Sulle elezioni in Grecia, Spagna e Francia

I risultati complessivi delle recenti elezioni politiche in Grecia (vittoria del centro-destra) e in Spagna (vittoria dei socialisti di Zapatero) e delle regionali in Francia (vittoria schiacciante delle sinistre) sono già stati abbondantemente e seriamente commentati sulla stampa italiana. Non vi ritorneremo. Mettiamo invece la lente d’ingrandimento su un aspetto rimasto un po’ in ombra nella più parte dei commenti, e cioè l’esito delle liste comuniste e di “sinistra alternativa”, collocate a sinistra dell’Internazionale socialista e volte a non farsi assorbire nella morsa bipolare.

Nelle elezioni politiche in Grecia del 7 marzo scorso, nonostante l’acuta bipolarizzazione del voto, si è avuta una significativa avanzata del Partito comunista (Kke), che sfiora il 6% (5,91) rispetto al 5,5 delle precedenti politiche e passa da 11 a 12 deputati; e una conferma del precedente risultato del Synaspismos (formazione eco-socialista, di sinistra socialdemocratica rosso-verde) che si attesta al 3,2% (+0,05) con 6 deputati, mentre una lista espressione di settori del movimento noglobal influenzata da gruppi trotzkisti e denominata Alleanza anticapitalista-Genova 2001, ottiene lo 0,11%. L’avanzata del Kke consolida il suo insediamento operaio, popolare e di classe, come testimoniano alcuni picchi significativi registrati nei quartieri popolari dei maggiori centri urbani, ad Atene (8,8%), al Pireo (11,1), a Salonicco (6,7), con avanzamenti dell’1-1,5 %. Il suo 12° deputato il Kke lo conquista proprio nei quartieri proletari del Pireo (il porto di Atene), sottraendolo al Synaspismos, che recupera il suo 6° in un’altra circoscrizione.
Il Kke presentava nelle sue liste il 20% di indipendenti, e tra questi elegge uno dei suoi deputati, una donna, che è una ex esponente del Pasok (socialisti); mentre i deputati del Synaspismos fanno tutti parte del partito, e ciò ha determinato – dopo le elezioni – una forte polemica con quei settori del movimento no-global a cui il Synaspismos aveva chiesto il voto, presentando nelle sue liste alcuni suoi esponenti, senza eleggerli.
Il Kke, partito che una certa pubblicistica presenta a volte in forma caricaturale come “ultra-settario” e “stalinista”, il più “lontano da pratiche e culture innovative”, dimostra in realtà una capacità di espansione e radicamento nel mondo del lavoro e tra i movimenti giovanili, in una fase che non è certo semplice per l’avanzata elettorale dei partiti comunisti in generale. Inoltre, tra i partiti del Gue (gruppo parlamentare europeo dei comunisti e delle sinistre alternative), il Kke è certamente il più critico del progetto oggi in campo di “partito della sinistra europea”; mentre il Synaspismos ne è non solo uno dei più accesi sostenitori, ma ha promosso ad Atene, in piena campagna elettorale, un incontro dei promotori di tale progetto, ed il proprio giornale ha titolato a caratteri cubitali che il nuovo partito europeo nasceva in quei giorni ad Atene su sua iniziativa. E che il Synaspispos dimostrava con ciò di godere del sostegno della “sinistra alternativa europea”, a fronte di un presunto “isolamento” del Kke. Il tema del “partito europeo” è stato cioè speso a piene mani nella campagna elettorale, con risultati che ognuno può valutare da sé. Oggi, in Grecia, neppure il Synaspismos ne parla più.

CRISI DI IZQUIERDA UNIDA

Nelle elezioni politiche del 14 marzo in Spagna, in un contesto segnato da una prepotente crescita dei votanti (+8% rispetto al 2000), Izquierda Unida (IU) – formazione politica a cui sovente (ed erroneamente) si è guardato anche in settori di Rifondazione come ad un “modello” – registra una flessione significativa (dal 5,45% al 4,96%),che in realtà è più ampia se si considera anche lo 0,51% che aveva conseguito nelle precedenti elezioni Iniziativa per Catalogna- Verdi (ICV), presentatasi insieme ad IU in questa tornata elettorale. La coalizione IU-ICV passa da nove a cinque deputati (e nel suo ambito IU passa da otto a tre deputati, perché due sono di ICV) ed evidenzia una crisi politica che riporta questa formazione al di sotto del suo minimo storico, ad un livello simile alla débacle del Partito comunista di Spagna nel 1982 (quando furono eletti solo quattro deputati), provocata dalla politica disastrosa dell’”eurocomunista” Santiago Carrillo. Da quelle ceneri fu tentata una rinascita fondata sulla progressiva diluizione dell’autonomia dei comunisti nella coalizione rosso-verde di Izquierda Unida, che dopo alterne vicende ed anche taluni successi elettorali, sembra oggi purtroppo vicina al capolinea, dopo essere passata negli ultimi 8 anni dal 10,5 al 4,4%, e da 21 a 3 deputati (di cui uno ecologista indipendente).

