Unità a sinistra per l’alternativa al neoliberismo

Il punto di partenza è – a mio parere – che non siamo riusciti ad uscire dalla fase inerziale che ha portato alla sconfitta del 13 maggio 2001. Mi riferisco alla divisione che ha visto competere l’Ulivo, l’Italia dei valori e Rifondazione separatamente, e perdere di conseguenza le elezioni. Dopo la sconfitta tutti i soggetti avrebbero dovuto, ragionevolmente, cercare di individuare le ragioni profonde della sconfitta e tentare di porvi rimedio. È chiaro che nel recente passato politico tra Ulivo e Rifondazione ci sono ferite pesanti. Penso alla crisi del Governo Prodi del ‘98, alle scissioni di Rifondazione. Se facciamo l’elenco delle ragioni che spingono a non cambiare percorso la lista è lunga e continuare così è la scelta più comoda fare.
C’è un problema non risolto, ed è che così si perderà di nuovo. Non a caso, malgrado un Parlamento con una composizione particolarmente sfavorevole per l’opposizione, quando c’è stato un percorso unitario il centro destra ha avuto maggiori difficoltà e l’opposizione è risultata più efficace. Malgrado questo, continua un trascinamento inerziale che non aiuta e che rinvia al futuro la capacità di affrontare i nodi. Circola l’opinione che dopo la sconfitta fosse inevitabile un periodo di incertezza e difficoltà, ma in realtà proprio lo shok della vittoria del centro destra avrebbe dovuto spingere a scelte di fondo. Di questo centro destra – che ha come sappiamo caratteristiche particolarmente pericolose di occupazione del potere del suo uso per fini personali e di gruppo – dobbiamo contrastare le scelte devastanti con piena consapevolezza della posta in gioco. Del resto basta ricordare le vicende della giustizia e della legalità tante volte stravolte e compromesse dal centro destra. Se il centro destra ha queste caratteristiche pericolose, occorre trarne le conseguenze per contrastarlo con efficacia e, se possibile, batterlo. Paradossalmente, se così non fosse e l’opposizione non cercasse di avere la forza per contrastare il centro destra, pur da posizioni di debolezza, sarebbe subalterna verso chi pensa che in fondo il centro destra farà fino al 2006 il “lavoro sporco”, e poi il centro sinistra potrà tornare a governare con il “campo sgombro”. Solo che sarà “sgombro” da conquiste sociali e “ingombro” di fratture e ingiustizie sociali. Inoltre non è affatto detto che dopo l’opposizione tornerà a governare. Se c’è un obiettivo di fondo che riguarda tutti (contrastare il centro destra), allora è doveroso attrezzarsi per farlo. Questo è tanto più possibile in quanto da alcuni mesi nel campo sociale è cresciuto un insieme di movimenti, girotondi, iniziative (prima dei sindacati e ora purtroppo della sola CGIL) che hanno messo in campo qualcosa di più di un potenziale di pressione. Infatti questi movimenti hanno un forte tasso di politicità che influisce direttamente sull’opposizione. Non nelle vecchie forme di tentare un’autorappresentazione, ma puntando ad interloquire con le forze dell’opposizione per modificarne l’orientamento politico, certamente verso una maggiore radicalità. Non è poco e non era scontato. C’è da augurarsi che questi fermenti continuino e si rafforzino, e questo dipenderà anche dalla capacità di offrire una robusta e credibile risposta politica. Non si tratta di ripercorrere una vecchia divisione dei compiti, ma al contrario è il tentativo di sforzarsi di interloquire positivamente, di dare risposte, andando oltre la fase di reciproco ascolto, che mi sembra ancora l’oggetto prevalente quando va bene o il tentativo di mettere il cappello sopra i movimenti che qua e là è presente. Il nodo politico non risolto nell’opposizione rischia di essere un veicolo negativo, o almeno un non contributo, alla crescita di una protesta sociale e intellettuale forte. Quindi è più che mai necessario ed importante sviluppare ora una riflessione per tentare di sciogliere il nodo di un’opposizione unitaria ed efficace. Il quadro è composto da un Ulivo che continua a ragionare, nella sua maggioranza, in un orizzonte limitato al suo interno (a volte più largo, a volte più stretto, ma la sostanza non cambia), e si cimenta con l’architettura di sovrastrutture fino ad ora inefficaci e rinvia i rapporti con il resto dell’opposizione ad un secondo tempo, trascurando che il problema ereditato dal ‘98 (crisi del Governo Prodi) è proprio la scarsa credibilità d uno schieramento che sia rinchiuso nelle tattiche (desistenza) o che si divida di fronte al primo fatto nuovo rilevante (ad esempio la guerra). Quindi un’opposizione che non si pone il problema di un reale e forte accordo politico non ha la