Un imperialismo dal “volto umano”?

Dentro la vasta opposizione alla guerra e le giuste aspirazioni verso un mondo multipolare emergono anche le ambizioni dell’establishment europeo tese a realizzare la costituzione di un nuovo polo imperialista. La competizione globale tra Stati Uniti ed Unione Europea non può che acutizzare questa contraddizione, ma non è automatico che si manifesti a favore delle classi subalterne e dei popoli nei paesi in via di sviluppo. I movimenti sociali e contro la guerra devono imparare a muoversi come una variabile indipendente

“Per la Cina il rapporto con l’Europa è basato sull’idea di un mondo multipolare. Oggi esiste al mondo una sola superpotenza, quella americana. Per chi, come i cinesi, ha interesse ad un maggiore equilibrio su scala planetaria, è irrinunciabile la speranza che un giorno l’Unione Europea possa diventare un polo di pace e di sviluppo accanto all’America, alla Cina, alla Russia ed eventualmente anche ad altre potenze… Per noi dunque l’Europa non è un tema in sé, ma parte di un ragionamento geopolitico che investe il ruolo della Cina nel mondo e soprattutto i suoi rapporti con gli Stati Uniti” 1.
L’auspicio contenuto nel documento di questo analista cinese, spiega molto chiaramente la posta in gioco nelle odierne relazioni internazionali caratterizzate dalla supremazia americana e dalla guerra come strumento concreto della sua affermazione.
Non saranno sfuggite ai lettori e ai compagni la recente raffica di interviste ad esponenti di rilievo dell’establishlment europeo (Prodi, Monti, Solana) nelle quali veniva invocata – più o meno apertamente – l’ambizione di rendere l’Europa una nuova superpotenza capace di giocare un ruolo globale sullo scenario internazionale.
“L’Europa dovrà divenire un centro di forza geopolitico più potente di quanto non appaia oggi e di quanto non possa essere nel suo attuale stato di vassallag gio” – sostiene il viceministro degli esteri russo Tret’jakov – “La Russia deve compensare la propria debolezza entrando a far parte della nicchia geopolitica più naturale per lei, rappresentata dall’Europa e solo dall’Europa” 2.

Le celebrazioni per il primo anniversario dell’euro e il sorpasso avvenuto nel tasso di cambio tra la moneta europea e il dollaro statunitense, hanno contribuito a rafforzare la convinzione che una Europa con il rango di superpotenza sia l’aspirazione non più sottaciuta di molti soggetti economici e politici europei. L’incoraggiamento in tale direzione che giunge dai più svariati ambienti internazionali é, come abbiamo visto, piuttosto esplicito.
Ma questa aspirazione deve fare i conti con se stessa oltre che con il contesto internazionale dominato dalla ossessiva difesa della propria supremazia globale da parte degli Stati Uniti. Questa doppia sfida – all’interno degli equilibri dell’Unio-ne Europea e all’esterno, dentro lo squilibrio delle relazioni internazionali – ci presentano di fronte problemi di estrema rilevanza, in cui le forze democratiche e di classe europee non possono dar prova di subalternità o leggerezza.

L’escalation verso l’Europa “forte”