Come era prevedibile la sconfitta ha aperto in IU un confronto durissimo, dall’esito incerto, tra la componente PCE, guidata dal segretario Paco Frutos, che punta dichiaratamente ad un rilancio dell’autonomia del partito comunista ed ad un recupero dell’originaria vocazione e identità anti-capitalista e antimperialista di IU (nata proprio sull’onda della campagna referendaria contro la scelta del Psoe e della destra di portare la Spagna nella NATO, e dove il no alla NATO oltrepassò la soglia del 40%); e la componente “eco-socialista”, che fa capo al leader di IU (uno degli sponsor più significativi del “partito europeo”), Gaspar Llamazares, che vuol fare di IU una formazione di sinistra socialdemocratica, sempre più lontana dalla identità comunista, anti-capitalistica e antimperialista che ne caratterizzò l’impronta originaria (una discussione che conosciamo bene anche in Italia…). L’alleanza elettorale con la catalana ICV, la formazione con essa di un unico gruppo parlamentare confederale (3+2) nel Parlamento nazionale, per giunta sbilancia ancora più a “destra” la politica di IU. ICV rappresenta infatti un orientamento politico e ideologico di matrice socialdemocratica, a mezza via tra IU e il PSOE, che fu presente in IU nel corso degli anni ’90 con la componente del PdNI (Partito della Nuova Sinistra) e che uscì poi da IU per confluire nel PSOE (chi non ricorda, tra gli addetti ai lavori, il “mitico” Carlos Carnero, già responsabile esteri di IU negli anni di Anguita, poi approdato al Psoe). Come giustamente si chiedono i comunisti spagnoli, dentro e fuori IU: in un contesto segnato da un accentuato bipolarismo (che non può essere utilizzato a giustificazione dei propri insuccessi, dato che esso agisce anche in Grecia, Francia, Portogallo…con esiti differenziati), quale spazio politico, quale attrattiva elettorale può avere una formazione politica come IU che sempre meno appare distinguibile, sul piano politico e identitario, dalle correnti socialdemocratiche di sinistra del PSOE del dinamico Zapatero? E’ chiaro che, nel dubbio, l’elettore incerto preferirà l’originale (grande) alla fotocopia (sempre più piccola).

LE RAGIONI DELLA RIPRESA DEI COMUNISTI FRANCESI

Analoghe conferme del ragionamento che siamo venuti fin qui sviluppando le ritroviamo nelle elezioni regionali francesi di fine marzo. Dove, se non ci si accontenta di un approccio superficiale, non è esatto dire che all’origine del successo del PCF vi sarebbe “la linea politica vincente della segretaria Marie-George Buffet” (che dopo l’ultimo congresso gode del sostegno sia pur condizionato dei “rifondatori” francesi e di una maggioranza congressuale politicamente valutabile attorno al 55%).
Al primo turno delle regionali, il PCF era presente con liste autonome in 8 regioni su 22. In alcune di esse il PCF ha presentato liste non di partito, ma di “sinistra popolare e di cittadinanza”(di “sinistra alternativa”, diremmo noi) insieme a l l ’Associazione della Sinistra Repubblicana e ai Collettivi Alternativi di Cittadinanza. Ciò a partire dall’Ile de France, la regione di Parigi, dove il carattere non strettamente di partito della lista era compensato dal fatto che capolista era la segretaria nazionale del PCF, M-G. Buffet. In altre regioni, invece, contro il parere della segreteria nazionale, sono state presentate liste di partito, con un forte connotato identitario, operaio e di classe, i cui capilista erano leader più o meno critici nei confronti della segreteria nazionale, sostenuti dai settori neo-leninisti e di sinistra del partito (all’opposizione) e da settori “critici” interni alla stessa maggioranza congressuale.