necessaria credibilità. Ciascuno può valutare quanto sia difficile arrivare oggi a questo. Qui vorrei parlare in particolare di Rifondazione (il cui ruolo è a mio giudizio indispensabile nell’efficacia dell’opposizione) che mi sembra tuttora ripiegata su sé stessa. Forse meno di prima, ma non ha ancora fatto la scelta di affrontare in campo aperto il dialogo di merito con l’Ulivo. Così, senza dirlo, si rischia di restare nell’ambito della tesi delle due sinistre, a mio giudizio sbagliata ieri e ancora di più oggi, non fosse altro per la buona ragione che le sinistre sono tante. Infatti nei movimenti e nei girotondi sono tornate o venute all’impegno attivo tante persone che altrimenti non si sarebbero impegnate. È la conferma che il dialogo a sinistra unisce e mobilita, mentre la rottura allontana e divide, e l’impegno unitario di tante persone di sinistra trova il modo di esprimersi in altre forme, in altre sedi. A volte in una critica alla politica di sinistra. C’è chi dentro l’Ulivo si muove per evitare che attraverso lo schema “prima l’Ulivo, poi il rapporto con gli altri” si creino nuovi steccati. Se capisco bene anche dentro Rifondazione si muove qualcosa. Penso che la consapevolezza della situazione ci debba spingere all’urgenza del qui ed ora, ed è per questo che penso che le energie politiche che vogliono smuovere gli ostacoli debbono praticare una linea unitaria in tutte le occasioni possibili. La trasversalità è, a mio parere, la parola d’ordine che deve guidare l’azione di ognuno di noi, senza timori e senza cadere nella trappola di disegnare nuove aggregazioni (o scomposizioni) della sinistra. Non fosse altro perché ridisegnare a tavolino la geografia politica è l’ultima delle cose che interessa le persone in carne ed ossa. Non perdere tempo nel ridisegnare le mappe topografiche della sinistra e impegnare ogni energia nel mettere insieme le forze. Ovviamente per fare questo non basta averne la voglia, occorre individuare i nodi. Non è difficile oggi individuare i punti. Il primo è il no alla guerra.
Perché mai l’opposizione deve avere più posizioni, o meglio perché non deve tentare di costruirne una sola? Almeno occorre provarci.
Mentre scrivo è ancora sul tappeto la pluralità delle posizioni: è stato così anche nella discussione sulla politica economica del Governo (Tremonti in Aula) e l’opposizione si è articolata, per non dire divisa. Cosa farà sulla finanziaria? Naturalmente mi auguro che lavori insieme, come ha fatto – bene – in altre occasioni. Vorrei concludere indicando alcuni terreni di impegno comune, che dovrebbero affiancarsi a quelli su cui qualcosa è sorto (Tobin tax, diritti per tutti i lavoratori) e che però hanno bisogno di essere rafforzati perché non bastano ad offrire una piattaforma politica. Il principale terreno a me pare lo snodo Europa, che è il collegamento credibile tra realtà nazionale e globalizzazione. Infatti molti problemi nascono dalla convinzione che i processi di globalizzazione, al di là del fatto che siano giusti o sbagliati, sono inevitabili. È chiaro che la conseguenza è che resta solo lo spazio per lenire le conseguenze.
Anche l’esperienza dei governi di sinistra e di centro sinistra in Europa ha fatto i conti con questi problemi e l’esito è sotto gli occhi di tutti; per fortuna con lo stop in Svezia e Germania, dove la sinistra è stata premiata per le scelte nette e radicali. Abbiamo poco riflettuto sul fatto che l’esperienza più interessante, la gauche plurielle in Francia, ha ceduto sotto la contraddizione tra realtà ormai europea e pratica richiusa nell’ambito nazionale. Dopo l’Euro la sinistra ha il problema di una piattaforma sociale e di sinistra di livello europeo, in grado di offrire un’alternativa credibile al neoliberismo degli USA che ha impresso le caratteristiche di fondo anche ai processi di globalizzazione. Senza questo orizzonte tutto è più difficile, precario. Il “socialismo” in un paese solo non è più attuale, se mai lo è stato. Del resto se ci si presta attenzione anche nel ‘98 la crisi della coalizione che sosteneva il Governo Prodi, e che è apparsa più come rottura tra partiti, derivava in realtà dal venire meno della forza ordinatrice e cogente dell’entrata nell’Euro, a cui anche Rifondazione ha contribuito fino al ‘98. Il problema aperto dal ‘98 in Italia, e tuttora non risolto, è la finalizzazione del risanamento e dell’entrata nell’Euro con un progetto chiaro di diverso modello di economia e di società. Dopo l’Euro il bivio esiste e offre possibili alternative e la sinistra deve indicarne una su cui spendere una volontà unitaria in grado di coinvolgere tutte le forze che si oppongono al centro destra.