Ucraina: ai piedi della NATO?

*Segreteria Regionale PRC Emilia-Romagna. Studioso ed esperto di questioni internazionali

IL RUOLO DEGLI USA, DELLA NATO, DELL’UNIONE EUROPEA E DELLA RUSSIA NELLA CRISI DELL’UCRAINA. LE POSIZIONI DEI COMUNISTI.

In queste ultime settimane il mondo pare di colpo aver riscoperto l’Ucraina, antica culla della Rus’, paese che in Italia conosciamo solamente come esportatore di colf e terra natale di Shevchenko. Il tentativo di queste note è di abbozzare un primo ragionamento sulle origini dell’attuale crisi, mentre i mezzi di comunicazione in Occidente sono, di fatto, schierati con “l’opposizione”, scesa in piazza a contestare l’esito del voto presidenziale. Se sull’Iraq l’asse transatlantico Stati Uniti-Ue ha rischiato di incrinarsi sensibilmente, sull’Ucraina si è riannodata l’unità perduta e tanto agognata.

PUTIN, LA NATO E L’UCRAINA

Con la fine dell’URSS e la vittoria delle forze controrivoluzionarie l’Ucraina ha subito, come la Russia eltsiniana, le devastazioni del neoliberismo e di un modello di transizione teso a favorire unicamente la “borghesia compradora” e le multinazionali occidentali. Tanto Kravciuk (1991-1994) quanto Kuchma hanno di fatto favorito la svendita del patrimonio industriale e produttivo del paese, con gravissime conseguenze sul piano sociale, mascherandosi dietro una retorica daitoni fortemente nazionalistici. Il paese è stato depredato senza ritegno alcuno, tanto che “l’Ucraina, la ricca Ucraina, quella che era il granaio dell’URSS e uno dei suoi pilastri industriali, conosce un totale dissesto, con un crollo impressionante sia per l’industria che per l’agricoltura… L’indipendenza, anziché galvanizzare il paese, lo ha demoralizzato e ha aggravato la divisione fra regioni occidentali e orientali, queste ultime sentendo assai forte il richiamo di un saldo quanto antico legame con la Russia” (Boffa, 1997). Nonostante esistesse una contraddizione evidente all’interno delle oligarchie al potere in Ucraina, in parte legate all’allora primo ministro Viktor Juschenko e sostanzialmente favorevoli ad un’accelerazione del processo di integrazione della ex repubblica sovietica all’interno del sistema di alleanze euroatlantico, ed in parte al capitale industriale del sud e dell’est, legato mani e piedi alla Russia e forte del sostegno del Presidente Kuchma, il quadro ha subito una progressiva quanto inesorabile modifica a partire dalla fine del 1999, con l’ascesa al potere di Putin. Il processo di graduale ricostruzione di una base economica nazionale nella Russia devastata e razziata dagli oligarchi e dall’Occidente, funzionale ad una collocazione autonoma di Mosca nel contesto internazionale, ha avuto un effetto dirompente in Ucraina, dove ha prodotto una lacerante divisione delle oligarchie al potere. Divisione ulteriormente approfondita dal tentativo di Putin di ricostruire il sistema di alleanze nell’area dell’ex Urss, da un decennio oggetto delle mire egemoniche degli Stati Uniti e del nascente imperialismo europeo (espansione Nato e Ue).
Il 2001 è stato l’anno della prima, grande crisi a Kiev, caratterizzata da contestazioni di massa contro Kuchma guidate dalle forze di ispirazione nazional-liberale, forti del sostegno dell’Occidente e del governo Juschenko. Con i comunisti che manifestavano con modalità e piattaforma alternative. La reazione occidentale contro il Presidente ucraino, reo di aver incontrato nel febbraio Putin per sottoscrivere una serie di accordi bilaterali, è stata a dir poco rabbiosa, nonostante quest’ultimo, politico scafato e camaleontico, non avesse alcuna intenzione di rompere con chi lo aveva fino ad allora protetto e coccolato.
Così si è espresso George Soros, magnate statunitense e grande finanziatore del golpe dell’ottobre 2000 a Belgrado: “L’Ucraina come stato democratico indipendente ha un futuro incerto… I governi occidentali sono già coinvolti nelle vicende dell’Ucraina, tra le ex repubblichesovietiche quella che riceve la quota maggiore di aiuti dagli Stati Uniti … L’Occidente deve prendere ora una posizione chiara, e denunciare il comportamento e le azioni del presidente ucraino” .
Kuchma, dopo aver vinto il braccio di ferro con la protesta, ha rimosso nel maggio 2001, grazie al sostegno determinante dei comunisti, il primo ministro Jushenko, costringendo così le cancellerie occidentali a sostituire le proteste di piazza con la pressione politica e diplomatica. Pressione che si è tramutata in vera e propria ingerenza già nel corso delle elezioni politiche del marzo 2002, caratterizzate da un’avanzata di Juschenko, pur se nel contesto di una tenuta di Kuchma e con i comunisti al 20%. Questo il commento di Serghej Markov, direttore dell’Istituto di Ricerche Politiche di Kiev: “Ci siamo sempre messi a disposizione delle forze di opposizione, più che di quelle al potere, per ogni questione. Abbiamo constatato che l’opposizione intendeva manipolare le cifre, utilizzare sondaggi falsi, per organizzare una forte pressione sul potere. Perciò sono arrivato alla conclusione che l’opposizione è sul punto di organizzare manifestazioni di massa nella variante jugoslava, per cercare di assestare un violento colpo al potere statale.
È questo il principale pericolo. Non penso che riusciranno nel loro intento, ma è evidente che, stando anche ai risultati ufficiali, i nemici del presidente, a Kiev, dove potrebbero essere organizzate le dimostrazioni, hanno ottenuto più della metà dei consensi.
Ora la situazione in Ucraina è molto complicata. Il nostro compito primario è quello di difendere l’indipendenza del paese, perché l’opposizione, che si è avviata sulla strada della preparazione di uno scenario jugoslavo, potrà contare senza alcun dubbio sul sostegno dei più intransigenti nemici della Russia, a cominciare dal gruppo Brzezinski-Albright ”.
Parole quasi profetiche.

