Intervento di Gianluigi Pegolo alla Direzione Nazionale del PRC
di Ginaluigi Pegolo
su L’ERNESTO del 27/01/2008
Nell’intervento del segretario vi è, a mio avviso, una contraddizione insanabile fra giudizio sulla situazione politica e sociale – che condivido – e la proposta politica. In premessa, voglio dire che mi pare un’analisi troppo semplicista quella che interpreta la crisi essenzialmente come il risultato del tradimento di Mastella. Non scherziamo, vi è stato certamente anche questo ed è senz’altro vero che i centristi hanno sempre minacciato questa coalizione, ma come si fa a non vedere che la crisi si consuma anche per effetto di una proposta di elegge elettorale che ha messo in subbuglio un bel numero di partiti dell’Unione o, ancora, che il segnale lanciato da Veltroni – correremo da soli ha detto , vi ricordate? – ha segnato di fatto la fine dell’Unione?
Sono d’accordo sul fatto che la crisi mette in evidenza una rottura nel rapporto con la società, anche se personalmente non mi convince il ricorso a categorie quali “crisi della politica” che appaiono troppo vaghe e che tendono ad accreditare l’idea- sbagliata – di una rottura sul piano “orizzontale” fra politica in toto e società, quando invece è sempre più evidente che siamo di fronte principalmente ad una crisi sul piano “verticale”, che tocca in modo particolare le componenti progressiste e di sinistra, come peraltro tutti possono facilmente constatare nel momento in cui, anche solo come esercizio mentale, si pensi al possibile esito delle prossime elezioni.
Quello che, invece, è vero è che la crisi della sinistra sta assumendo caratteri drammatici ed è senz’altro vero che essa coinvolge ormai dimensioni etiche.
Il punto è che se la crisi è di tali dimensioni, la proposta che qui ci viene fatta – e cioè quella di concorrere alla nascita di un governo istituzionale – va nella direzione non di sanare tale crisi ma di portarla alle estreme conseguenze. La proposta, cioè, apre solchi ancora più grandi fra sinistra e società, rischia di dilatare a dismisura i consensi alle destre e di determinare l’implosione di Rifondazione Comunista.
Ma vengo al merito, perchè le argomentazioni a sostegno della proposta mi paiono davvero prive di alcuna credibilità. Innanzitutto, come si può pensare di reggere di fronte all’evidente malcontento popolare e alla delusione che percorre il popolo della sinistra nel momento in cui si desse vita ad un governo sostenuto oltre che dal PRC da Casini o da Berlusconi? Si ha un bel parlare di crisi morale nel momento in cui anche solo per pochi mesi ci si acconcia a governare con l’UDC di Cuffaro! L’impatto anche emotivo di una tale compresenza sarebbe micidiale per il nostro partito e sono davvero sorpreso che si consideri questo fatto come irrilevante, quasi che si potesse passare tranquillamente a questa condivisione di responsabilità, senza che ciò producesse effetti sul nostro rapporto di massa.
Un secondo argomento che mi pare privo di consistenza è l’idea che il “governo di scopo” – formula che davvero fa sorridere – dovrebbe limitare il suo intervento alla sola legge elettorale, evitando di occuparsi d’altro. Premesso che nella stessa relazione del segretario vi è molta vaghezza su questo punto (ed anzi si coglie in alcuni passaggi il desiderio di usare questa parentesi tecnica per affrontare alcune questioni come la distribuzione del nuovo tesoretto fiscale), resta il fatto che un simile governo giocoforza dovrà intervenire su alcune questioni urgenti. Penso al rinnovo delle missioni all’estero o ad alcune scelte in materia economico-sociale. Peraltro, per quale motivo lo stesso Montezemolo è fra gli sponsor del governo di scopo se non per spartirsi appunto quelle risorse? Come vedete, quello dell’assoluta neutralità del nuovo governo rispetto alle scelte economico-sociali è una pia illusione. Non sarà così e lo si sa anche se non lo si vuole ammettere. Si può ben immaginare a quali compromessi s potrebbe giungere con una coalizione di sinistra –centro –destra che affrontasse questi temi. Non ne parlo perché mi vengono i brividi a pensarci.
