Venezuela: riflessioni sulla sconfitta del golpe

L’imperialismo ha subito una sconfitta storica in Venezuela. È dalla disfatta dei controrivoluzionari cubani a Playa Giron che non si registrava un avvenimento tanto importante nella regione. Un colpo di stato preparato in tempi così lunghi e minuziosamente eseguito ed appoggiato dall’alto comando delle Forze Armate è stato respinto in 48 ore.
Non è possibile, per ora, illuminare i meandri del labirintico piano cospirativo del quale, apparentemente, sono state responsabili le Fedecamaras, le organizzazioni del grande padronato, con la complicità di settori dell’Esercito e della cupola di una centrale sindacale “gialla”, la CTV. Ma la stessa cronologia del golpe, il suo stesso sviluppo, sembrano già chiaramente dimostrare il ruolo giocato dagli Usa.
Senza la spinta ricevuta da Washington l’oligarchia venezuelana non si sarebbe lanciata all’assalto del potere.
Conquistato il Palazzo, preso Chavez, è stato instaurato nel Paese un regime di terrore durato due giorni. Ma i golpisti non avevano messo in conto la reazione popolare, appoggiata dai militari democratici. Ê stato il popolo del Venezuela, agendo come soggetto attivo della storia, il vero eroe di quelle giornate. Senza la sua partecipazione, la controrivoluzione non sarebbe stata sconfitta.

La lezione cilena

Vent’anni dopo l’ascesa e la caduta dell’Unidad Popular cilena, Hugo Chavez tenta di dimostrare, in un diverso contesto storico, che è possibile, nel Venezuela, portare avanti, in un quadro istituzionale, per via pacifica, un progetto di trasformazione della società in senso rivoluzionario. L’adesione iniziale delle Forze Armate al suo sogno bolivariano ed un appoggio popolare che nel primo anno si manifesta attraverso un consenso elettorale che supera l’80%, gli permettono di attuare grandi riforme istituzionali, dotando il Paese di una Costituzione progressista che ha come unico precedente quella messicana del 1917.
Le maggiori difficoltà si manifestano nel momento in cui si appresta a cambiare la struttura economica e sociale. La destra, i cui partiti tradizionali erano usciti distrutti dalle precedenti elezioni, inizia ad organizzare una guerra senza quartiere, di nuovo tipo.
L’oligarchia venezuelana, a partire dall’epoca della demonizzazione di Bolivar, ha sempre accettato senza problemi tutte le dittature e le maschere della democrazia rappresentativa che si sono alternate per quasi due secoli. Accettate, perché sia le prime che le seconde sono state sempre al servizio dei suoi privilegi e dei suoi interessi.
Diversa è subito apparsa la situazione creatasi nel momento in cui Chavez ha iniziato a sviluppare quella sua politica volta a rotture rivoluzionarie, sia per ciò che ha riguardato la questione della terra, che per la difesa delle risorse naturali; una lotta, quest’ultima, che ha trovato il suo apice nell’opposizione alla privatizzazione del petrolio venezuelano.
I decreti legge presidenziali ( le cosiddette “leis habilitantes”), il rapporto forte costruito con Fidel Castro, la rinuncia a qualsiasi accordo con il Fondo monetario internazionale, l’intransigente opposizione al neoliberismo e al progetto dell’ALCA, hanno convinto l’oligarchia che era indispensabile rimuovere dalla presidenza quel militare che poggiava il proprio potere attraverso la concezione del popolo quale soggetto costruttore del divenire storico.
Questo obiettivo era possibile coglierlo solamente minando la sua enorme popolarità e distruggendo la sua immagine presso gli alti comandi della Forze Armate, e nel corpo degli ufficiali. Questi due lavori, occorre dire, sono stati eseguiti gradualmente e con grande abilità.
Le strategie e le tattiche della destra cilena sono state studiate e adattate con intelligenza. Poiché non era possibile utilizzare a fini eversivi il Parlamento – dove Chavez dispone di una maggioranza assoluta – e poiché le rendite derivanti dal petrolio (quasi metà del PIL) garantivano una certa stabilità, l’oligarchia ha utilizzato nuovi mezzi al fine di creare nel Paese un clima di tensione permanente.

