Superare le divisioni, rappresentare la classe

*coordinatore nazionale SdL Sindacato dei Lavoratori intercategoriale

Qualsiasi tentativo di individuazione degli strumenti di carattere sindacale necessari ai lavoratori per affrontare al meglio l’attuale fase, non può prescindere da una analisi della situazione economica e sociale a livello nazionale e mondiale. Non è certamente questa la sede per sviluppare una valutazione complessiva sulla crisi, sulle cause che hanno determinato l’attuale situazione e sulle conseguenze che si potranno misurare nel mondo del lavoro e nel sociale nel prossimo futuro. Ma è altrettanto evidente che questa crisi economica si inserisce in modo violento in uno scenario generale che vede lo sviluppo progressivo di altre crisi mondiali, da quella ambientale a quella dell’energia, da quella alimentare alla guerra permanente come strumento di imposizione economicosociale degli stati. Ed è proprio il complesso di tali contraddizioni che sta modificando radicalmente alcuni processi economici sino ad ora considerati immutabili, che sta ridisegnando una nuova fase del capitalismo e del liberismo. Pur essendo una crisi di questo sistema, a mio avviso essa deve essere letta non solo come crisi di alcuni fondamenti del capitalismo e dei suoi strumenti di gestione e controllo del potere, ma soprattutto in funzione delle misure che si stanno predisponendo per il suo superamento e che tendono chiaramente alla tutela del capitale stesso. Una nuova redistribuzione generale del reddito che nel “mondo industrializzato” vedrà nuovamente penalizzato il lavoro dipendente, i disoccupati, i migranti, i precari e tutte le fasce più deboli della popolazione. I “premi” alle banche e le stesse nazionalizzazioni di alcuni istituti finanziari e del credito rappresentano sicuramente una enorme “socializzazione delle perdite”, proprio a beneficio di chi più ha speculato e lucrato in questi ultimi anni. Ma tali difficoltà del sistema capitalistico, se pur in una fase di ricerca di nuovi equilibri piuttosto che di vera e propria crisi strutturale, stanno anche facendo emergere forti contraddizioni sulle quali è indispensabile intervenire a livello politico, sociale e sindacale. In questi anni in Italia la politica si è limitata a gestire il quotidiano piuttosto che perseguire obiettivi che guardino al futuro. Ciò è ancor più vero per la sinistra che dovrebbe indicare come principale obiettivo il superamento o almeno la modifica sostanziale degli attuali rapporti economici e sociali. Ed invece la politica e gran parte della “sinistra” hanno abbandonato tale tendenza ed il sindacato confederale ha in larga parte seguito tale nuova filosofia: un approccio senza futuro, senza strategie a medio/lungo termine, una pigra e sonnolenta gestione “istituzionale” dell’esistente che non può e non vuole fornire alcun contributo concreto alla richiesta di rappresentanza reale dei bisogni che, pur se sopita o nascosta, è ancora viva nel mondo del lavoro. Partendo dalle carenze e dalle insufficienze della politica, che nel nostro Paese hanno assunto in questi ultimi anni caratteristiche e dimensioni tali da mettere addirittura in discussione la possibilità o meno di intervenire concretamente nel di sindacato che il lavoratore oggi esprime. Non è certo una necessità come la intendevamo anni fa. Non c’è più quel collegamento diretto, se non in sporadiche situazioni, tra la necessità di sindacato e la tendenza al cambiamento della società, che nei passati decenni costituiva il ricco collante tra lotta sindacale ed impegno politico. Il sindacato confederale viene oggi vissuto dalla stragrande maggioranza dei lavoratori o come qualche cosa di completamente estraneo, o come una agenzia di servizi da utilizzare e pagare come qualsiasi altro erogatore di prestazioni o, nella migliore delle ipotesi, come una organizzazione che serve a tutelare gli interessi più o meno specifici e particolari di una singola categoria, di un gruppo più o meno grande e più o meno omogeneo di lavoratori. L’apporto generale che il sindacato dovrebbe fornire alle politiche di emancipazione e di crescita sociale sono oggi limitate a poche situazioni, tra le quali sicuramente troviamo il Sindacalismo di Base ed alcuni settori della Cgil. Ed era proprio questo tipo di efficacia e di valenza generale del sindacato che ha fornito la linfa per i più grandi cambiamenti sociali nel nostro Paese. La mancanza di un approccio generale e sociale del sindacato sta oggi producendo un impoverimento complessivo dei rapporti sociali tra i vari soggetti della società e la “guerra tra gli ultimi” per ritagliarsi l’onore del penultimo posto. Ma l’insufficienza e l’inadeguatezza del sindacato confederale non sta soltanto nella mancanza di intervento generale. E’ l’essenza stessa di “sindacato dei lavoratori” che è venuta meno e che oggi dipinge Cgil, Cisl e Uil quasi soltanto come agenzie erogatrici di servizi. Il sindacato dei burocrati e degli apparati ha dimenticato che cosa vuol dire lottare, stare tra i lavoratori, comprenderne le esigenze e sviluppare strategie e sintesi. E proprio oggi, che con la crisi servirebbe ancor di più un sindacato che elabora e dialoga, ma che sa anche lottare, costruire conflitto ed impostare campagne e vertenze dure e di lunga durata, il movimento dei lavoratori si trova a fare i conti con un “sindacato modificato geneticamente” il quale, anche se volesse, non riuscirebbe a rimettere in moto quegli anticorpi democratici necessari ad organizzare una risposta complessiva adeguata alle necessità. Un sindacato che ha superato ormai anche la “filosofia” della concertazione ed ha abbracciato quella della “collaborazione”: un neo-corporativismo che ridisegna i confini storici tra capitale e lavoro e tra rappresentanti e rappresentati.

