UN SILENZIO ASSORDANTE

Sul tema della giustizia penale e dei diritti di chi si trova privato della libertà molto si è parlato prima delle passate elezioni, mentre praticamente poco si è fatto sinora per contrastare l’ondata securitaria e la tendenza ad affrontare col mezzo penale le conseguenze della crescente insicurezza e precarietà sociale. In un caso e nell’altro hanno pesato forse di più i calcoli elettorali, l’idea di conquistare prima il voto dei detenuti e delle loro famiglie, ora quello più condizionato dalle campagne mediatiche emergenziali. Fu comunque sull’onda di una insostenibile ed ingestibile condizione carceraria che il Parlamento votò a gran maggioranza quell’indulto dimezzato che escluse tuttavia molte tipologie di reato, tra i quali quelli di natura politica ed associativa, e alcuni reati contestati ai movimenti degli ultimi anni (tra i quali taluni reati contestati per i fatti di Genova). Naturalmente trovarono abbondante spazio nel provvedimento di indulto, assieme ai cosiddetti reati abituali, i reati legati tipicamente al malaffare politico e amministrativo, salvando insomma dalle conseguenze ultime di alcune condanne gli appartenenti a determinati schieramenti politici e di potere. A seguito dell’indulto sarebbero in teoria dovuti seguire interventi di riforma sostanziali e l’abrogazione di alcune leggi responsabili tra l’altro della sovrappopolazione carceraria, così come previsto nel programma elettorale dello schieramento vincitore. Così non fu….così le carceri si stanno di nuovo riempiendo, spesso di persone colpevoli in pratica di esistere e vivere in una condizione di degrado, emarginazione ed esclusione sociale: come quelle colpite dalla legge Bossi-Fini sull’immigrazione spesso arrestate per la sola mancanza di un permesso di soggiorno, o per altri versi quelle che finiscono in galera per il solo possesso e consumo di sostanze.
Per affrontare una minima discussione su questi temi, tra coloro che si mostreranno disponibili ad approfondire i contorni della questione senza sottomettersi alle tendenze securitarie dominanti, è importante schematizzare e riassumere alcuni aspetti utili a non cadere in generici quanto inconcludenti propositi come per la sempre mancata riforma del Codice Penale. In realtà, infatti una organica riforma della giustizia penale in una chiave coerente con i principi costituzionali, e secondo criteri di giustizia sociale, non potrebbe fare a meno di occuparsi anche del Codice di Procedura Penale e dell’Ordinamento Penitenziario, ambiti questi dove negli ultimi anni si sono radicate vere e proprie aberrazioni normative.
Se da una parte, dunque, il tema potrebbe apparire così vasto da rendere inarrivabile qualunque modifica, non sarà male indicare alcuni elementi tra loro legati, da aggredire nello specifico e dai quali dipende in larga misura la condizione dei detenuti, il loro futuro, e il funzionamento dell’intero sistema delle pene in Italia: qualcosa che riguarda da vicino la società intera e l’idea stessa di democrazia, sempre più ridotta alla sua variante “governante” ed autoritaria. E’ rilevante il peso di questo sulla dinamica stessa della dialettica democratica e delle possibilità di trasformazione se è vero che sempre più viene gestito come mero problema di ordine pubblico ogni aspetto del conflitto sociale. Ed è significativa la tendenza prevalente in questo campo, che pare preludere a più profonde svolte autoritarie, a ratificare, sul piano formale e costituzionale, gli attuali rapporti di forza.
1) Riguardo al Codice di Procedura Penale occorre segnalare le ultime modifiche, introdotte nel 2005 durante il governo Berlusconi, all’art. 656 C.P.P. sull’esecuzione della pena. Questo articolo di natura retroattiva dispone l’esecuzione in carcere di ogni sentenza definitiva, anche per minimi residui pena, e anche in presenza di consolidati percorsi di reinserimento esterni al carcere, per i reati classificati sia nella fascia 1 e 2 dell’art. 4 bis e sia per quelli considerati dall’art. 99 C.P.comma 4 sulla recidiva (legge ex Cirielli). Talché moltissimi detenuti si vedono di nuovo ristretti in carcere, sovente per vecchi residui pena, precipitati nell’incubo criminogeno della galera dopo essersi con fatica ricostruiti una vita. E per la recidiva è sufficiente qualunque minimo procedimento risalente negli anni, taluni magistrati di sorveglianza arrivano ad applicare queste restrizioni ai benefici persino in presenza della semplice contestazione da parte di un PM dell’art. 99 sulla recidiva, senza che poi questo sia stato effettivamente recepito nella sentenza di condanna. La Magistratura di Sorveglianza si mostra spesso come un imbuto che beffardamente concede i benefici, ai detenuti comuni che ne hanno tutti i requisiti, pochi giorni prima dello scadere della pena…