Il terzo argomento – ma in realtà il primo per importanza – che è stato utilizzato nella relazione è quello della necessità di una nuova legge elettorale. Premesso che quando si entra in certi campi si sa come si comincia ma difficilmente come se ne esce, prendiamo per buona l’affermazione secondo cui si dovrebbe approvare la “bozza Bianco”. Mi chiedo: cosa ne è del tentativo, più volte dichiarato, di voler modificare quella proposta? Ciò significa che si considera il voto congiunto per la scelta degli eletti nei collegi uninominali e per l’espressione del voto di lista come acquisito? La qual cosa però, come tutti sanno, significa che le due forze maggiori otterranno un surplus di seggi rispetto alle altre forze politiche e ciò significa anche che con questo meccanismo si dà l’avvio ad un percorso di tendenziale bipartitizzazione della società italiana. Ma allora mi chiedo: che senso ha nella relazione di Giordano porre l’accento sui rischi di americanizzazione della società italiana se poi se ne accettano i presupposti sul piano istituzionale?Ancora, oggi ho sentito ripetere che una delle ragioni fondamentali sarebbe quella di evitare l’eccessiva frammentazione, il che significa che bisogna eliminare un po’ di piccoli partiti. Confesso che, dopo tutte le battaglie a difesa del pluralismo condotte dal partito, ci si voglia arruolare oggi nelle fila dei “semplificatori” mi lascia molto perplesso. Mi chiedo, inoltre, come si faccia con grande leggerezza a pensare che una volta imposto ai nostri alleati un meccanismo elettorale che ne prevede la liquidazione si pensi di giungere tranquillamente ad una riproposizione dell’alleanza con loro. Capisco il ragionamento: saranno costretti a farlo perché glielo imporrà lo sbarrameneto del 5% percento. Insomma, non vogliamo le alleanze coatte con il PD ma ci fanno comodo quelle con i partiti più vicini per costringerli a confluire nel partito unico. Non c’è che dire un bell’esempio di cinismo politico!
Concludo: sostenere un governo istituzionale, o come lo si voglia chiamare, in questa fase è un assurdo, un’operazione che si può rivelare micidiale per le sorti di Rifondazione Comunista. Per questo la proposta va respinta e non resta che preparasi alle elezioni anticipate, che a questo punto sono un atto dovuto di fronte al disastro che si è prodotto. Una scelta di trasparenza necessaria per ricostruire un minimo di rapporto con i nostri soggetti sociali di riferimento.
Non comprendo le preoccupazioni che sono state espresse. Si dice che l’attuale legge obbliga alle coalizioni. Non scherziamo: l’unico obbligo è quello che eventualmente noi stessi ci imponiamo. E in ogni caso, non è Veltroni che sostiene di volersi presentare comunque da solo? Le forze della sinistra hanno quindi tutto il diritto ad una loro presentazione autonoma. Naturalmente, con i loro simboli, perché penso che oggi le improvvisazioni di arcobaleni o altro rischierebbero di far perdere un mucchio di voti, cosa che – mi pare – non ci possiamo permettere.
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Il governo istituzionale è una trappola mortale!
di Claudio Bellotti
su altre testate del 31/01/2008
Il dibattito nel Prc dopo la caduta di Prodi
La proposta del segretario di Rifondazione Giordano di schierare il Prc a favore di un governo “di scopo” costituisce un azzardo che mette in bilico le stesse sorti del nostro partito.
Tutto milita contro una simile proposta, come tenteremo di argomentare. Tutto, tranne l’oltranzismo di Bertinotti e la perversione elettoralista che identifica la forza del partito col numero dei parlamentari che riesce ad eleggere (meglio ancora, secondo questa logica, se inseriti in una maggioranza di governo).