Il ruolo dell’impresa

La fuga di capitali è stata colossale. Il volume di trasferimenti clandestini verso i paesi stranieri è stato calcolato in 23 mila milioni di dollari. Il controllo praticamente egemonico della destra sui mass media ha permesso l’estendersi di campagne che puntavano simultaneamente a diversi obiettivi: distruggere Chavez, presentandolo come un demagogo e un dittatore, incolto, psicologicamente instabile, perverso; rompere l’unità delle forze politiche integratesi nel Polo Patriottico, il movimento che ha portato Chavez alla vittoria; costituire, attraverso l’invenzione di polemiche e intrighi, una situazione di conflitto tra la gerarchia della Chiesa Cattolica e Chavez; fomentare forti tensioni internazionali, soprattutto nelle relazioni con gli Usa e con la Colombia; far crescere scientemente nel senso comune l’idea di una corruzione profonda negli apparati amministrativi e di una violenza in rapida e minacciosa crescita nelle aree urbane.
Un massacro mediatico senza precedenti nell’intero continente: tutto era profondamente negativo, la verità veniva letteralmente capovolta, in ossequio alle regole dell’organizzazione del consenso già praticate da Goebbels. Tutto ciò volto a cancellare la politica sociale portata avanti dal governo chavista: il raddoppio della spesa statale per la Scuola e la Sanità, i massicci investimenti per le Opere Pubbliche, la distribuzione alle famiglie contadine di immensi latifondi improduttivi.
Una centrale sindacale, la CTV, controllata e finanziata dal grande capitale, svolgeva poi un ruolo decisivo come strumento di destabilizzazione e perturbazione sociale, di divisione tra i lavoratori.
I suoi dirigenti, alleati alla Fedecamaras, la poderosa federazione delle Camere di Commercio, puntavano alla riduzione della base sociale di sostegno al Presidente, seminando il dubbio e la scontentezza tra le aree – socialmente consistenti – della piccola borghesia.
Come avvenne in Cile, la destra inizia a promuovere manifestazioni contro il governo e a ricorrere a tutti i possibili mezzi praticabili, leciti o illeciti, per sabotare l’applicazione delle leggi volte a colpire i propri privilegi.
Un primo sciopero padronale, nello scorso dicembre, come risposta ad un lochout imposto al commercio, diviene il prologo ad una serie di manifestazioni che, attraverso una propaganda padronale gigantesca, permettono di affermare che “il popolo ripudia la politica di Chavez”. Da qui ad esigere la sua capitolazione è stato un passo.

Contraddizioni nelle Forze Armate

Chavez è cosciente che aree delle Forze Armate non rimangono insensibili alla forte offensiva che contro la sua politica porta avanti il grande capitale. Passa in riserva ufficiali che egli stesso ha promosso. Destituisce altri ufficiali che ha collocato in posti chiave dell’Amministrazione.
Il Presidente afferma che si tratta di “casi individuali”, che “ le Forze Armate sono al servizio della Rivoluzione”, che un “ pinochetazo” è un’eventualità impossibile. Ma la marea di critiche al governo sembra invece aprirsi un varco in aree comunque minoritarie dell’Esercito. Si configura una situazione contraddittoria. La presenza di ufficiali superiori nell’alta Amministrazione conferisce al governo una fisionomia unica nel continente, e contemporaneamente emerge nell’Esercito una corrente che, criticando Chavez pubblicamente, porta avanti una concezione dell’apoliticità dei militari.
La “paralisi indefinita” imposta dalla Fedecamaras e dalla CTV a partire dal 9 di aprile punta, in modo chiaro, alla destituzione del Presidente. Chavez sembra non valutare bene, inizialmente, la pericolosità del piano controrivoluzionario condiviso dai vertici delle Forze Armate. Ma, al terzo giorno del movimento, i cospiratori si tolgono la maschera. Il comandante in capo dell’Esercito, generale Efrain Vasquez, e l’ammiraglio Ramirez a capo della Marina, chiariscono il loro ruolo di guida della controrivoluzione. Esigono le dimissioni del Presidente.
La cronologia del golpe è conosciuta. Nella sequenza delle provocazioni spicca quella dei franco tiratori della polizia, che sparano contro i militanti di Chavez, uccidendone dieci e ferendone a decine.
La stessa strage è il pretesto perché dai generali sediziosi parta l’ultimatum contro il Presidente. Chavez racconta in televisione ciò che davvero sta accadendo. Le sue parole fanno il giro del mondo. Il Presidente è poi trascinato in cinque luoghi diversi, per impedirgli di comunicare. Annunciano che Chavez rinuncia al mandato, il che è assolutamente falso. Leggono in televisione un testo affermando essere quello della rinuncia. La notizia è trasmessa in tutto il pianeta e contemporaneamente il Paese viene informato che si è costituita una Giunta che assume il potere.