Il 4 dicembre, cogliendo un po’ tutti di sorpresa, a Bruxelles Prodi si è presentato ai giornalisti tirando fuori una bozza della Costituzione Europea composta da 145 pagine e che articola i principi, i diritti fondamentali e le coordinate politiche dell’Unione Europea. Qualche giorno dopo, a Copenhagen, si sarebbe riunito il Consiglio Europeo3. “L’Europa che uscirà da Copenhagen non sarà più la stessa (a causa dell’allargamento) ragione per cui serve una forte leadership, ma di leadership tra i quindici se ne vede poca” sottolineava uno dei migliori osservatori delle vicende europee degli ultimi dieci anni4. Il vertice di Copenhagen però, a dispetto dei più pessimisti, dava il via all’allargamento dell’Unione Europea ai paesi dell’Europa dell’Est, stoppava il “soffocante” pressing americano a favore dell’ingresso rapido della Turchia nell’Unione e soprattutto cominciava a mettere mano ai criteri di definizione dei poteri decisionali dell’Unione.
Nei giorni precedenti e successivi al vertice di Copenhagen, si è discusso molto dei poteri decisionali in una Unione Europea estesa ormai a 27 paesi (di cui 26 sono anche aderenti alla NATO e ciò implica dei serissimi problemi che affronteremo più avanti). Su questo esistono ancora opinioni divergenti in alcuni dettagli. La bozza di Costituzione presentata da Prodi indica il parlamento europeo come l’istituzione ideonea al eleggere il Presidente della Commissione (Mr. Europe, quindi), prevede un rafforzamento dell’esecutivo UE, un unico responsabile per la politica estera e il mantenimento della presidenza di turno ogni sei mesi. Diversamente, Francia, Gran Bretagna, Spagna e… Giuliano Amato sono orientati per un Presidente ed una Commissione Europea dotati di pieni poteri.
È prevedibile che questi nodi dovranno essere sciolti in tempi ormai decisamente brevi mettendo mano alla nuova Costituzione Europea e arrivando alla conferenza intergovernativa del 2004 con le carte in regola e già definite.
“Una Costituzione è ciò che distingue uno Stato da una organizzazione internazionale fondata su un trattato” osserva giustamente Le Monde Diplomatique “Proporre di redigere una Costituzione europea significa dunque proporre di trasformare l’Unione in uno Stato”5.
Continuare a sottovalutare la natura, i contenuti di classe e il processo che porterà alla definizioni di poteri decisionali e costituenti dell’Unione Europea, sarebbe un errore clamoroso da parte della sinistra e dei movimenti sociali in Europa. Appare quantomai palese che la sintesi costituzionale sulla quale nascerà l’Unione Europea del XXI° Secolo corrisponderà assai più ai poteri forti che hanno guidato fin qui il processo di unificazione che alle aspettative e ai diritti sociali sui quali dobbiamo riconoscere che si è balbettato fino ad ora. “Soltanto un atto di rottura dal forte contenuto sociale può rilanciare l’adesione popolare alla costruzione europea” afferma Bernard Cassen. Nè può sfuggire che la Costituzione Europea sarà decisamente più arretrata di molte Costituzioni nazionali spesso frutto di un compromesso (come nel caso italiano) in cui però le esigenze sociali, democratiche e della pace hanno avuto un loro peso quantomeno formale. Una Costituzione europea elaborata da personaggi come Giscard o Giuliano Amato quanto potrà recepire delle istanze sociali e pacifiste espresse dai movimenti sociali? Una Unione Europea dominata dal dogma della governance e dagli interessi materiali di poteri forti come la BCE o la ERT (la Tavola Rotonda dei presidenti delle principali multinazionali europee), a quali interessi costituenti obbedisce?
I tempi e i modi di questo passaggio di qualità non potranno dunque estendersi ancora per troppo tempo, anche perchè i problemi di coesione interna e le contraddizioni e conflitti del quadro internazionale presentano rischi e controtendenze estremamente pericolosi.

Tendenze e controtendenze per l’Europa “Superpotenza”

Le mine e le trappole seminate sul progetto di una Unione Europea come polo geopolitico globale sono numerose. Alcune sono interne, altre esterne.
Quelle interne coincidono con i governi filo-statunitensi che non esitano a remare contro la trasformazione dell’Unione Europea in qualcosa di superiore ad un’area di libero scambio. Non è un mistero che Londra e Roma siano oggi “la spina nel fianco” di tale progetto. La prima è rimasta fuori dall’eurozona e ribadisce in ogni occasione la sua “speciale relazione” con gli USA, la seconda oscilla tra un europeismo ormai consolidato dentro le classi dominanti e un governo – Berlusconi – che fa del suo filo-americanismo una continua professione di fede.
Uno sguardo alla storia porta in evidenza come i processi di unificazione tra gli Stati – così come quelli di secessione – comportino spesso conflitti di estrema violenza tra le opzioni in campo. L’unificazione della Germania nella seconda metà dell’ottocento o la guerra civile americana hanno visto scatenarsi conflitti spaventosi tra le classi dominanti dell’epoca. Un “falco” come l’economista americano Martin Feldstein, cinque anni fa non ha esitato a parlare di “guerra e discordia dentro l’Europa e tra Europa e Stati Uniti se fosse andato avanti il progetto dell’euro” così come ha fatto in almeno un paio di occasioni Helmut Khol parlando dell’unificazione europea come di “questione di pace o di guerra nel XXI° Secolo”.
La ritrosia e l’ostilità della Gran Bretagna verso la definizione compiuta di una Unione Europea come potenza globale fino a quando potrà essere tollerata? Vista con il cinismo della storia, la “perfida Albione” dovrebbe essere sottoposta a sanzioni o addirittura a pressioni militari fino ad essere “persuasa” a rompere la speciale partnership con gli USA e ad entrare pienamente nell’eurozona (portando in dote una delle maggiori piazze finanziarie del mondo) e nell’esercito europeo. Lo scenario è chiaramente fantapolitico ma volendo dare coerenza logica al corso degli avvenimenti e alle opzioni in campo, é comunque difficile prevedere che il cammino verso una Europa superpotenza possa essere scevro da conflitti e tensioni interne ed internazionali.
Tra queste ultime spicca per importanza l’aperta ostilità dell’altro polo principale della competizione globale in corso: gli Stati Uniti.