Prima osservazione: un governo “neutrale” che si dedichi solo a scrivere le cosiddette regole del gioco, non è mai esistito e non esisterà mai. Qualsiasi governo esca, appena insediato agirà necessariamente su tutti i terreni. In politica estera, si troverà a gestire non solo il dibattito sulla missione in Afghanistan, ma anche quello sui Balcani (sull’orlo di un possibile conflitto per la annunciata secessione unilaterale del Kosovo) e del Libano (sull’orlo di una guerra civile). In politica economica, si troverà ad affrontare le conseguenze della crisi borsistica e finanziaria internazionale; sul terreno economico e sociale, Confindustria già preme per riaprire i vari tavoli di controriforma, primo fra tutti quello sui contratti nazionali di lavoro. E si potrebbe continuare a lungo.
Seconda osservazione: un governo del genere, per la sua stessa natura, ha un forte potere di ricatto sulla sua stessa maggioranza; immaginiamo che l’ipotetico governo tecnico su uno qualsiasi di questi terreni prendesse decisioni fortemente contrarie a quanto proposto dal nostro partito: come potremmo rompere a pochi giorni o settimane dal suo insediamento, coprendoci di ridicolo e compromettendo il bene supremo (secondo Giordano) della legge elettorale?
Terza osservazione: qualora il governo fallisse, si finirebbe diritti al referendum, che se approvato porterebbe a una legge elettorale paragonabile alla legge fascista Acerbo del 1924 (il primo partito si prende la maggioranza assoluta dei deputati).
Cosa rossa a pezzi
Ce ne sarebbe a sufficienza per archiviare la proposta di Giordano come una barzelletta o una eccentricità, ma ancora non basta. Alla proposta di governo “di scopo” si affianca un tentativo disperato di rilanciare una Cosa rossa, altrimenti detta Sinistra arcobaleno, che dire in pezzi è ancora poco.
Riassumiamo. Dopo l’assemblea dell’Arcobaleno dell’8-9 dicembre, i Verdi si sono praticamente sfilati dall’impresa e guardano sempre più da vicino al Partito democratico. Il Pdci è su posizioni diametralmente opposte a quelle di Rifondazione e chiede elezioni subito, si oppone alla riforma della legge elettorale e sogna di poter essere nuovamente imbarcato nel centrosinistra. All’interno di Sinistra Democratica si è aperta una ulteriore divisione, con il settore legato alla burocrazia Cgil che si dichiara insoddisfatto per l’eccessiva vicinanza con Rifondazione. Cosa può mai dire il ritornello ripetuto da Giordano secondo cui “si parte con chi ci sta”, se non che evidentemente a “starci” sono ormai davvero pochi? Gennaro Migliore ha poi proposto di aprire un tesseramento autorganizzato al nuovo soggetto. Così, dopo il “partito senza tessere” che alcuni propongono a Veltroni come modello per il suo Pd, avremo anche la “tessera senza partito”…
Coalizione “coatta” o autonomia?
Nella Direzione nazionale del Prc tenutasi il 16 gennaio si è insistito sul fatto che tutto questo si fa in nome dell’autonomia del partito e della sinistra. Una nuova legge elettorale ci permetterebbe di sfuggire alle “coalizioni coatte” obbligate dall’attuale legge. Sfugge completamente che la “coazione” a coalizzarsi, detto più chiaramente la subalternità di fronte al Partito democratico, non nasce dalle leggi elettorali, ma nasce innanzitutto nella testa, ossia nelle strategie e nell’opportunismo di tanti dirigenti della sinistra. Sia fuori che dentro il Prc.
Basti vedere le reazioni all’annuncio di Veltroni che il Pd andrà da solo alle prossime elezioni. Immediatamente è partito un lungo corteo di postulanti che hanno iniziato a bussare a tutte le porte del Pd spiegando con voce piagnucolosa che così “Walter” regala la vittoria a Berlusconi, che significa “dichiarare morto il centrosinistra” (questo lo ha detto Mussi: e noi, poveri idioti, convinti che non solo fosse morto, ma il cadavere stesse pure cominciando a profumare…).