LA LUNGA FASE PRECEDENTE LE ELEZIONI PRESIDENZIALI

Nonostante l’estremo tentativo di Kuchma di rassicurare gli Stati Uniti, inviando un contingente di occupazione di 1.600 uomini in Iraq sotto comando polacco, le ingerenze di Washington in Ucraina sono costantemente aumentate in vista delle cruciali elezioni presidenziali dell’ottobre-novembre 2004. Quale migliore occasione per tentare la spallata finale, data anche la non ricandidabilità di Kuchma? Alla fine di marzo Soros ha compiuto un viaggio in Crimea per partecipare ai lavori di un Forum dal titolo significativo “I diritti dei cittadini nelle fasi elettorali”, al quale hanno preso parte oltre un centinaio di organizzazioni ucraine per la difesa dei diritti civili. Quelle che seguono sono alcune dichiarazioni dell’influente uomo di affari riportate da diverse agenzie di stampa: “Mi trovo qui non per fare una rivoluzione, come sono stato accusato di aver spalleggiato in Georgia, ma solamente per parlare a sostegno di elezioni giuste, onorevoli ed aperte”. Ancora: “L’Unione Europea deve intensificare le proprie attività in Ucraina, Moldavia (dove governano i comunisti, nda) e Georgia.”, utilizzando il vecchio strumento del “bastone e della carota” . Ai primi di ottobre, un mese prima del voto, il Congresso USA, dopo aver denunciato per bocca della repubblicana Dana Rorabaker che “attualmente le elezioni non si stanno svolgendo in modo corretto e libero e le risorse governative vengono utilizzate per esercitare il controllo sui risultati elettorali”, ha stanziato qualcosa come 14 milioni di dollari a sostegno della candidatura di Juschenko.
Ha inizio, a questo punto, una sistematica e preventiva campagna di denuncia di potenziali brogli e frodi perpetrate dai sostenitori del candidato vicino a Kuchma, il primo ministro Janukovic, a danno del legittimo vincitore, forte di alcuni sondaggi preconfezionati. Tanto che L’ Unità, il giorno del primo turno (Mura, 31/10), ha scritto: “c’è chi parla di un possibile “golpe bianco” sul tipo di quello avvenuto in Georgia nel caso che il candidato dell’opposizione, che ora sembra in vantaggio, venisse sconfitto. Juschenko ha già dichiarato che in questo caso si appellerà alla piazza per denunciare la truffa elettorale e chiedere nuove elezioni” . Poche righe più sopra la stessa giornalista aveva tuonato: “non c’è da stupirsi che l’orso russo abbia messo la sua zampa sulle elezioni ucraine come fossero di propria competenza”. Da manuale della malafede. Per non parlare degli scenari di repressione descritti lo stesso giorno da La Repubblica.
Quasi scontato, di fatto, l’esito del primo turno, con i due maggiori candidati quasi alla pari (39,18% Juschenko, contro il 40,12% di Janukovic) e con Stati Uniti ed OSCE pronti a sfornare exit-poll alternativi e gridare allo scandalo, nonostante la presenza ai seggi di migliaia di osservatori stranieri con una libertà di movimento e di azione pressoché totali.

