Verso il Congresso della CGIL

1. La mia opinione è questa: quello della CGIL sarà un Congresso vero solo alla condizione che si svolga dopo le elezioni politiche.
Se le elezioni politiche dovessero tenersi, come è sempre più probabile anche se non auspicabile, alla metà del 2006 e, quindi, fra un anno e il congresso CGIL confermarsi per il marzo precedente, ebbene temo che il Congresso si andrebbe a configurare in una passerella di dirigenti tutti molto ma molto di sinistra, in gara l’un con l’altro a dire “peste e corna” di un Governo da cacciare. Servirebbe un Congresso così? Di fatto un Congresso così si andrebbe, ancora, a ridurre alla conferma di un gruppo dirigente legittimato sì ma solo nel dare l’ultima spinta a Berlusconi, ma non legittimato nel suo atteggiarsi sul dopo Berlusconi, in quella che sarà la prova vera e assai ardua per il Sindacato tutto. Se il Congresso dovesse svolgersi, come oggi mi provo a sostenere, a elezioni avvenute, nel campo quindi già di quel “dopo” – ammesso che l’Unione, pur così tremebonda e attraversata da pulsioni suicide, ce la faccia a vincerle e ci sia quel “dopo” – il quesito di fatto collocato al suo centro, e che farebbe perciò “vero” il Congresso, sarà quello che l’Unione vittoriosa compresa Rifondazione porrà al Sindacato tutto ed alla CGIL innanzi tutto. Quesito semplice, articolato ma assolutamente ineludibile, questo: se e quale politica dei redditi sostenere o meno per risollevare il paese in cui, dopo il passaggio dello “tsunami” Berlusconi, il desviluppo è scivolato in recessione; e, ancora, come e se, rilanciare la concertazione in un nuovo patto sociale per l’Italia, quale quello che Montezemolo, ossia la destra economica dei poteri forti, oggi sollecita all’Unione con perentorietà, incontrando l’accondiscendenza, remissiva e troppo tempestiva in verità, di Prodi e Fassino. Altro livello di sintesi dello stesso quesito: come e se “essere sindacato” (autonomo? indipendente?) a fronte del “Governo amico” che si annuncia. Allora, se vero, il Congresso non potrà che girare attorno a questi cardini. Se invece sarà svolto fuori tempo, il Congresso diverrà un surrogato della campagna elettorale e vi si diranno cose scontate. Un Congresso finto perciò in cui, assai probabilmente, la composizione dei suoi stessi gruppi dirigenti sarà precontrattata a tavolino. Come, d’altra parte, già avvenuto in altri tempi. A questo punto taluno potrebbe obiettare che lo spostare il Congresso a dopo il voto politico e, quindi, a dopo la scadenza naturale della sua vigenza quadriennale – sempre che le elezioni si tengano a metà del prossimo anno e l’obiezione sia avanzata in buona fede – non costituisca per il Sindacato (questo spostamento) una buona prova di autonomia. Di converso mi provo a sostenere che, proprio il collocarlo a dopo il voto, sarebbe una forte prova di autonomia sindacale dalle forze politiche con le quali il Sindacato si andrebbe a misurare per davvero, non in una situazione che “forse sarà”, ma nella situazione politica che è.
Oltretutto, Congresso prima Congresso dopo, credo che il Sindacato la prova di autonomia potrebbe essere chiamato a offrirla già in questa estate 2005 quando, dopo la dura relazione di Fazio e l’allarme minaccioso di Montezemolo, il Governo e i “padroni” potrebbero chiedergli di sottoscrivere un patto straordinario per salvare l’economia, naturalmente a partire dal blocco dei contratti. Qualora ciò si configurasse si isolerebbe, dopo la firma del pubblico impiego, il contratto dei meccanici. Il luglio, al solito, è un mese pericoloso per i lavoratori ed io temo per davvero un nuovo 31 luglio ’92 (Governo Amato, ricordate?). La più bella prova di autonomia non sarà perciò e solo il Congresso prima del voto, ma respingere, si presentasse, quel patto.