L’evocazione del fascismo

Si apre una fase che ricorda la famosa avvertenza di Marx. Quando la storia sembra ripetersi le cose non corrono meccanicamente, come affermava Hegel. In Venezuela, la tragedia e la farsa si sono manifestate unite. Il Presidente designato, dopo la destituzione di Chavez , è Pedro Carmona, il dirigente Fedecamaras, colui che in effetti è il grande architetto del golpe.
Che accade ora?
La realtà supera di gran lunga ogni più fertile immaginazione.
Carmona cambia immediatamente nome al Paese, cancellando quella “Repubblica Bolivarista” così odiata dall’oligarchia; dichiara dissolti il Parlamento, il Tribunale Supremo, il Ministero Pubblico, cancellando infine la Costituzione.
Un’onda di violenza folle si abbatte sul Venezuela. La caccia alle streghe assume in poche ore un carattere drammatico. L’ambasciata di Cuba è assalita da bande di delinquenti al servizio del nuovo potere che tagliano l’acqua e la luce, chiudono le strade che portano all’ambasciata, ingiuriano e minacciano l’ambasciatore e i funzionari rimasti a difendere l’edificio.
Il fascismo mostra i denti per le vie di Caracas. Residenze di ministri e alti funzionari vengono invase, distrutte e depredate, mentre corrono notizie contraddittorie sulla sorte del Presidente. Si parla di arresti di massa.
Le televisioni ed i giornali presentano Carmona come un salvatore della patria. Lo stesso stratega del golpe dichiara al Paese che “ ristabilito l’ordine istituzionale, tornerà poi l’apertura politica, il pluralismo, il rispetto per lo stato di diritto, per i valori ed i principi etici e morali”.
A Washington, Ari Flesher, portavoce della Casa Bianca, dichiara colpevole Chavez per gli “incidenti accaduti” ed elogia le Forze Armate per la loro condotta serena. Aggiunge che gli Usa sono disponibili a collaborare con il governo di transizione e con Carmona. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale esprime la propria adesione al governo golpista. Il Gruppo di Rio manifesta perplessità per la rottura dell’ordine istituzionale, ma non esige la liberazione di Chavez
La CNN, che non nasconde le proprie chiare simpatie per il golpe, divulga un profilo altamente elogiativo di Pedro Carmona, rappresentato come un tranquillo impresario, un democratico ed un grande statista, un uomo capace di unire il Paese.
A partire dal giorno 13, quando si inizia a capire che il golpe sarà sconfitto, la grande rete di Ted Turner riduce al minimo le notizie sul Venezuela.

Il ruolo del popolo

Caracas, la mattina del giorno 12, appare deserta. Per poco tempo. Quando inizia a correre la notizia che il Presidente non ha rinunciato, quando si inizia a conoscere il contenuto della telefonata a sua figlia Gabriela, ove si smentiscono le dimissioni, quando si viene a conoscenza del fatto che il Presidente è imprigionato nella fortezza di Tiuna, il popolo inizia a scendere per le strade. Dal luogo della prigionia Chavez scrive un messaggio in cui si chiarisce che la notizia delle propria rinuncia è falsa. Un soldato trasmette il messaggio per fax. In poco tempo migliaia di copie del testo passano di mano in mano.
Intanto una folla torrenziale si riversa per le strade di Caracas, dirigendosi verso il Palazzo “Miraflores”, nel momento in cui è confermata la notizia secondo la quale le unità dei “parà” del Maracay, comandate dal generale Raul Baduel, ribadiscono la loro lealtà a Hugo Chavez, ripudiando il golpe. Dalle diverse regioni giungono notizie che i Governatori e i sindaci assumono la stessa posizione, negando di riconoscere la Giunta golpista.
In poche ora il panorama politico e militare cambia. Lunghe colonne di popolo si congiungono alle migliaia di sostenitori del Presidente che già circondano il Palazzo “Miraflores”. Giungono nell’area anche truppe lealiste dell’Esercito, giungono anche i blindati lealisti. La Guardia Nazionale, comandata dal generale Francisco Belisario Landis, svolge un ruolo fondamentale nella sconfitta del golpe, per la fermezza con la quale rifiuta la rottura istituzionale. I rapporti di forza mutano in poche ore. Per il ritorno della democrazia nel Paese, ovunque ufficiali e soldati esigono la liberazione immediata del Presidente.
La “policia civil”, il cui comandante Pena è complice della congiura golpista, apre il fuoco sulla manifestazione che chiede il ritorno di Chavez . Nove morti e oltre 50 feriti aumentano la liste delle vittime della repressione scatenata dalle forze dell’estrema destra.
Il primo indizio che la Giunta è presa dal panico viene dal diverso modo in cui gestisce la comunicazione. Televisione e radio passano dall’isteria della vigilia del golpe al mutismo totale. I generali che hanno aderito alla congiura iniziano a prenderne le distanze. Il generale Efrain Vasquez, comandante dell’Esercito, intima al presidente golpista di rispettare l’ordine istituzionale. Pedro Carmona, svilito, si sottomette. Annulla i decreti che avevano revocato la Costituzione, dissolto la Camera dei deputati ed il Supremo Tribunale. Ma è tardi.
Spalla a spalla, militari e civili invadono il Palazzo. Carmona fugge, rifugiandosi nella fortezza di Tiuna. La certezza che il golpe è stato sconfitto è ormai così generalizzata che anche capi di governo ostentatamente reazionari, come quelli del Nicaragua, El Salvador e di Costa Rica decidono, finalmente, di condannarlo.
Quando nella notte il deputato Juan Barreto convoca l’Assemblea Nazionale a riunirsi in sessione straordinaria nella sede dell’unico canale statale della televisione, “Canale 8”, le forze costituzionaliste si sentono già sufficientemente forti da inviare ai militari golpisti un ultimatum, ordinando la liberazione del Presidente.
Il “vice” Diosdado Cabello assume intanto, ad interim, la presidenza e il generale Lucas Rincon assume la carica di comandante in capo delle Forze Armate.
Chavez entra nel Palazzo alle quattro e mezza dell’alba del 14 aprile.