DALLA CONCERTAZIONE ALLA COLLABORAZIONE DI CLASSE

C’è un’altra grande contraddizione che si sta sviluppando in questa fase. La mancanza della sinistra sta facendo emergere la volontà di gran parte del sindacato confederale di riempire questo spazio vuoto. Questa “supplenza politica” non è però certo la soluzione alla necessità di politica e di sinistra che esiste nel nostro Paese. Senza considerare poi che il sindacato riempie il vuoto della politica e il mancato rapporto tra sinistra e mondo del lavoro, di contenuti del tutto simili a quelli che Cgil, Cisl e Uil spacciano per “politiche sociali” e che nella maggioranza dei casi rappresentano invece la “stampella” a governi che operano e vivono nella filosofia del “mercato”, del suo sviluppo e della difesa dei suoi valori. Questa breve e schematica analisi non ha certo la pretesa di voler rappresentare in modo compiuto l’attuale stato del sindacato confederale, ma credo sia fondamentale partire da questi elementi per poter individuare una chiave di lettura che permetta poi di identificare ciò che realmente serve ai lavoratori: quale è lo strumento sindacale più efficace a rappresentare oggi gli interessi di chi lavora. Per fare ciò dobbiamo partire dalla realtà che conosciamo, dalle forze in campo, dai rapporti oggi esistenti tra politica e sindacato, dai limiti imposti ai lavoratori da anni di continue cessioni sindacali, dalla disabitudine al conflitto “acquisita” in anni di concertazione sindacale. La prima domanda che dobbiamo porci è la seguente: è possibile riformare la Cgil, cioè l’unica organizzazione confederale che, in questa specifica fase, sembra esprimere una qualche forma di dissenso? La mia risposta è assolutamente negativa. La Cgil contiene l’essenza stessa della burocrazia e del fare sindacato d’apparato. Migliaia di funzionari che vivono di burocrazia, che sono lontani dal lavoro e che spesso non hanno neanche mai lavorato. Un sistema complesso dove prevale ormai la tutela dell’organizzazione prima ancora che quella dei rappresentati. Non è certo il “ripensamento” degli ultimi mesi e una fase di opposizione parziale e limitata nel tempo ad un “governo non amico” a modificare un giudizio complessivo che non può certo essere positivo e che, al contrario, evidenzia la contiguità delle politiche Cgil degli ultimi anni a quelle di Cisl e Uil che hanno contribuito a distruggere il mercato del lavoro, accettando e spesso determinando aumento della precarietà e riduzione dei diritti. Ma sono convinto anche che all’interno della Cgil la stragrande maggioranza dei lavoratori iscritti ancora non ha coscienza del livello di trasformazione genetica che si è prodotta in questa organizzazione. Ed all’interno della Cgil sono presenti anche forze positive, in termini di dirigenza sindacale, che non hanno la forza di far esplodere le contraddizioni interne, ma che esprimono una reale radicalità, tra l’altro più evidente nei vertici di alcune federazioni che non nelle articolazioni territoriali delle stesse organizzazioni di categoria.