Complessivamente nelle 8 regioni, il risultato del PCF è molto positivo: la media sfiora l’8%, il partito recupera la metà del proprio elettorato rispetto al dato nazionale fortemente negativo del 2002 (presidenziali =3,9% ; politiche = 4,8%). Se consideriamo però i risultati delle 8 regioni in modo differenziato, il successo del PCF non risulta omogeneo:
– il risultato delle “liste di alternativa” è positivo nella sola Ile de France (7,2%, contro il 5,9% delle politiche 2002, +1,3%). Nelle altre regioni dove erano presenti, queste liste hanno ottenuto risultati negativi (3,8% in Alsazia, 4,2% nella Franche-Comtè, 4% in Aquitania); -il risultato delle liste “identitarie” è invece assai più positivo, ovunque: 9,2% nell’Auvergne (+1,7% rispetto alle politiche del 2002); 10,7% nel Nord-Pas de Calais (+2,5%), dov’era candidato Alain Bocquet, presidente del gruppo comunista all’Assemblea Nazionale; 10,9% in Picardie (+4,4%), dove il capolista Maxime Gremetz, esponente di spicco dell’ ”opposizione” interna di sinistra, supera anche il risultato delle regionali 1998 (+1,3), quando la media nazionale del PCF viaggiava attorno al 10%. Un discorso a parte andrebbe fatto per la particolarissima situazione della Corsica (ma non mi addentro).
Quello che voglio evidenziare, è che i successi e gli incrementi maggiori si registrano nelle tre regioni dove sono state presentate liste “identitarie e di classe”, che in massima parte determinano l’incremento complessivo del PCF. Senza il contributo di queste tre regioni , infatti, la media complessiva del PCF nelle regioni dove sono state presentate liste di alternativa (Ile de France, Aquitania, Alsazia, Franche-Comtè) sarebbe stata pari al 4,8% del 2002, senza cioè alcun incremento complessivo rispetto al punto di massima crisi segnato in quell’anno.
E’ appena il caso di ricordare, a proposito del “partito europeo”, che il Pcf è sicuramente il più esitante tra i suoi promotori. Sostenuto con forza dai “rifondatori”, che per altri versi chiedono da tempo lo scioglimento del PCF e la formazione di un “polo radicale di sinistra”, il progetto in campo di “partito europeo” vede il sostegno esitante della segretaria, le forti perplessità e critiche del gruppo che fa capo all’ex segretario Robert Hue (che però esita su questo punto a rompere con la segretaria), e l’opposizione aperta di quel 45% del partito che al congresso si è pronunciato sui due documenti di “sinistra”, che si rifanno a posizioni neo-leniniste, antimperialiste e di classe. A fine aprile si svolgerà nel PCF una consultazione tra tutti gli iscritti sull’adesione o meno al “partito europeo”. Vedremo. Ma nel contesto di un breve commento sui risultati elettorali, va ricordato che il tema non è stato presente in alcun modo nel dibattito elettorale; e se esso lo sarà nella campagna elettorale in Francia per le elezioni europee, valuteremo la sua incidenza sulla base dei fatti e dei risultati.

IL VOTO ALLE LISTE TROTZKISTE

Quanto al voto trotzkista nelle regionali francesi, le due liste, Lutte Ouvrière (LO) e Lega Comunista Rivoluzionaria (LCR), si sono presentate unite in tutti i collegi sulla base di un accordo elettorale valido anche per le prossime elezioni europee di giugno. Insieme hanno ottenuto il 4,6% : risultato negativo se confrontato con l’exploit del primo turno delle elezioni presidenziali della primavera 2002, quando i due partiti ottennero rispettivamente il 5,7 e 4,2%; risultato di tenuta se si confronta il dato con le precedenti regionali del ’98, quando le due formazioni politiche si presentarono separatamente ed ottennero in totale il 4,3%; risultato di avanzamento rispetto alle politiche del giugno 2002, con LO all’1,2 ed LCR all’1,3%.
Un risultato complessivo che, ad ogni modo, conferma un discreto insediamento sul territorio, ma che risulta molto al di sotto delle aspettative dei promotori e dei sondaggi della vigilia (7-8%).
In conseguenza della nuova legge elettorale e della scelta isolazionista di rifiutare qualsiasi apparentamento al secondo turno (sostenuta soprattutto da LO, mentre la LCR ha dato indicazioni di votare i candidati della Gauche per impedire la vittoria dei candidati della destra), le due formazioni passano dai 24 Consiglieri regionali del 1998 (20 LO e 4 LCR) ad uno soltanto. E’ appena il caso di dire, anche in questa occasione, che il settarismo non paga.