Incognite

L’euforia che la sconfitta di un golpe che sembrava vincente suscita nel Venezuela e tra le forze progressiste di tutto il mondo, non può giustificare sentimenti trionfalistici.
Sarebbe ingenuo credere che il ritorno di Chavez alla presidenza potrà risolvere i problemi sociali ed economici che sono stati all’origine delle ultime gravi tensioni, inseparabili dagli avvenimenti dell’11 aprile.
Non si fanno miracoli in politica. Il golpe è stato il risultato di una polarizzazione di interessi inconciliabili, inseparabili dall’intensa lotta di classe che segna il quadro politico e sociale venezuelano.
La prudenza, il tono moderato e gli appelli alla riconciliazione dei venezuelani hanno predominato negli interventi della maggioranza dei collaboratori di Chavez quando essi, da “Canale 8”, lanciavano appelli nella fase della prigionia del Presidente.
Egli stesso, ricevuto nel Palazzo con una commossa ovazione, ha pronunciato un discorso molto diverso dall’abituale: sereno, cosciente dell’estrema complessità della nuova fase post-golpe. Esibendo un crocifisso, invocando dio, ha lanciato a tutti un appello al buon senso e alla concordia, un appello buono anche per coloro che sono contrari al suo progetto di trasformazione sociale.
Chi scrive è un ateo irrecuperabile, ma comprende il suo gesto. Il Presidente è così. Ed è pienamente cosciente del significato di quanto è accaduto. Il fascismo ha esibito la sua minacciosa faccia. Se è un fatto che la maggioranza dei militari è rimasta leale, non si può dimenticare – come ha fatto notare con chiarezza Julio Montes, l’ambasciatore venezuelano a Cuba – che generali e colonnelli che godevano dell’assoluta fiducia hanno tradito il patto con la Repubblica Bolivariana. Per più di 24 ore ci si è chiesti quale sarebbe stata la collocazione delle Forze Armate relativamente al golpe.
Il Presidente non può dimenticare che l’estrema destra non avrebbe potuto organizzare l’assalto al potere, non avrebbe potuto mettere in piedi una così grande campagna di disinformazione, se non avesse avuto al proprio fianco centinaia di militari.
Ma sarebbe un errore lanciare un’anatema contro tutti i militari, condannandoli. Molti di coloro che hanno sfilato sotto le bandiere della reazione, avevano acclamato il Presidente nei suoi grandi comizi. Riconquistare i venezuelani confusi dai signori dell’oligarchia sfruttatrice, i lavoratori ingannati dai dirigenti del sindacato giallo, dovrà essere uno degli obiettivi centrali del Presidente e del nuovo governo.
Hugo Chavez si rallegra oggi di una vittoria che non è solo del popolo venezuelano, ma di centinaia di milioni di latino-americani. Poiché la sconfitta del golpe fascista dell’11 aprile configura anche un’enorme sconfitta dell’imperialismo nord americano.
L’America latina, in questa fase di crisi globale della civiltà, è il continente della speranza, un grande laboratorio per lo studio delle grandi lotte sociali del nostro tempo. Riflettere serenamente, freddamente, senza dogmatismi sul golpe venezuelano è un dovere per i rivoluzionari di tutto il mondo.

Traduzione a cura di F. Giannini