Un Forum sociale mondiale contro la guerra

1) Il terzo Forum Sociale Mondiale (FSM), tenutosi quest’anno ancora una volta a Porto Alegre dal 23 al 28 gennaio, ha fatto registrare un’ulteriore crescita sia sotto il profilo della quantità dei partecipanti sia sotto quello della qualità politica. Esso si è confermato come la più importante assise internazionale, in opposizione alle politiche neoliberiste e all’escalation bellicista fomentata dagli Usa. Un’occhiata ai numeri del Forum fornisce un primo supporto a questo giudizio complessivo. Nel 2001, il primo FSM vide la partecipazione di 20 mila persone (provenienti da 117 paesi), di cui 2 mila giovani sistemati nell’Accampamento Intercontinentale della Gioventù. L’anno successivo Porto Alegre ha ospitato 50 mila delegati e 15 mila giovani, provenienti da 131 paesi. Quest’anno, le prime stime fanno salire ad oltre 120/130 mila i presenti (tra cui 25 mila giovani) che hanno affollato le conferenze, i seminari e le “oficinas” autogestite: predominanti, come di consueto, le presenze sudamericane; in crescita quelle asiatiche e, per la prima volta, piuttosto consistenti quelle nord-americane. Anche questa volta, sostanzialmente assente il continente africano. In ogni caso, al di là delle cifre, va segnalata una significativa evoluzione qualitativa. Lo scorso anno rilevammo una duplicità, caratterizzante per un verso la radicalità politica delle manifestazioni di piazza e, per altro verso, la ricca (ma anche dispersiva) operosità della Puc, la Pontificia Universidade Catòlica sede delle attività del Forum. Quest’anno si è avuta la percezione netta che i confini tra il “di dentro” e il “di fuori” siano sfumati: i luoghi ufficiali del FSM si sono aperti al clima esterno, e l’intera articolazione degli spazi tematici è stata attraversata da una nuova unificante tensione politica. Ciò è accaduto fondamentalmente ad opera di due fattori: la vittoria di Lula in Brasile – ma, più in generale, l’avanzata delle sinistre e la ripresa delle lotte sociali di massa in America Latina – e l’imminente minaccia di guerra. Da un lato – come è stato osservato nel corso di una riunione della delegazione del Prc – questo terzo Forum è diventato “il Forum di Lula e Chavez”. D’altro lato – per riprendere una sintetica formulazione di João Pedro Stedile, leader del Movimento dei Sem Terra e membro del comitato organizzatore del FSM – “Bush e Sharon hanno conseguito un ottimo risultato: hanno unito tutti noi, contro di loro”. Piaccia o non piaccia, a seconda che si sottolinei più o meno positivamente la forte influenza del contesto sul carattere generale e sul lavoro delle articolazioni tematiche del Forum, è un fatto che senza la considerazione del peculiare clima politico sudamericano non si potrebbe capire nulla di questo terzo incontro mondiale.