Vedremo come andrà a finire, nel Pd ci sono orecchie più sensibili a questo discorso, altre meno. Ma ci sembra del tutto secondario rispetto al punto fondamentale che vorremmo porre al centro della discussione nel Prc: il rapporto tra noi e il Pd non può essere discusso nei termini fin qui proposti, ossia una ripetizione di quanto è avvenuto con l’Unione di Prodi: si discute la piattaforma, si vede se “esistono le condizioni”, e poi si decide. L’esperienza del programma dell’Unione ci sembra al riguardo più che sufficiente.
Il rapporto tra noi e il Pd non può essere determinato da ciò che in un dato momento venga scritto su un pezzo di carta detto programma. È invece determinato dalla natura di classe di quel partito, che ne determina programmi, orientamenti, strategie. È questa la discussione da farsi nel Prc, che invece è stata fino ad oggi elusa completamente. Oggi il Pd è compiutamente uno dei pilastri, probabilmente il principale, della politica della borghesia italiana, è il partito che più sistematicamente e coerentemente si propone di tradurre le istanze della classe dominante in azione politica. Questo fatto può venire messo in ombra per una fase dalla probabile rimonta di Berlusconi, ma rimane un punto centrale da assumere se vogliamo che la nostra strategia si basi sui fattori fondamentali e strutturali e non sull’ultima brezza che soffia in parlamento o sull’ultima dichiarazione alla stampa di questo o quell’esponente politico.
Il dibattito interno
La Direzione del 16 gennaio ha visto un’ulteriore articolazione nella (ex?) maggioranza, considerato che alle critiche nostre, di Essere comunisti e dell’Ernesto si è affiancata quella di Mantovani (come già da diverso tempo) e quelle di Elettra Deiana e di Giovanna Capelli (entrambe deputate). Ferrero ha limitato i suoi distinguo alla richiesta che l’ipotetico governo “di scopo” non prolunghi la sua esistenza oltre la primavera. È inoltre emersa una posizione ancora più moderata, presente nell’intervento di Graziella Mascia, che ha criticato l’ipotesi che il partito possa compiere delle rotture sui prossimi voti in parlamento e segnatamente sulle missioni militari e sul pacchetto sicurezza. Se dovesse affermarsi tale impostazione avremmo una nuova ed estrema versione del governismo che ha portato il Prc sugli scogli: il “governismo senza governo”.
Rimane tutto da compiere un serio bilancio del percorso fin qui seguito a partire dal congresso di Venezia del 2005. Il catalogo delle frasi vuote con le quali si è tentato di giustificare e abbellire quanto si stava compiendo potrebbe riempire un libro. Dalla “grande riforma della società italiana” sventolata da Bertinotti a Venezia, al “no alla politica dei due tempi” durante la stesura del programma, al famigerato “vuoi vedere che l’Italia cambia davvero” della campagna elettorale, al celebre manifesto “anche i ricchi piangano” della prima finanziaria… ad ogni legnata che arrivava si rispondeva con esorcismi e formule magiche. Ora tutto questo è arrivato al capolinea. Con l’Unione è morta anche una strategia fallimentare. Invece di attardarsi in tentativi fuori tempo massimo, è il momento di cominciare a sgomberare le macerie.
Macerie che, ne siamo ben consapevoli, non sono certo solo residui di una fase superata. La linea governista è stata sconfitta dai fatti, ma resta il compito più importante e decisivo, quello di sconfiggerla nella coscienza del partito, di costruire un argine contro le pressioni che continueranno a venire innanzitutto dal settore più apertamente liquidazionista, appoggiato dalle forze moderate che si concentrano innanzitutto nel vertice di Sd e, infine, di elaborare una strategia di opposizione, la piattaforma programmatica, di far rinascere nella militanza la voglia e la passione di calarsi nel vivo delle contraddizioni sociali e dei conflitti dai quali attingere le forze per un rilancio del nostro partito.
Se esiste un futuro per Rifondazione, è nella sua ricostruzione come forza di opposizione. La strada è lunga, tanto prima la imboccheremo, tanto meglio sarà!