QUALE RAPPORTO CON LA CGIL?

Paradossalmente sono proprio queste contraddizioni interne alla Cgil che costituiscono il principale freno per la costruzione di un sindacato di massa che abbia la capacità di ricostruire rapporti di forza diversi e più positivi per il movimento dei lavoratori, che sappia produrre conflitto, che riconosca nella democrazia e nella trasparenza i principali valori di un modello di rappresentanza sindacale positivo e realmente riconosciuto come tale dai lavoratori. Il sindacalismo di base nel suo complesso è l’unica forma organizzata che è riuscita in questi ultimi anni a mantenere viva l’esperienza di un sindacalismo democratico e indipendente da partiti e padroni. Pur se colpito ripetutamente da repressione e discriminazioni da parte di aziende, partiti, istituzioni e strumenti di comunicazione di massa, il sindacalismo di base è riuscito a mantenere vivi quei valori che da sempre rappresentano l’essenza stessa del sindacato, ma non è riuscito a produrre un livello di rappresentanza diffuso, articolato e di massa.

A mio avviso ciò è dovuto essenzialmente a tre principali fattori:

– Una divisione interna che talvolta riproduce le articolazioni esistenti nella politica e soprattutto nella sinistra italiana. La propria identità da difendere a tutti i costi anche se sostanzialmente simile alle altre esperienze. Una diversità che viene descritta come una ricchezza, ma che in effetti non rappresenta spesso alcun valore aggiunto e rischia di cadere nell’autoreferenzialità e nella marginalità politica e sociale.

– Un approccio sindacale che talvolta è “poco sindacale” e che determina interventi che rappresentano spesso più testimonianza politica che non effettiva efficacia nella rappresentanza dei bisogni e delle reali esigenze dei lavoratori. Una generalizzazione continua di concetti politici che, nella forma e nella sostanza, allontana dalla rappresentazione quotidiana delle condizioni e delle contraddizioni di chi lavora.

– Assolutamente speculare a quanto sopra esposto, esiste anche una concezione di sindacalismo di base che talvolta rasenta il corporativismo. Si confonde cioè il fare sindacato di base, valorizzando il legame diretto con i lavoratori e le loro condizioni, con l’essere sindacato che rappresenta esclusivamente il proprio gruppo omogeneo, cioè la “propria base”.

Per fare un salto di qualità e rappresentare un punto di riferimento concreto, stabile e credibile, il sindacalismo di base ha assoluta necessità di crescere politicamente e culturalmente.

– Superare le divisioni e valorizzare realmente le differenze per poter costruire un punto di riferimento per milioni di lavoratori. Non quindi unità per sommare esclusivamente le forze delle varie organizzazioni di base, ma come elemento catalizzatore di un nuovo protagonismo dei lavoratori.

– Costruire un approccio sindacale senza aggettivazioni, concreto e capace di comunicare con i lavoratori, evitando eccessive enunciazioni di principio che scadono troppo spesso nella marginalizzazione della pratica sindacale.