2) L’ascesa a primo cittadino del Brasile di un ex-operaio tornitore meccanico (“il compagno Lula”) ha dato nuovo vigore alle aspettative e alle speranze di un continente già risvegliato alla lotta politica dalla resistenza che il legittimo governo venezuelano di Chavez sta opponendo ai tentativi golpisti dell’oligarchia locale, dalla vittoria di Lùcio Gutierrez in Equador, dall’avanzata elettorale delle sinistre in Bolivia, dalla guerra civile che da anni è in corso in Colombia, dal duro scontro sociale in atto in Argentina. Oggi, Cuba non sembra affatto sola. Un intero continente, drammaticamente impoverito dalle politiche capestro imposte da organismi che – come è noto – sono di fatto al servizio dell’espansionismo economico e militare statunitense, ha rialzato la testa. Questa congiuntura sociale e politica non solo ha infiammato le manifestazioni di piazza, indette contro l’Alca – l’accordo di libero commercio per il continente Latino-americano fortemente voluto dagli Usa – e caratterizzate da una proliferazione di contenuti antimperialisti, ma ha impresso un segno inequivocabile al FSM nel suo complesso (significativo, ad esempio, il fatto che il documento finale del Forum delle Autorità Locali, la sezione “istituzionale” limitrofa all’assise generale, si sia esplicitamente espresso contro “il neoliberismo e le politiche degli stati imperialisti”). Portoghese e spagnolo sono state dunque le lingue dominanti del Forum. E, nella conclusiva assemblea plenaria, l’Internazionale è stata cantata dalle migliaia di presenti in portoghese: è giusto così e non poteva che essere così. Non a caso, rispetto alle passate edizioni, accanto ad una più consistente presenza di forze sindacali, si è riscontrata un’inversione di tendenza rispetto all’ostracismo nei confronti di esponenti di partiti politici e di rappresentanti statuali. Tra i partecipanti figuravano delegati dei partiti comunisti (non solo sudamericani), tra cui particolarmente nutrita la delegazione cubana, guidata da tre ministri e comprendente un cospicuo numero di amministratori e dirigenti politici. Ed è parso del tutto naturale che iniziative formalmente non incluse nel Forum – in particolare, il comizio di Ignazio da Silva detto Lula e l’arrivo a Porto Alegre di Hugo Chavez – siano di fatto divenute momenti politicamente significativi e affollati del Forum stesso. All’interno del teatro dell’Assemblea Legislativa di Porto Alegre, Chavez ha monopolizzato per circa tre ore l’attenzione di 2 mila persone (ma altrettante sono rimaste accalcate fuori dell’edificio), salutando il FSM e ringraziandolo “con tutto il cuore per il solo fatto di esistere, poiché qui oggi si condensano le speranze del mondo”. Nel descrivere minuziosamente la recente storia del suo paese e la delicata situazione cui attualmente sta facendo fronte, egli ha precisato che questo contributo di conoscenza non è meramente accademico ma riveste un grande valore di prospettiva per tutti, non solo per l’America Latina: “Qui si sta costruendo un’alternativa al modello neoliberista che minaccia di distruggere il nostro pianeta: o noi ci sbarazziamo del neoliberismo o il neoliberismo si sbarazzerà di noi”. Circondato dal medesimo entusiasmo, nell’immenso e gremito spazio aperto a forma di anfiteatro della Por do Sol, Lula dal canto suo ha ribadito la necessità di politiche ispirate al rifiuto della guerra e alla redistribuzione della ricchezza prodotta. Rispondendo a Emir Sader, l’autorevole intellettuale che – qualche giorno prima – si era espresso contro la partecipazione del presidente brasiliano al Forum Economico di Davos (“riunione dei grandi magnati del neoliberismo mondiale”, luogo simbolicamente contrapposto a Porto Alegre da dove essi “hanno esibito per tutti gli anni ’90 la loro politica e la loro ricchezza, il loro disprezzo per la povertà e la fame del mondo”), egli ha chiesto ed ottenuto per acclamazione un vero e proprio mandato: “Vado a Davos in quanto rappresentante dei dannati della terra e posso farlo solo perché tutti voi mi date la forza per farlo”.