Le divergenze di Praga

Che l’agenda delle relazioni transatlantiche tra Europa e Stati Uniti sia ormai divergente, non appare più una forzatura teorica. Sandro Viola ha scritto “che la divaricazione è nei fatti perchè la visione del mondo non è più la stessa…il rapporto tra Europa e America è compromesso. Lo si potrà riparare qua e là, ma nessuno può illudersi che ritorni ad essere quello di prima”6
Emblematico di tale divaricazione e del tentativo statunitense di impedire ogni sganciamento europeo è stato il vertice NATO di Praga. Sovrapponendo la mappa dei nuovi paesi ai quali si è allargata l’Unione Europea e quelli aderenti alla NATO, i confini coincidono perfettamente ad esclusione della Turchia. Su 27 membri della NATO, 25 sono anche parte dell’Unione Europea. Sono molti coloro che “per convinzione o per denaro” trovano in questo nulla di risibile, anzi, rivendicano la piena coincidenza tra le due organizzazioni. Eppure, il fronte di quelli che ritengono tale coincidenza un fardello non più sopportabile, anzi un ostacolo per le ambizioni europee è cominciato a crescere e non si tratta, si badi bene, di militanti antimperialisti di vecchia data o di giovani no global.
Commentando il vertice NATO di Praga, un editorialista de “El Pais” ha esplicitato gli stessi interrogativi che attanagliano buona parte dell’establishment europeo: “È lecito chiedersi se una NATO più forte significhi anche un rafforzamento dell’Europa…Oggi questa stretta rischia di diventare soffocante e, comunque, di limitare l’autonomia dell’Unione Europea….Un pericolo non da poco per gli europei può derivare dalla creazione della Forza di Reazione della NATO. Stati Uniti e Gran Bretagna vogliono che questa sia operativa già nel 2003, dunque prima della Forza di Reazione Rapida europea”.
Sarebbe errato ritenere queste solo come opinioni personali espresse in un autorevole giornale europeo. Tant’è che al termine del vertice di Praga, il cancelliere tedesco Schroeder e il presidente francese Chirac si sono incontrati prima di ripartire dalla capitale ceca e hanno concordato di dare semaforo verde ad un documento comune sui problemi della Difesa europea.
Questo documento franco-tedesco dal titolo “Proposizioni congiunte in tema di politica europea di sicurezza e difesa”, due giorni dopo era sul tavolo di Michel Barnier il commissario europeo che coordina il Gruppo di Lavoro Difesa della Convenzione Europea. Il documento imprime una nuova accelerazione al progetto di Esercito Europeo, un progetto che dovrebbe diventare operativo entro e non oltre il 2003. Come mai questa decisione che alcuni hanno letto come “una nuova sfida all’asse Bush-Blair ma in qualche misura anche alla NATO”? Perchè gli americani e gli inglesi nel vertice di Praga avevano tirato fuori dal cappello la proposta della Forza di reazione della NATO per le operazioni nella “guerra al terrorismo” da rendere operativa… entro il 2003, dunque sovrapponendosi e neutralizzando il progetto di Esercito Europeo.
Dunque volendo ricapitolare alcuni avvenimenti vediamo che:
1) appena l’Unione Europea si allarga a qualche altro Stato, questo viene immediatamente integrato nella NATO. Se è vero, ed è vero, quanto sostiene Brzezinski, ossia che la NATO per gli Stati Uniti è uno strumento fondamentale di politica militare ma anche di interferenza negli affari europei, questa sovrapposizione spiega benissimo il senso di “soffocamento” denunciato dall’editorialista de “El Pais”.
2) Le aziende inglesi e americane sono intervenute pesantemente sugli anelli deboli dell’Unione Europea (Italia soprattutto) per far saltare, od ostacolare, gli accordi tra le società europee tesi a costituire dei poli industriali europei nelle tecnologie, nel settore militare e in quello aereospaziale in grado di competere con quelli statunitensi (ricordate il caso dell’Alenia, il voltafaccia della Finmeccanica, il goodbye italiano all’aereo da trasporto militare del consorzio Airbus etc?).
3) La proposta della creazione di una Forza di Reazione della NATO entro il 2003 ha il chiaro obiettivo “seminare zizzania” tra i membri dell’Unione e di distogliere risorse, uomini e mezzi dall’obiettivo della costituzione della Forza di Reazione Rapida europea entro l’anno, di depotenziarla e di impedire ogni sganciamento militare, tecnologico e politico dell’Unione Europea dalla NATO, cioè dallo strumento con cui gli Stati Uniti possono interferire concretamente sulla politica europea.