2) Nell’Ordinamento Penitenziario svolge una funzione di prim’ordine l’art.4 bis O.P., con il quale determinate tipologie di reati (tra i quali quelli di natura associativa ma non solo) vengono nella sostanza esclusi dalle finalità trattamentali della pena volte, in linea teorica, al reinserimento del reo. In pratica a queste categorie di condannati classificati nel 4 bis, vengono escluse o comunque limitate le prerogative dell’art. 27 della Costituzione; questi dannati (in particolare i classificati nella fascia 1) dovranno scontare per intero la loro pena in carcere, senza poter usufruire dei benefici penitenziari intesi come permessi, semilibetà o affidamento altrimenti previsti per gli altri detenuti. Proprio a causa dei problemi di legittimità e costituzionalità sollevati da questo articolo dell’ordinamento penitenziario, veniva inserito di recente un paragrafo nel quale si ammettevano alcune condizioni per l’accesso ai benefici, anche nella prima fascia e anche in assenza di “collaborazione”, quando sia tra l’altro dimostrata “l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata ed eversiva”. in pratica però questa modifica non viene recepita dalla Magistratura di Sorveglianza che si limita a negare ogni beneficio a meno di avere a che fare con la categoria dei cosiddetti collaboratori di giustizia Tali impedimenti e/o restrizioni all’applicazione dei benefici penitenziari può essere estesa anche a quei procedimenti penali per i quali, in relazione a specifici reati anche di minore entità, sia contestata una finalità eversiva, come ad esempio i casi di alcune lotte sociali, occupazioni, o nel caso del reato di devastazione contestato per i fatti di Genova 2001. Dal 4 bis dipendono anche talune misure relative al trattamento carcerario riguardo ad esempio alla restrizione del numero dei colloqui mensili o delle telefonate consentite verso la famiglia.
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b3) Riguardo al Codice Penale, oltre al già menzionato art.99 sulla recidiva (lg. ex Cirielli), non può essere taciuto il tema dei reati associativi, mutuati in larga parte nel loro impianto dal Codice Rocco degli anni ’30 col quale si perseguirono durante la dittatura fascista i futuri costituenti. Qui le evoluzioni peggiorative, con cospicui aumenti delle pene minime e massime, sono state interminabili e ben oltre le leggi di emergenza varate sul finire degli anni “70. La categoria del reato di pericolo presunto, rende bene l’idea di cosa si sta parlando. Il cofine col reato di natura ideologica e di opinione, nel caso dei reati eversivi e dell’art. 270 bis C.P. è stato abbondantemente superato se è vero che oramai e con sentenze passate in Cassazione (rinnegando precedenti orientamenti della Suprema Corte appena più garantisti) è passato pacificamente il principio secondo cui è normale ed automatica la contestazione delle aggravanti (come ad esempio la banda armata o la finalità terroristica) anche in assenza di quegli elementi che sarebbero necessari in uno stato di diritto per la contestazione della partecipazione semplice o del concorso esterno, alcune procure si spingono alla contestazione di improbabili “militanze esterne”, associazioni sovversive informali e altre delizie. I condannati per questi reati si vedono così esclusi da benefici e misure alternative secondo un criterio totalmente ostativo aggravato dalle disposizioni previste dall’art. 4 bis. A questi reati vengono d’ufficio applicate ulteriori classificazioni amministrative,disposte da circolari interne dell’Amministrazione Penitenziaria, e sono rari i casi di declassificazione comunque ininfluenti rispetto alle disposizioni del 4 bis. Questi detenuti (sia condannati che in attesa di giudizio) vengono di norma ristretti all’interno di circuiti carcerari speciali come nel caso dei reparti EIV (per i quali la Corte Europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo ha più volte e senza successo richiamato le autorità italiane) o ancora nel circuito del 41 bis in un regime di vera e propria tortura detentiva.
Per finire, la pena dell’ergastolo-fine pena mai continua ad essere una triste realtà italica, mentre molti paesi europei hanno da tempo abolito questo tipo di condanna.
I concetti di restrizione o abolizione dei benefici penitenziari e delle misure alternative qui riassunti sono molto simili a quelli che furono inseriti nella prima bozza del pacchetto sicurezza del novembre 2007, secondo il quale le restrizioni andavano estese ad una ancora più vasta gamma di reati minori, con addirittura la proposta poi rientrata di istituire “processi immediati” e di abolire la possibilità di misure extracarcerarie nelle fasi antecedenti la sentenza di condanna (o di assoluzione) e cioè di trasformare la carcerazione preventiva in condanna preventiva. Se è vero che alcune proposte contenute in quel pacchetto, approvato nelle linee generali dal Consiglio dei Ministri del governo Prodi sull’onda emozionale di un grave fatto di cronaca, videro sostanziali modifiche, è altrettanto significativo il fatto che di questo si sia arrivati a discutere in una sede governativa, non nel segreto di un covo golpista. E non sappiamo bene di cosa saranno capaci i prossimi inquilini di Palazzo Chigi e del Parlamento italiano, neppure è chiaro l’indirizzo delle componenti storicamente più garantiste… Intanto, la materia con la quale devono ogni giorno confrontarsi migliaia di detenuti italiani è perversa e contorta, ma tra codici, cavilli e rumori metallici è il silenzio del mondo esterno a divenire assordante.