TUTTO È RIMANDATO AL BALLOTTAGGIO

Così La Repubblica descrive i candidati: “Il riformista Juschenko, nazionalista euro-entusiasta e con una moglie americana che ha lavorato al dipartimento di Stato con Clinton, promette di avvicinare l’Ucraina a Ue, Nato e Wto. Il cremliniano Janukovic, incoronato erede di Kuchma da un invito nella dacia di Putin per il compleanno, assicura invece la tutela degli interessi russi nel paese e il sostegno ucraino alla nuova comunità economica comune (con Bielorussia e Kazakhstan) guidata da Mosca. La guerra fredda si riaffaccia bollente: lardo e dollari contro petrolio e rubli” (Visetti 31-10).
Se volessimo brutalizzare la differenza, potremmo forse definire Janukovic come il rappresentante tanto della borghesia nazionale ucraina, preoccupata dai contrac-colpi che l’integrazione nella Ue e nella Nato potrebbe determinare per il sistema economico del paese, quanto di quella parte dell’oligarchia che, pur se divisa, è cresciuta all’ombra di Kuchma e guarda con interesse a Mosca. Juschenko, al contrario, forte dell’appoggio di Washington, Bruxelles e della destra nazionalista e fascista dell’occidente ucraino, ha più volte ribadito la necessità di accelerare l’integrazione euroatlantica e le riforme economiche a favore della “borghesia compradora” e del capitale occidentale.
A fianco dell’attuale primo ministro Janukovic si sono schierati il piccolo ma combattivo Partito Progressista Socialista di Ucraina, guidato da Natalya Vitrenko, e parte del Partito Comunista Ucraino (Grac ed i comunisti di Crimea), mentre assai più sfumato e prudente è stato l’atteggiamento di Simonenko, segretario generale del partito, che si è limitato, di fatto, ad accusare Kuchma di lavorare per Juschenko.
Il giorno del ballottaggio (21 novembre) la tensione era già alle stelle. Subito dopo la chiusura delle urne, sono stati diffusi sondaggi che davano largamente vittorioso Juschenko, mentre migliaia di persone scendevano in piazza a Kiev per accusare le autorità di voler modificare il responso delle urne attraverso brogli e falsificazioni su vasta scala. Dopo la lettura dei dati finali dello scutinio da parte della Commissione Elettorale Centrale, che attribuivano a Janukovic il 49,46% (15,1 milioni di voti), contro il 46,61 di Juschenko (14,2 milioni di voti), abbiamo assistito ad un copione già messo in onda con successo nell’ottobre 2000 a Belgrado : assedio ai palazzi del potere, mentre Stati Uniti ed Ue diffidano le autorità ucraine dal ratificare il risultato elettorale, minacciando serie conseguenze in caso contrario. Con Putin che, dall’altra parte, dopo aver accusato Washington ed Bruxelles di ingerenza negli affari interni di un paese sovrano, dichiarava: “Sappiamo in quali condizioni di difficoltà si sono svolte le elezioni in Afghanistan, sappiamo come sono andate le elezioni nel Kosovo, dove centinaia di migliaia di serbi, cacciati dalle loro case, non hanno potuto prendere parte alla votazione. Conosco le conclusioni che l’OSCE ha tratto anticipatamente in merito alle elezioni in Iraq, e anche voi le conoscete. Se in futuro qualcuno utilizzerà l’OSCE per raggiungere i propri obiettivi politici, allora questa organizzazione perderà la propria autorità nel mondo”. A buon intenditor, poche parole.
Il resto è cronaca di queste ore, con le regioni fedeli a Janukovic pronte a dichiarare l’autonomia nel caso Juschenko riuscisse a ribaltare l’esito del voto, con migliaia di minatori del Donetsk e lavoratori metalmeccanici che, dopo aver minacciato di marciare su Kiev, sono scesi in piazza a difesa del risultato elettorale. Con la “nuova Europa” di Rumsfeld pronta ad in’interessata mediazione (Polonia e Lituania insieme a Solana) ed un compromesso che potrà essere valutato a fondo solamente nei prossimi giorni, ma che non esclude la possibilità di ulteriori e rapide precipitazioni della crisi. Ad oggi, Janukovic non è Presidente, ma la spallata finale dell’opposizione liberista e filo-imperialista non è riuscita, nonostante la grande ambiguità che ha contraddistinto l’atteggiamento dello stesso Kuchma.
Interessante, a tal proposito, quanto dichiarato dal comunista Grac alla vigilia del ballottaggio: “Il secondo turno sarà pesantissimo dal punto di vista della situazione politica. Dal punto di vista dell’eccitazione delle piazze, delle provocazioni, delle mistificazioni. Lo abbiamo già vissuto nel 1990-1991, quando le stesse forze hanno preso d’assalto la capitale e hanno fatto la controrivoluzione. All’epoca delle cosiddette “rivoluzioni delle capitali”, in realtà è passata la controrivoluzione. Ma coloro che si apprestano a mettere sottosopra Kiev, devono sapere che oggi esistono potenti opinioni regionali. Le regioni diranno la loro. E sicuramente, tra queste, ci sarà la Crimea. Se qualche signore pensa che controllare il viale Kreshatik significhi avere già conquistato il potere, pensi bene a quello che fa, perché allora in piazza potrebbe scendere il resto dell’Ucraina” .