L’ipoteca statunitense sulle ambizioni europee

Negli Stati Uniti è ormai maggiortaria nell’establishment, l’idea che l’Europa si stia sganciando dall’influenza americana e stia cercando di delineare un proprio protagonismo globale. Ed è toccato ancora una volta ad uno dei più influenti membri dell’establishment USA, Henry Kissinger, lanciare messaggi intimidatori ai “riottosi” partner europei.
Già in una intervista ad un settimanale italiano, lo scorso anno, Kissinger era stato tagliente verso le ambizioni europee (“quando l’Unione Europea agisce come soggetto unico negli affari mondiali, molto spesso, e sarei tentato di dire sempre, agisce in opposizione agli Stati Uniti… questo sarebbe un errore capace di portare ad una frattura tra le due sponde dell’Atlantico in un mondo sempre più pieno di problemi”)7.
Al termine del vertice della NATO a Praga, e in presenza del dissenso manifestato dalla Germania verso l’intervento militare contro l’Iraq, Kissinger è tornato alla carica senza mezzi termini contro l’Unione Europea: “L’Europa deve resistere alla tentazione di distinguersi. La critica della cultura e del sistema politico americano è stata il principale argomento degli oppositori europei alla NATO negli anni ‘50. La cosa insolita, ora, è che i governi di paesi chiave non stanno facendo nulla per frenare questa tendenza, anzi arrivano a provocarla”. In un passo successivo del suo articolo, Kissinger non ha esitato ad utilizzare scenari e categorie che richiamano assai da vicino i moniti di Feldstein e Khol: “Se distinguersi significa essere in disaccordo, allora la civiltà occidentale è sulla strada dell’autodistruzione come già fatto nella prima metà del XX° Secolo”9.
Se è realistico ritenere che il documento franco-tedesco sulla Difesa segni un salto qualitativo nella “distinzione” compiuta delle ambizioni europee da quelle statunitensi, siamo in presenza di avvenimenti destinati a modificare profondamente lo scenario dei rapporti transatlantici e delle relazioni internazionali nel loro complesso.

Ma l’Esercito Europeo si farà

L’idea avanzata nel documento franco-tedesco sulla Difesa riafferma il carattere offensivo della Forza di reazione rapida europea già indicato nel vertice dell’Unione Europea di Helsinki (1999) e in quello di Lisbona (2000).
Recependo le coordinate di questo progetto di proiezione internazionale dell’esercito europeo, un documento dello Stato Maggiore italiano recita testualmente: “I teatri di crisi potrebbero essere anche molto distanti dall’Europa… Per esempio in aree turbolente come il Caucaso e l’Asia centrale”.9
Ma come ovviare al fatto che alcuni membri dell’Unione (vedi la Gran Bretagna) potrebbero non condividere ed anzi ostacolare una proiezione militare europea autonoma dalla NATO?
Il documento franco-tedesco indica la soluzione e i meccanismi decisionali del nuovo Esercito Europeo:
a) Se non tutti i membri UE sono disponibili, si ricorrerà alle “cooperazioni rafforzate” (in sostanza chi ci stà ci stà, come avvenuto per l’introduzione dell’euro).
b) Costituzione di una forza multinazionale europea dotata di un comando integrato.
c) Costituzione della Agenzia Europea per la politica degli armamenti (quindi adozione di standard e tecnologie tarati sull’industria militare europea).
d) Si agirà per consenso (come per l’euro), la guerra si decide solo se c’è l’unanimità… ma esiste la possibilità di “astensioni costruttive”.