3) Beninteso la prospettiva è tutt’altro che semplice, essendo gli Usa avvezzi – come è noto – a considerare l’America Latina il proprio “giardino di casa”. La portata della posta in gioco è ben delineata ancora una volta da Stedile: “(Gli Usa) cercano di mantenere l’accesso alle fonti di energia e di recuperare i loro tassi di profitto. Ogni volta che il capitalismo entra in crisi, fa sempre appello alla guerra e all’industria bellica come forma di recupero del processo di accumulazione del capitale (…) In tutta l’America Latina essi hanno imposto la collocazione di basi militari: si sono piazzati in Equador e in Bolivia; ora tentano di mettere i piedi in Argentina e Paraguay. In Brasile, hanno stretto un accordo per l’uso della base aerea di Alcântara ed hanno imposto al precedente governo di Cardoso l’istallazione di un sistema di controllo dell’Amazzonia, attraverso satelliti, radar e un potente sistema informatico, costruiti dalle loro imprese e che garantiscono un totale accesso ad informazioni e dati dell’intera zona. Non soddisfatti, chiedono ancora di attivare l’Alca, un piano strategico che punta a sottomettere il territorio, le ricchezze, l’economia, gli investimenti, l’agricoltura, le sementi, la cultura, le banche centrali, i servizi pubblici dei paesi latino-americani a profitto delle imprese statunitensi. Ottenendo così di superare più rapidamente la crisi ed affrontare in condizioni migliori la concorrenza con le imprese di Europa e Asia (…). Dietro la militarizzazione del continente, si profila l’obiettivo di garantirsi un accesso illimitato al petrolio equadoriano, colombiano e venezuelano, nonché ai beni della biodiversità amazzonica e dell’acqua potabile”. Davanti alle mire egemoniche del gigante statunitense, le nuove forze di governo della sinistra latino-americana – Brasile in testa – puntano ad un percorso non facile di accumulo delle forze, ritagliandosi margini di autonomia in vista di due obiettivi irrinunciabili: un coordinamento delle politiche progressiste continentali (è evidente che il rilancio del Mercosur, il patto di integrazione economica sudamericana, è oggettivamente destinato ad entrare in rotta di collisione con l’ispirazione e i propositi dell’Alca) e, in secondo luogo, il conseguimento di una soglia minima di vivibilità sociale e di tenuta democratica dei singoli paesi. Per il Brasile di Lula ciò deve tradursi con urgenza nell’avvio di una decisa riforma agraria, che riduca in termini consistenti la concentrazione di ricchezza nelle mani dei rentiers e dia spazio all’impiego di capitale produttivo per la creazione di nuove opportunità di lavoro. Come si vede, si tratta di una tipica congiuntura di transizione: in questo quadro, appaiono inevitabili momenti di interlocuzione e mediazione con i settori più dinamici e a vocazione democratica della borghesia nazionale; così come è assolutamente vitale il mantenimento di un alto livello di mobilitazione sociale. Tale complessità rende conto della molteplicità di istanze politiche cui la coalizione raccolta attorno al Pt (il Partito dei Lavoratori) ha dovuto prestare orecchio: una complicata sintesi entro cui Lula sembra avere più problemi dal lato della sinistra interna al Pt che non da quello di alleati tradizionali quale è, ad esempio, il Partito Comunista del Brasile; una sintesi che deve tenere insieme il realismo di un’attenta considerazione delle condizioni obiettive e la spinta soggettiva alla trasformazione profonda della realtà sociale e dei meccanismi di produzione e redistribuzione della ricchezza.

4) La tensione politica implicata in un tale contesto non ha mancato di riversarsi nel FSM. Si può meglio comprendere, alla luce di quel che si è detto, quale segno il suddetto clima abbia ad esempio conferito al tema della democrazia partecipativa: non un’istanza neutrale, una camera di compensazione del conflitto sociale che affianca il normale decorso istituzionale, ma tutt’al contrario uno strumento di lotta connotato dal punto di vista di classe e indissolubilmente connesso al conseguimento di obiettivi sociali essenziali. Allo stesso modo, si è registrata un’unanime opposizione alla minaccia di guerra: su tale decisiva questione, gli stessi esponenti europei dell’Internazionale socialista (tra i tanti, da segnalare l’influente voce dell’ex presidente del Portogallo, Màrio Soares) hanno espresso questa volta una condanna netta della politica bellicista attuata in dispregio dei diritti dei popoli da Bush e Sharon.