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Intervento di Claudio Grassi
di dal sito www.esserecomunisti.it
su altre testate del 31/01/2008
Direzione Nazionale PRC del 26 gennaio 2008
Vorrei fare un breve ragionamento sul passato, sul presente e sul futuro. Mi sarei aspettato nella relazione di Franco Giordano, che sulla vicenda politica che stiamo vivendo in larga parte condivido, una valutazione anche su di noi, sul nostro partito, perché oggi questa è la prima riunione che facciamo dopo la caduta del governo Prodi e quindi è la prima riunione dopo la conclusione di un’esperienza di governo su cui il partito e il gruppo dirigente della maggioranza avevano investito in maniera molto forte.
Non sarebbe male, dopo una conclusione così negativa dell’esperienza di governo, riconoscere criticamente il percorso avviato a Venezia e cercare di capire (per correggerle) le impostazioni errate che ne erano alla base. Il fallimento di quella proposta politica è plasticamente rappresentato da una domanda, negli intenti retorica, che campeggiava sui nostri manifesti elettorali: lo slogan era: “Vuoi vedere che l’Italia cambia davvero?”. Dopo venti mesi quella domanda ha ricevuto una risposta chiara, e francamente non positiva. La domanda lasciava intendere che l’Italia sarebbe cambiata in meglio… non sarebbe male interrogarsi sui motivi per i quali ciò non è avvenuto. Sarebbe importante non per stabilire chi aveva ragione e chi aveva torto, ma perché se non lo facciamo ci confondiamo anche noi con quella modalità di fare politica, che di questi tempi va per la maggiore, per la quale si può dire una cosa e il suo contrario senza ragionare, riflettere, capire. Credo che questo approfondimento sulle cause che ci hanno portato a questa situazione sia utile per il partito e per tutta la sinistra.
Sul presente: la vicenda relativa a Mastella è soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma la crisi del governo non è stata provocata esclusivamente da Mastella: ha origine invece in una situazione che si trascina da mesi. La mancanza di volontà e l’incapacità del governo Prodi di individuare una propria missione (che io credo avrebbe dovuto essere il risarcimento sociale e la redistribuzione del reddito) è alla base della sua crisi. In questo ha ragione Panebianco, che ha notato sul Corriere della Sera di oggi che il primo governo Prodi aveva una missione (su cui si poteva essere d’accordo o meno, e noi non lo eravamo), l’ingresso nell’euro, mentre questo secondo non ne ha avuta nessuna. Oltre a questo è evidente che, all’origine della crisi, c’è la nascita del Pd, l’elezione di Veltroni a segretario e la contraddizione che si è aperta con Prodi. Ed in particolare una cosa: la modalità scelta da Veltroni di affrontare il confronto sulla legge elettorale. Questo ha determinato la crisi di governo. Come si fa a pensare che sulla legge elettorale puoi anteporre il tentativo di trovare un’intesa con Berlusconi al confronto dentro la tua coalizione e pensare che ciò non abbia conseguenze su un governo che al Senato senza l’appoggio di un micropartito va a fondo, come infatti è avvenuto? E come fai a cercare un’intesa con Berlusconi senza avere la certezza che, su quel terreno, riesci ad andare fino in fondo? Questo modo di procedere si chiama avventurismo politico. E noi abbiamo sottovalutato i rischi che una tale situazione avrebbe potuto produrre.
Condivido la proposta che Rifondazione ha sempre sostenuto di una legge elettorale sul modello tedesco, la più vicina a un sistema elettorale proporzionale in grado di lasciare autonomia alle forze della sinistra rispetto ai moderati. Ma né la bozza Bianco né, soprattutto, l’ipotesi che era alla base dell’accordo tra Veltroni e Berlusconi sarebbero state vicine a quel percorso. Era giusto spingere l’acceleratore al massimo sulla legge elettorale senza avere la certezza di arrivare fino in fondo, fino ad arrivare alla crisi di governo? Penso di no. Bisognava evitare il referendum e cercare un’intesa di tutta la coalizione su un testo condiviso: c’era per esempio la bozza Chiti, che non era chiaramente la nostra proposta, ma comunque poteva essere una base di partenza condivisa da tutta la coalizione. La conseguenza di non avere seguito questa strada è stato un “capolavoro” per le forze dell’Unione: la crisi di governo, la sinistra divisa, l’elettorato deluso da ciò che abbiamo fatto e Berlusconi, che fino a pochi mesi fa era obiettivamente in crisi, di nuovo in netta ripresa e con la Casa delle libertà unita!