Questo progetto dovrà diventare operativo entro l’anno in corso. La Turchia – sempre più stretta tra le aspirazioni ad entrare nella UE e il fiato sul collo statunitense – fino a dicembre si era opposta ad ogni sovrapposizione tra proiezione militare autonoma europea e strutture NATO, ma poi ha revocato il suo veto.
La divaricazione e la competizione tra l’Esercito Europeo con il progetto anglo-americano in ambito NATO di una Forza di reazione sempre entro il 2003….è ormai evidente. La sua realizzazione sancirà, nei fatti più che nelle parole, la rottura della subalternità militare europea agli Stati Uniti. Ma sancirà anche che l’Unione Europea è disposta ad intervenire militarmente con propri uomini e mezzi lì dove ritenesse minacciati i suoi interessi strategici (parole di Javier Solana), e lo farebbe nè più né meno di come fino ad oggi lo hanno fatto gli Stati Uniti, magari autonomamente ed anche in contrasto con gli interessi degli Stati Uniti, nel Medio Oriente o in Africa, nell’Europa dell’Est o nel Maghreb.

L’illusione di un imperialismo “dal volto umano”

Ma quale saranno la natura di classe e le ambizioni di una Europa potenza globale, dotata di una forte centralizzazione decisionale, estesa dall’Atlantico al Baltico, leader nel commercio mondiale, dotata di una moneta internazionale e di un proprio esercito e sganciata dall’influenza statunitense?
L’impressionante accelerazione avuta negli ultimi tre anni nell’Unione Europea sta disegnando una sostanza dell’Europa completamente diversa da quella avuta fino alla caduta del Muro di Berlino e alla dissoluzione dell’URSS, ma anche diversa da quella auspicata dall’europeismo progressista e democratico che ha egemonizzato gran parte dell’elaborazione della sinistra, rimuovendo o intimidendo ogni punto di vista critico dei processi in corso.
“Le riforme istituzionali si incanalano sulla strada di uno Stato europeo centrale parallelamente alla messa in campo di una potenza militare autonoma”, sottolinea lo studioso tedesco Georg Polikeit .”Si manifesta una forma d’espressione attuale con le caratteristiche fondamentali dell’imperialismo: reazionaria all’interno e tesa all’espansione e all’aggressione verso l’esterno”10.
È una diagnosi impietosa, ma estremamente realistica dell’Europa superpotenza auspicata da numerosi soggetti.
La prospettiva di un mondo multipolare potrebbe guadagnarci molto, ma i diritti dei popoli e la sovranità nazionale di molti paesi dell’area di influenza europea e la stessa democrazia in Europa potrebbero perderci moltissimo. Con questa contraddizione non possiamo evitare di fare i conti.
Essersi fin qui trastullati con l’illusione che la nascita di un polo imperialista europeo possa essere diverso da altri processi analoghi, o che l’Europa potenza globale contenga nel suo DNA gli anticorpi per manifestarsi diversamente dagli Stati Uniti, è una convinzione purtroppo penetrata anche nelle file della sinistra e che potrebbe presentarci brutte sorprese e bruschi risvegli nei prossimi anni.
In Europa i movimenti sociali, sindacali, pacifisti – se vorranno impedire questo scenario – dovranno imparare a muoversi come una variabile indipendente dall’establishment europeo e dai suoi numerosi corifei.
Che gli Stati Uniti siano oggi la principale minaccia per la pace è indubbio (confermato anche da un sondaggio del Time), che per fermare la guerra avremo bisogno di alleanze ampie e compagni di strada anche, ma che si rischi di appiattirci acriticamente sulle ambizioni di una Europa come nuova superpotenza è un errore che non possiamo permetterci.

Note

1 Cheng Yawen, in Limes, nr.3/2002

2 Vitalij Tret’jakov in Limes, nr.1/2002

3 Il Consiglio Europeo è il vertice dei capi di stato dell’Unione Europea ed è, secondo Bernard Cassen, il vero centro decisionale dell’Unione rispetto agli altri organismi come la Commissione Europea, il Consiglio dell’Unione e il Parlamento Europeo, che hanno competenze e poteri più limitati.

4 Adriana Cerretelli in “Sole 24 Ore” del 12/12/2002

5 Anne Cécile Robert in “Le Monde Diplomatique”, settembre 2001

6 Sandro Viola in “La Repubblica” del 19 e 21 agosto 2002

7 Intervista a Kissinger su “Panorama”, giugno 2001

8 Kissinger in “La Stampa””del 1 dicembre 2002

9”L’Esercito Europeo”, pubblicazione dello Stato Maggiore Esercito italiano, novembre 2000.

10 Georg Polikeit, esperto di questioni militari e redattore della rivista teorica tedesca “Marxistiche Blatter” in “L’Europe de tous le dangers”, edizioni EPO, Bruxelles 2002.