2. Il tutto precipita in una situazione per davvero complicata, seppur interessantissima, dove il quadro politico pare svilupparsi positivamente, malgrado le mille titubanze nel campo di quanti si appresterebbero a diventare il Governo amico, ma con il quadro economico in accelerato peggioramento. E domani toccherà al Governo amico sciogliere nodi e spalare le macerie lasciate sul famoso campo. Nel quadro politico c’è, in tutto il mondo del lavoro dipendente, l’assoluto convincimento che Berlusconi vada mandato a casa (ad Arcore? altrove?) ma, parallelamente, aleggia nei partiti che lo vogliono cacciare, il terrore di doverlo sostituire in una situazione negativa e di lungo periodo aggravata dal dissesto- economico, sociale, costituzionale – che Berlusconi ci consegna. L’Unione, certo, vuole vincere ma ha paura di vincere e dismette anche dal discutere del merito: si avvita su contenitori e leader. Montezemolo può così dettare le sue condizioni e alza la voce, con l’Unione, senza uno straccio di programma, che abbozza. Quello offerto non è un bello spettacolo. Rifondazione, che dell’Unione potrebbe essere il sale progettuale ma esce da un Congresso inutilmente lacerante su tutt’altro, si trova oggi senza un progetto (che non sono le interviste o le chiacchiere notturne a “Porta a Porta”) e si trova anche senza quel consenso elettorale che nell’insieme, programma e consenso, avrebbero consentito oggi a questo Partito di alzare (lui) la voce nel gran silenzio dei riformisti. Il quadro politico perciò si sviluppa in positivo ma solo perché si sgretola il blocco sociale delle destre, ma l’insieme delle sinistre non è pronto nel consolidamento di un suo blocco sociale. Il quadro economico sta invece peggiorando per tutti e non siamo al tracollo solo perché regge l’impalcato delle grandi aziende ancora più o meno pubbliche come Enel, Eni, Poste, Ferrovie, Fincantieri. Ma in Italia oggi, e questa è la novità, vanno in crisi contemporaneamente le piccole e medie imprese che competevano sul prezzo, che chiudono o delocalizzano e, insieme, le medie e grandi imprese (a capitale straniero per lo più) che competevano sulla qualità, come IBM o Elettrolux, che si asciugano perché la qualità emigra, risucchiata dalle case madri d’oltralpe. Non c’è bisogno dei recenti dati Istat per scoprire questa drammatica realtà: oggi l’economia italiana è schiacciata sia dal basso (Cina, India, Romania ecc.) che dall’alto (Francia, Germania e USA), e non può più salvarsi con la svalutazione. Non siamo proprio messi bene.
A questo punto due domande polemiche vorrei però buttarle là in tutta modestia: dov’era il Montezemolo che oggi pontifica e fustiga a destra e a manca, negli anni in cui l’economia scivolava verso la recessione e, ancora, che titolo ha oggi costui – dal quale ci si aspetterebbero performance di successo in casa sua FIAT – per alzare la voce e chiedere più soldi per le imprese e meno potere allo Stato, mentre dovrebbe domandarsi dove sono scappati nel frattempo i suoi industriali che,proprio in questi anni, invece di investire in qualità si sono rifugiati nel mercato protetto e nel cliente tuttora garantito delle autostrade, come Benetton, e delle bollette proprio delle grandi imprese di Stato, come Tronchetti-Provera, da privatizzare per dare ritorni certi ai capitalisti in fuga? Seconda domanda rivolta al Sindacato ed ai riformisti. Ancora in questi anni, a cosa è servita la concertazione se il risultato è questo: meno salario, meno lavoro, meno contratti, meno diritti? Almeno il Sindacato risponda, perché un Congresso vero è questo o Congresso non è. Non si può non fare un bilancio.

3. Sintesi: il Congresso della CGIL sarà vero, ripeto, solo se collocato nel tempo politico giusto e se risponderà alla domanda chiave sopra ricordata. Ma sarà così per davvero? Alla data in cui scrivo non mi è dato di sapere non ancora disponendo, relativamente a questo Congresso, né di un documento politico direttore né di un cronoprogramma. Taluni sindacalisti comunque, già fanno circolare ipotesi di documenti alternativi al documento Congressuale (che non c’è). Come elemento per schiodare una discussione che non decolla, considero questi documenti come pezzi di un ragionamento interessante e, per quanto mi riguarda, largamente condivisibile nei contenuti. Sono documenti che tirano due righe di conto di un periodo sindacale lungo e controverso e, poi, girano per davvero attorno all’ineludibile quesito “concertazione sì o no”. Come invito invece a uno schieramento alternativo preventivo, che non escludo affatto per domani, manifesto tutte le mie riserve , se richiesto oggi.