Sul futuro. L’errore più grave sarebbe aggiungere danno al danno. E per me il danno al danno è che il nostro partito entri o sostenga un governo di qualsiasi natura (tecnico, di scopo, istituzionale) che abbia il sostegno delle forze del centro-destra o di una sua parte. Qualsiasi governo di transizione non potrebbe che fare peggio del governo Prodi e la nostra corresponsabilità sarebbe un danno smisurato per il nostro elettorato. A ciò aggiungo il fatto che non vedo i numeri per formare un governo che faccia solo la legge elettorale sul modello tedesco. Ammesso che il Pd lo accetti, poiché una parte dell’Unione non lo vuole e le forze della Cdl che lo vogliono non sono disposte a rompere con Berlusconi pur di votarla, io credo che i numeri non ci siano. Dare l’impressione che pur di tirare avanti si sostiene un governo insieme alle forze della destra sarebbe devastante per la campagna elettorale che, comunque, tra pochi mesi andremo a fare.
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Rifondazione è sull’orlo del precipizio e Giordano propone di fare un passo avanti.
di Ramon Mantovani
su altre testate del 27/01/2008
La crisi e la sinistra, la crisi della sinistra Tratto dal Blog personale di Ramon Mantovani
Ieri si è svolta la riunione della direzione di rifondazione (allargata all’esecutivo e ai gruppi parlamentari). Su Liberazione di oggi si possono leggere gli articoli e la relazione di Giordano. www.liberazione.it . All’ordine del giorno la crisi di governo e il mandato per la delegazione che sarà consultata lunedì dal Presidente della Repubblica.
Di questa riunione do un bilancio negativo.
Per i seguenti motivi:
1) nella relazione di Giordano, a parte le scontate e già conosciute posizioni contro Mastella, centristi vari e poteri forti, non c’è stata una seria disanima degli errori che abbiamo fatto noi e che ha fatto il resto della sinistra, sindacato compreso. Continuo a pensare, e continuo a non avere risposte serie su questo punto, che una volta bevuta la finanziaria del 2006, che riproponeva nei fatti la politica dei due tempi (contraddicendo esplicitamente il programma di governo che lo escludeva categoricamente), non si doveva accettare la logica della “riduzione del danno”. Si doveva, e si sarebbe potuto, aprire una grande discussione nel paese scegliendo esplicitamente il terreno delle pensioni e della precarietà come la questione principale, anche se non esclusiva, per decidere se rimanere o no al governo. Non limitandosi a chiamare in piazza il 20 ottobre centinaia di migliaia di compagne e compagni ma coinvolgendoli realmente anche sulla decisione da prendere alla fine del percorso. Così, infatti, avevamo deciso di fare votando un ordine del giorno nel Comitato Politico Nazionale di luglio. Se avessimo fatto in questo modo avremmo discusso nel paese, con i lavoratori, nei movimenti ed anche con quel non meglio definito popolo della sinistra, di problemi reali e avremmo prodotto una reale partecipazione, suggellata da un referendum vincolante. Credo che così Prodi, ma non ne possiamo avere la controprova, avrebbe dovuto confrontarsi, invece che eluderla, con la banale richiesta di applicare il suo programma. Non è detto, cioè, che il governo sarebbe stato automaticamente messo in crisi. E nel caso fosse caduto ognuno avrebbe potuto capire il vero perchè. Invece di fare tutto questo, e lo posso dire a voce alta perchè l’ho proposto per tempo, si è cominciato a parlare di crisi irreversibile della sinistra, di un’unità senza basi che non fossero suggestioni e si è, nei fatti, subordinato il rapporto con il governo rispetto al rapporto unitario con altri tre partiti che hanno il governismo iscritto nel dna. In questo modo non si poteva che arrivare all’appuntamento del protocollo sul welfare deludendo tutti, a cominciare dai manifestanti del 20 ottobre, ricattati da un’eventuale caduta improvvisa del governo e così via.