CHI HA ORGANIZZATO “GLI ARANCIONI” DI KIEV?

Nulla di quanto accaduto in queste settimane in Ucraina è stato spontaneo e casuale, bensì il frutto di una meticolosa organizzazione, finanziata dall’esterno, che ha visto coinvolti diversi soggetti. Esattamente come nel 2000 a Belgrado. Vale la pena addentrarci, oggi come allora, in un tentativo di analisi, ben sapendo di camminare su un terreno accidentato.
Illuminante, a tal proposito, quanto scrive il Guardian (Traynor 26-11): “Mentre i vantaggi della “rivoluzione chestnut” dipinta di arancione appartengono all’Ucraina, la campagna è una creazione americana, un’esercitazione sofisticata e brillantemente ideata, col marchio occidentale ed una dimensione di massa, utilizzata in quattro paesi nel corso di quattro anni nel tentativo di recuperare processi elettorali manomessi e rovesciare regimi sgraditi. Fondata ed organizzata dal governo degli Stati Uniti, dispiegando specialisti, sondaggisti e diplomatici, dai due grandi partiti americani e dalle organizzazioni non governative, la campagna è stata per la prima volta utilizzata in Europa nel 2000 a Belgrado, con l’obiettivo di sconfiggere Milosevic nell’urna. Richard Miles, ambasciatore USA a Belgrado, ha giocato un ruolo chiave. E dall’anno scorso, come ambasciatore a Tiblisi, ha ripetuto il trucco in Georgia… Tre mesi dopo il successo avuto a Belgrado, l’ambasciatore USA a Minsk, Michael Kozak, un veterano di simili operazioni in America Centrale, e precisamente in Nicaragua, ha organizzato una campagna pressoché identica per tentare di sconfiggere l’uomoforte di Belarus, Alexander Lukashenko. Quella è fallita… Ma l’esperienza acquisita in Serbia, Georgia e Bielorussia è stata assai preziosa nell’organizzazione del progetto per rovesciare il regime di Leonid Kuchma a Kiev”. Determinante, a Tiblisi come a Minsk e Kiev, il contributo dei giovani belgradesi di Otpor, già protagonisti nel 2000 e tra i fondatori del movimento studentesco Ukrainian Pora. Ancora il Guardian : “Ufficialmente il governo USA ha investito 41 milioni di dollari nell’organizzare le operazioni di lungo periodo per rovesciare Milosevic, a partire dall’ottobre 1999. In Ucraina la cifra parrebbe aggirarsi sui 14 milioni di dollari”. Tra i finanziatori, ovviamente, compare anche il nome di Geroge Soros.
Conclusione: “Se gli eventi a Kiev dovessero dare ragione agli USA nella loro strategia di aiuto agli altri popoli per vincere le elezioni e conquistare il potere contro regimi antidemocratici, sicuramente l’esercizio verrà tentato dovunque nel mondo post-sovietico. I luoghi da verificare sono la Moldavia ed i paesi autoritari dell’Asia Centrale”. Ecco spiegati, in breve, il viaggio di Soros in Crimea, la destinazione dei fondi stanziati dal Congresso USA e… le inaccettabili ingerenze russe tanto duramente stigmatizzate da L’Unità!
Colpisce, infine, il fatto che alcuni degli organizzatori delle manifestazioni di Kiev e di Belgrado, intervistati in questi giorni, si esprimano con un linguaggio evocativo ed “innovativo” affermatosi anche in Italia nella fase precedente a Genova e che continua a caratterizzare una parte del “movimento dei movimenti”. Scampoli di “disobbedienza” al servizio dell’imperialismo.