– Evitare di rinchiudere e limitare l’attività sindacale allo specifico ambito di lavoro e costruire una reale intercategorialità dove la solidarietà sociale e la lotta generale si integrano con la rappresentanza dei bisogni e delle esigenze riconosciute nel posto di lavoro, nell’azienda e nel settore produttivo.

Fin qui lo strumento sindacale, ma l’individuazione degli obiettivi è elemento sicuramente prioritario. E’ indispensabile volare alto senza rischiare di perdersi fra le nuvole, ma è anche importante indicare ai lavoratori obiettivi concreti e perseguibili. Quella che segue è la Piattaforma rivendicativa che il Patto di Base (SdL intercategoriale – Cub – Confederazione Cobas) hanno elaborato democraticamente e dal basso e che è stata alla base delle mobilitazioni dell’autunno 2008 e dell’esaltante risultato dello sciopero e della manifestazione nazionale di Roma del 17 Ottobre scorso. La stessa Piattaforma è alla base delle iniziative di questa prima parte dell’anno, a partire dalla Manifestazione nazionale del 28 marzo prossimo e dello Sciopero Generale indetto dalle tre organizzazioni di base per il prossimo 23 aprile.

1. Blocco dei licenziamenti.
2. Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
3. Aumenti consistenti di salari e pensioni, introduzione di un reddito minimo garantito per chi non ha lavoro.
4. Aggancio dei salari e pensioni al reale costo della vita.
5. Cassa integrazione almeno all’80% del salario per tutti i lavoratori/trici, precari compresi, continuità del reddito per i lavoratori “atipici”, con mantenimento del permesso di soggiorno per gli immigrati/e.
6. Nuova occupazione mediante un Piano straordinario per lo sviluppo di energie rinnovabili ed ecocompatibili, promuovendo il risparmio energetico e il riassetto idrogeologico del territorio, rifiutando il nucleare e diminuendo le emissioni di CO2.
7. Piano di massicci investimenti per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e delle scuole, sanzioni penali per gli omicidi sul lavoro e gli infortuni gravi.
8. Eliminazione della precarietà lavorativa attraverso l’assunzione a tempo indeterminato dei precari e la reinternalizzazione dei servizi.
9. Piano straordinario di investimenti pubblici per il reperimento di un milione di alloggi popolari, tramite utilizzo di case sfitte e mediante recupero, ristrutturazione e requisizioni del patrimonio immobiliare esistente; blocco degli sfratti, canone sociale per i bassi redditi.
10. Diritto di uscita immediata per gli iscritti/e ai fondi-pensione chiusi.
11. Difesa del diritto di sciopero e democrazia sindacale.

Una Piattaforma rivendicativa che, proprio per la profondità e la gravità della crisi e per la necessità assoluta di interventi radicali, non è e non vuole essere un “libro dei sogni”, ma rappresenta l’unica via realistica di uscita dalla crisi. Sono convinto che in queste ipotesi di lavoro (sia sul merito dei problemi, sia sugli strumenti necessari) potrebbero riconoscersi gran parte dei soggetti che, nel Sindacalismo di Base e nella Cgil, auspicano un cambiamento reale, concreto e tempestivo, attraverso modalità di definizione democratiche e trasparenti. C’è chi lo chiama sindacato di massa, chi sindacato di classe, chi sindacato alternativo, indipendente o antagonista. Io preferisco chiamarlo molto più semplicemente sindacato, senza aggettivazioni, perché ciò che oggi manca al movimento dei lavoratori è proprio “il Sindacato”. Il Sindacalismo di Base, con tutte le sue contraddizioni ed i suoi limiti, sta cercando di costruire una risposta comune che indichi una direzione sia rispetto ai contenuti, sia agli strumenti. Ed il tempo che abbiamo non è infinito. Dobbiamo lavorare a tale progetto subito e senza ulteriori ripensamenti, o i lavoratori perderanno qualsiasi speranza di poter costruire una reale e concreta ipotesi di cambiamento delle proprie condizioni materiali.