa è la sua affermazione. Si sa che politicamente e culturalmente Hamas è diversa da Al Qaeda, e che, anzi, ne ha impedito le infiltrazioni. Così facendo, Abu Mazen rischia di rovinare la sua autorevolezza. Noi, speriamo che venga ripreso l’accordo di Mecca, che ha messo fine agli scontri, poiché rappresenta lo strumento per la ripresa del dialogo tra i palestinesi, e da anche la possibilità di porre fine agli scontri, sempre come scritto nella lettera dei dieci ministri europei inviata a Tony Blair. Abu Mazen, dunque, deve compiere uno sforzo per riprendere l’accordo e uscire fuori da uno stato di illegittimità del suo governo, e di immobilismo del parlamento».
Ma questo credito dato ad Abu Mazen dal governo israeliano, anche dopo la liberazione dei 250 prigionieri, cosa significa?
«La liberazione dei prigionieri è una presa in giro, che non dimostra affatto buone intenzioni. Parliamo, infatti, di prigionieri che hanno scontato la propria pena o sono sul punto di finirla. I prigionieri palestinesi sono 11000, di cui 8000 in carcere senza alcun capo di imputazione. In uno stato di illegalità. Negli ultimi mesi, poi, sono stati arrestati più di 400 palestinesi. Alla luce di tutto questo, ritengo la liberazione dei prigionieri insignificante, poiché non ripristina un buon clima e non smorza la tensione su ogni possibilità di dialogo».