Oggi credo si debba ragionare non su come schierarci domani, quando sarà indispensabile farlo, ma per come farlo crescere (il congresso) nei ceti medio bassi che vogliamo rappresentare, costruendo con loro posizioni condivise e prendendo (noi) atto che la concertazione assunta dal luglio del ’93 non ha difeso né il lavoro né il salario, né con il Governo amico di Prodi e poi D’Alema, né con quello “nemico” di Berlusconi. Due soli sono stati i momenti in cui, nel periodo lungo e controverso alle nostre spalle, il Sindacato ha sfondato i muri della concertazione, fulmineamente pentendosene: nella lotta per le pensioni di undici anni fa, alla quale è seguita la giravolta della riforma Dini; nella possente manifestazione del Circo Massimo sull’articolo 18, dopo la quale però Cofferati, spaventato di sé stesso, ha fatto marcia indietro parcheggiandosi a Bologna, con risultati non entusiasmanti oltretutto. Ancora in questi anni solo un Sindacato, la FIOM, ha lavorato nel paese e in CGIL, e non per episodi, a un percorso alternativo rispetto ai comportamenti confederali adattativi. Contratto di lavoro, vertenza Fiat, Melfi, Terni, vertenza Fincantieri sono le pietre miliari del percorso FIOM e che oggi ci sia, in CGIL, una pressione tesa ad omologare questa FIOM, assorbirla in un percorso comune, disarmarla, è del tutto evidente. E la FIOM rompe le uova anche nel paniere di Epifani e D’Alema. Manifesto pertanto la mia preoccupazione per una forzatura oggi su un documento già oggi alternativo a quello generale (che sarà) per un’ ulteriore ragione: perché questa forzatura porterebbe o a marginalizzare proprio i metalmeccanici – il rischio isolamento è presente per davvero – o a regalarli, rischio minore, a Epifani e D’Alema.
Insomma, per essere alternativi bisogna correlarsi con la FIOM che lo è stata, alternativa per davvero, per almeno dieci anni. Attenzione però: il documento alternativo lo si dovrà fare, se si deciderà di farlo, quando si conoscerà il documento generale e si misurerà l’impossibilità non tanto di emendarlo, quanto – e questo è il punto vero – si misurerà l’impossibilità di presentare tesi alternative collegate, nel loro esito, alla definizione dei delegati e dei gruppi dirigenti. Si farà insomma il documento alternativo se non ci saranno altre strade. Oggi non è il momento, a mio parere, di discettare né di riformabilità o meno della CGIL, né di documento sì o no, ma di far crescere nella pratica sindacale quelle idee di alternativa che poi possono diventare tesi o documento. Le tesi se ci vengono consentite, il documento se non ci vengono consentite le tesi. Lavoriamo già sulle tesi. Che vanno costruite oggi su almeno 4 temi: la pace, la contrattazione dei salari e pensioni e quindi il no alle pratiche concertative, con un messaggio fortissimo da inviare ai giovani che, con questo mercato, alla pensione non ci arriveranno mai; il lavoro certo; la dimenticata democrazia sindacale. Se questi temi non verranno assunti nel documento generale, come assai probabile, se sarà impedito nel regolamento che diventino (questi temi) tesi collegate ai delegati, allora non si potrà far altro che traslarli in un forte documento alternativo. Ma solo in quel momento e non solo con cinque firmatari, stimatissimi e coraggiosi.