Abbiamo scelto di dislocare queste valutazioni su una dimensione politica più generale, perché qui ci è sembrato palesarsi il connotato più interessante di questo terzo FSM. Ciò evidentemente ci preclude la possibilità di soffermarci sul dettaglio della ricca gamma di tematiche affrontate nelle centinaia di appuntamenti seminariali del Forum: dalla questione della pace al tema dell’escalation nelle spese militari, dalla cancellazione del debito dei paesi del Terzo e Quarto Mondo al controllo dei flussi di capitale, dalla difesa della biodiversità alla sovranità alimentare e ad una gestione della risorsa acqua sottratta agli appetiti del profitto, dalla tutela della disponibilità pubblica dei beni e dei servizi essenziali alla battaglia per l’estensione dei diritti sociali a cominciare dal diritto al lavoro, dalla differenza di genere alla promozione della diversità culturale e linguistica, dal problema di un accesso alle nuove tecnologie che non sia limitato a pochi privilegiati alla questione di un’informazione non distorta e non orientata sulla base degli interessi dell’establishment. Né peraltro un tale compito potrebbe mai essere alla portata di chiunque sia sprovvisto del dono dell’ubiquità. La consueta pluralità delle ispirazioni politico-culturali (da quella marxista alla pacifista, da quella ambientalista alla cattolica) ha confermato ancora una volta la vocazione all’apertura, il carattere dialogante di questo incontro internazionale.
Prima di chiudere, è bene però toccare un paio di punti problematici, emersi dalle pieghe della discussione e concernenti il futuro assetto politico-organizzativo del FSM. In primo luogo, resta tutta aperta la ricerca di una più stretta connessione tra il valore politico-simbolico del FSM come tale nonchè dei suoi indirizzi complessivi e la specifica efficacia delle tematiche settoriali, in particolare rispetto ad un’effettiva applicazione di queste medesime istanze nelle concrete politiche (nazionali e locali) dei rispettivi paesi di provenienza. C’è insomma l’esigenza di contestualizzare, di finalizzare l’articolazione degli approfondimenti alla costruzione di “strategie” mirate, da perseguire nel corso dell’anno che separa ciascun Forum da quello successivo. La stessa crescita in dimensioni e responsabilità che presiede all’esigenza di adeguamento “strategico” delle linee di sviluppo tematico del Forum comporta, in secondo luogo, la necessità di conferire all’assise mondiale un livello di coordinamento politico-organizzativo che sia all’altezza della molteplicità di aree territoriali e movimenti sociali progressivamente implicati. Com’è noto, alla nascita del FSM ha dato un preponderante impulso un nucleo di associazioni brasiliane: queste stesse associazioni sono poi andate a costituire la segreteria organizzativa del Forum (non a caso tenutosi sinora sempre a Porto Alegre) e ad esse è stata riconosciuta una percentuale rilevante nella composizione del Consiglio Internazionale, l’organismo che orienta e coordina l’organizzazione e le adesioni al Forum stesso. Come è stato unanimemente riconosciuto, questa situazione ha espresso di fatto il ruolo svolto e i meriti acquisiti nella strada sin qui percorsa. Tuttavia, con il moltiplicarsi delle aree territoriali e delle forze sociali, associative e politiche che contribuiscono allo svolgimento del Forum, con la riuscita dei Forum tematici e dei Forum continentali di Europa e Asia, sono sorte nuove esigenze: sia per quanto concerne la rotazione della sede del Forum mondiale, sia per quel che riguarda il riequilibrio e l’allargamento della composizione del Consiglio Internazionale. La scelta dell’India, quale nazione ospitante il prossimo Forum del 2004 si spiega appunto con il suddetto ordine di considerazioni (unito, tra l’altro, ad un’ineludibile esigenza di trasparenza: il FSM, secondo una stima approssimata, muove complessivamente un giro finanziario attestato tra i 20 e i 26 milioni di dollari). La mediazione raggiunta, dopo una serrata discussione in seno al Consiglio, prevede di riportare il Forum a Porto Alegre nel 2005.