LA POSTA IN PALIO E LA FUNZIONE DEI COMUNISTI

Secondo quanto sostenuto dallo specialista statunitense Robert Cutler già nel febbraio 2001 (Istituto di Studi Europei e Russi, Università di Carleton): “mentre la Bielorussia è un paese regionale, l’Ucraina è un paese strategico… La connessione dell’Ucraina alla Russia può costituire un ostacolo alla sua integrazione all’ovest… Il meeting del G7 del 1994 a Winnipeg, in Canada, ha messo in grande rilievo, nell’esaminare e promuovere le riforme in Ucraina, la necessità di dare sbocco alle aspirazioni dell’Ucraina di ricongiungersi all’Occidente” .
La vittoria di Juschenko significherebbe, inevitabilmente, un’ulteriore e prepotente espansione della Nato ad est, come parte di un progetto complessivo di penetrazione economica e militare verso l’Asia, tentando così di condizionare non solamente l’emergere di potenze rivali sul piano geostrategico, a partire soprattutto dalla Cina, ma anche l’affermazione di un ipotetico “asse asiatico” nel contesto della globalizzazione capitalistica.
A questo, di fatto, sono servite le guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq, come ormai emerso da diversi ed importanti studi e saggi.
L’obiettivo dichiarato di Washington è “destabilizzare la stessa Federazione Russa” .
Nonostante il sostegno di Putin a Bush, Brzezinski, sempre lui, ha valutato in questo modo la situazione ucraina: “Ciò che sta avvenendo a Kiev avrà ripercussioni nella Federazione Russa. Non ci troviamo di fronte a un evento di importanza secondaria. Una vittoria della democrazia a Kiev rafforzerebbe chi a Mosca si batte e vuole la democrazia (gli oligarchi che per un decennio hanno affamato il popolo russo e finanziato tanto Eltsin quanto i separatisti ceceni. nda). Una sconfitta della democrazia a Kiev invece darebbe forza a chi a Mosca persegue disegni nostalgici ed è animato da propositi illiberali e dispotici” . Chiaro e semplice.
A ragione, allora, l’intellettuale marxista russo Dmitrij Jakushev nota che “è addirittura possibile affermare che l’Ucraina sta attraversando il suo “momento della verità”, che assume un significato storico per tutto il mondo. È proprio in Ucraina che oggi si manifestano le più acute contraddizioni mondiali. La Russia non può permettere che qui si affermi un regime nazionalista ad essa ostile, perché in tal caso sarebbe la stessa Russia ad avere i giorni contati. La Russia non può esistere senza l’Ucraina, sua parte costitutiva indispensabile. L’Occidente, invece, non può permettere che l’Ucraina cada sotto l’influenza della Russia. Ci troviamo di fronte ad una contraddizione che può essere risolta solo con la forza…” La collocazione dei comunisti in questo contesto continua ad essere oggetto di un approfondito dibattito in diversi paesi dell’ex Urss, con esiti a volte drammatici, come nel caso del PCFR. Interessante, a tal proposito, quanto dichiarato dalla comunista ucraina Tamila Yabrova, parlando dei due contendenti: “Si tratta di due rappresentanti del capitale monopolistico, ma c’è una differenza. Juschenko rappresenta unicamente il capitale americano. Si serve dei fascisti e dei nazionalisti come truppe d’assalto. Noi non idealizziamo l’altro candidato, Janukovic. Ma egli rappresenta anche gli interessi della borghesia ucraina, quella che vuole mantenere integra l’industria nell’est e nel sud del paese. Che è favorevole allo sviluppo della classe operaia. Quando c’è lavoro, il movimento operaio è più forte…
Il nostro obiettivo, qui, non è al momento quello di rovesciare il capitalismo, ma di difendere la nostra indipendenza contro gli Stati Uniti. L’imperialismo americano vuole estendere la sua influenza e stabilire il suo monopolio sulla regione. Vuole privare la Russia del petrolio attorno al Caspio. In questa situazione concreta, noi di conseguenza sosteniamo Janukovic contro Juschenko. Lenin ci insegna che non dobbiamo solamente utilizzare le contraddizioni tra capitalisti, ma persino la più piccola crepa nel fronte dei capitalisti” .

(la versione integrale dell’artcolo con le note è consultabile sul sito www.lernesto.it)