2) Non condivido la proposta di dar vita ad un governo istituzionale. La considero negativa perchè se è vero che la politica è sempre più separata dalla società, la crisi provocata da Mastella e da Dini e soci è l’apoteosi di questa separatezza. E noi dovremmo far di tutto per non apparire, anzi per non essere interni a giochi e manovre di palazzo totalmente slegati dalla realtà sociale del paese. Intendiamoci, se ci fosse la garanzia di una nuova legge elettorale proporzionale e non maggioritaria e se non montasse la voglia, per altro ben espressa da Montezemolo, di gestire la politica economica con un governo tecnico, se ne potrebbe, per me, anche parlare. Ma le cose non stanno così. Mi si scuserà la pedanteria, ma una discussione di tale importanza non si può fare in modo superficiale. Per esempio, dire che rifondazione mette condizioni sul tipo di legge elettorale da farsi con il governo “di scopo”, è totalmente infondato. Rifondazione può, anche perchè determinante, ottenere che si formi un governo a scadenza, e può ottenere dagli altri partiti che sostengono tale governo un impegno sul modello tedesco. Ma, una volta formato il governo non c’è alcuna garanzia che poi lo stesso, per una contingenza economica o internazionale (crisi finanziarie o Kosovo per esempio) non si doti di un’altra missione anche, magari, con una maggioranza più larga e senza di noi. Sulla legge elettorale, poi, è il parlamento ad avere l’ultima parola e, a governo insediato, nessuno potrebbe impedire che Forza Italia giochi la sua partita, magari riprendendo l’accordo con Veltroni. Potremmo, cioè, essere usati e gettati, ritrovandoci con una legge ben peggiore di quella vigente, che comunque permette la nostra sopravvivenza nelle istituzioni. Insomma, penso che dopo una simile crisi devastante sarebbe stato meglio dire subito e chiaro che avremmo proposto a tutte le altre forze di sinistra di presentarci autonomamente dal PD con una nostra coalizione e con un programma marcatamente di sinistra. Non mi nascondo la difficoltà di una simile scelta, ma non so in quale altro modo si possa sperare di essere “perdonati” per la nostra evidente inutilità al governo e tentare di ricominciare il cammino di costruzione della sinistra alternativa.
3) Non sono d’accordo sulla ennesima accelerazione dell’unità a sinistra, tanto meno senza avere sciolto il tema del rapporto con il centrosinistra. A dimostrare l’inconsistenza della proposta, che non può più nemmeno essere coperta dalla retorica dell’unità fine a se stessa, negli ultimi giorni ci sono state almeno due novità. Il PdCI cerca di lucrare per la propria bottega unendo la difesa dell’identità comunista alla riproposizione del centrosinistra come orizzonte strategico. Mussi, mentre Giordano parlava alla direzione, ha detto chiaro e tondo su un’agenzia stampa che “quando si arriverà al voto bisogna presentarsi con una lista unitaria. Compito di questa formazione è di dire al Partito Democratico che si deve lavorare per un nuovo centrosinistra che governi l’Italia”. Come si possa imperterriti proporre un’accelerazione del processo unitario, la presentazione di una lista unica (anche senza il PdCI, con quali effetti elettorali non è difficile immaginarlo, e probabilmente senza i Verdi) che avrebbe autonomia solo per scelta dal PD e non per vocazione, io non lo so proprio!
In ogni caso questa è la discussione.
Sul modo di condurla, però, vorrei dire alcune cose, spero chiare.
Non si può prendere una simile decisione senza che le iscritte e gli iscritti al PRC, senza che le associazioni e le persone della Sinistra Europea, siano coinvolti in modo partecipato. Non è accettabile che un gruppo dirigente per giunta diviso in correnti (e parlo della maggioranza che governa il partito), possa decidere in modo oligarchico qualcosa che, oltre a cambiare le linee di fondo della stessa identità politica del partito (e non parlo della falce e martello o della fissa identità ideologica), potrebbe mettere in discussione la stessa esistenza di rifondazione comunista e più in generale di una sinistra non subalterna al Partito Democratico.
27/01/08