Sintesi delle mie opinioni: sono assolutamente convinto che un “documentone” unitario sia difficile se non impossibile comporlo, ma sono altresì convinto che, in CGIL, la sinistra sindacale non sia soltanto la FIOM, ma non si possa prescindere dalla FIOM, e, quindi si debba puntare, anche con l’aiuto dei meccanici, su tesi alternative (o su un successivo documento alternativo) in cui convogliare quanti oggi si ribellano al conformismo sindacale dilagante. Con un riscontro amaro ma doveroso, per non imbrogliarci: mentre la FIOM in questi anni ha dato battaglia per recuperare la contrattazione, alcuni settori di “Lavoro, Società, Cambiare Rotta” hanno ceduto, patteggiato posti e non dato battaglia (loro) nelle loro categorie, sui loro contratti. In qualche caso si sono configurati posizionamenti, trasversali politicamente e a connotazione lobbystica, che si collocavano a parole a sinistra ma per procedure politiche a destra. Un Congresso fuori tempo o un documentone (improbabile) del “vogliamoci bene”o ancora un documento alternativo tanto per dire che ci siamo, possono rafforzare le rendite di posizione di lobby di “mandarini sindacali” che uccidono la dialettica per difendere appunto la loro posizione. Un Congresso vero, in seconda sintesi, un Congresso che vuole far forte la sinistra sindacale, che c’è e va liberata, non si deve circoscrivere a mozioni generose, condivisibili nei contenuti ma testimoniali se mal poste tatticamente. Va costruita invece, e insieme, una massa critica che faccia perno sulla parte di sinistra sindacale che c’è, e si è esposta, ed è la FIOM. Ma i confini della sinistra sono più in là. Ritengo perciò sbagliato, la mia è un’opinione, forzare la mano oggi, ma lavorarci insieme da oggi perché quel che domani sarà, tesi o documento alternativo (non c’è una terza via per la sinistra sindacale, anche se sarebbe pazzesco che, ancora domani, ci sia una parte di questa sinistra, attestata su un “documentino” e un’altra parte su “tesine”), discende dal carattere che imprimiamo alla battaglia di oggi e dalla massa critica che accumuliamo nella battaglia.

4. C’è infine un’ultima questione delicata che, se va in definizione, dà forza all’autonomia stessa del Sindacato. C’è tutta una maggioranza vasta che, in CGIL, si rapporta con i DS. C’è una minoranza non piccola che non si correla con i DS, ma si guarda attorno, più di ieri. Poi ci sono sindacalisti, ora di Rifondazione ora dei Comunisti Italiani, che non fanno area (o non fanno più area) e, in ogni caso, almeno quelli di Rifondazione, sono abbandonati a sè stessi, spesso eroicamente perché il solo manifestarsi come iscritti di Rifondazione vuol dire, in certe categorie o in certe Camere del Lavoro, avere bloccato ogni percorso di inquadramento. La questione è delicata ma va affrontata perché oggi, particolarmente oggi nell’annuncio dell’arrivo del “Governo amico” e dei problemi che questo comporterà per un Sindacato che voglia ancora negoziare il valore della forza-lavoro, oggi quanti si guardano attorno lo fanno, io credo, per non essere risucchiati nel riformismo dei DS traslato nel Sindacato – altroché l’autonomia! – e per trovare di converso, una forza politica di cui non essere certo la “corrente sindacale” ma con cui fare sponda. La sinistra sindacale cerca la sinistra politica. Magari anche aderendovi a questa forza politica, prima o poi. Il mio è un abbaglio? Non lo fosse sarebbe occasione unica offerta a Rifondazione Comunista che potrebbe finalmente ragionare di radici, che oggi non ha, nel movimento operaio organizzato. E a Rifondazione in molti potrebbero guardare dalla CGIL e particolarmente dalla FIOM (mi sbaglio?), ma ci guarderanno a due condizioni: la prima, che il Partito riassuma la centralità del conflitto capitale-lavoro, ma non ogni tanto o in replica talvolta efficace a quel che dice ora Fassino, ora Montezemolo, ma con un progetto alto sul salario, sulle pensioni, sui diritti, sulla democrazia, sui settori su cui investire per un nuovo sviluppo compatibile con l’ambiente (e chi lo fa se non un partito politico?), sul lavoro certo e non più precario. La seconda condizione è che il Partito si sblocchi da un deludente consenso elettorale al quale siamo più o meno inchiodati da 6/7 anni, malgrado la forte esposizione mediatica del Segretario. Certo, il Partito può andare oltre il 5%, ma solo se ritorna al lavoro operaio, detto in larga accezione. Solo così si raccorda alle masse che ci sono, come ci ha spiegato l’esito del referendum sull’art. 18. Se si ritorna al lavoro operaio, Rifondazione non solo andrà oltre quel 5% ma, per la riflessione poc’anzi sviluppata (se non è un abbaglio), può andarci assai oltre e andandoci assai oltre, può avere le carte in regola per affrontare il dopo Berlusconi sospinto dalla sinistra sindacale.

Certo, il Congresso della CGIL non si fa per questo, ma questo può essere un effetto di un Congresso vero.