Sulla crisi dei Democratici di Sinistra

Berlusconi e il centro-destra hanno purtroppo vinto le elezioni del 13 maggio. Non solo perché l’Ulivo non è stato capace di costruire nessun accordo tecnico con Rifondazione Comunista al Senato (sarebbe bastato, per esempio, evitare le liste civetta), ma anche e soprattutto perché la politica del governo di centro-sinistra ha rotto con i contenuti di sinistra (dalle privatizzazioni alla guerra contro la Yugoslavia) favorendo così nella società la ripresa della destra.

La causa principale di questa politica del centro-sinistra risiede nella crisi profonda del partito dei DS, il quale infatti non a caso subisce la sconfitta più pesante del 13 maggio. Questa sconfitta è stata un evento traumatico per migliaia di militanti e per centinaia di migliaia di elettori di sinistra, aggravato dalla rissa personale con pochi contenuti e analisi non contingenti, tranne alcune eccezioni, apertasi nel gruppo dirigente. Sui DS piombano al pettine tutti i nodi irrisolti della Bolognina. E dopo la Bolognina il problema principale per l’intera sinistra italiana, da cui derivano tutti gli altri, è l’assenza di identità.

Provincialismo e politicismo

L’assenza di identità è collegata a due grandi limiti che assillano da molti anni la sinistra italiana: il provincialismo che non le consente di guardare oltre il proprio naso a ciò che avviene fuori dall’Italia, e il politicismo, cioè l’allontanamento dei gruppi dirigenti dalla società e dalla classe sociale che dovrebbe essere il riferimento principale della sinistra, cioè la classe lavoratrice, pur nelle sue diverse articolazioni e nella sua nuova composizione.
Il provincialismo non consente di vedere, fra le altre cose, che la sinistra, fuori dall’Italia, in tutta Europa, è fondamentalmente basata ancora su due identità, strategicamente diverse: l’identità riformista e quella rivoluzionaria. L’identità riformista è quella che si costruisce attorno alle forze dell’internazionale socialista, allargatasi negli ultimi vent’anni a culture e posizioni liberaldemocratiche e persino liberiste. Poiché la socialdemocrazia europea, in larga parte, ha oggi assunto posizioni liberiste e favorevoli alla guerra in Kossovo, non è forse più socialdemocrazia ?
Significherebbe fra l’altro mitizzare la socialdemocrazia che anche in altri momenti storici ha partecipato ad operazioni antioperaie ed anticomuniste e persino a guerre coloniali. L’altra identità della sinistra è quella rivoluzionaria, la quale ruota intorno alle forze comuniste che sono presenti in quasi tutti i paesi europei. Negare questa realtà significa inseguire progetti senza nessun riferimento in Europa e privi di una qualche tradizione in Italia, come le ipotesi di un nuovo partito democratico con basi di massa o quelle di nuovi partiti di sinistra (o di sinistra di alternativa) con basi di massa. Difatti, non a caso, le voci a sostegno di questi progetti sono sempre più flebili e isolate. Altra cosa sono alleanze, aggregazioni, movimenti democratici, di sinistra o di sinistra antagonista, che sarebbe necessario e possibile costruire per mobilitare settori di società civile che non si riconoscono nei partiti.
Il secondo difetto della maggior parte della sinistra italiana è il politicismo, ben evidente nel dibattito del gruppo dirigente dei DS ma non solo. Una identità interna al socialismo europeo ma distante anni luce dai problemi, dai bisogni, dai sentimenti dei lavoratori, così come appaiono le posizioni di buona parte dei dirigenti della Quercia, è una identità astratta, elitaria, incapace di radicamento sociale di massa, del resto in continuità con la tradizione di un filone del riformismo socialista italiano. In tal senso le due correnti dei DS che appaiono combattersi su tutto, quella dalemiana e quella veltroniana, si ricompattano solo per sostenere le ragioni delle posizioni che hanno portato alla sconfitta. Significativa di questo atteggiamento è la posizione del principale candidato a prossimo segretario dei DS, Pietro Fassino, il quale afferma finalmente un concetto molto originale, una idea geniale che non abbiamo mai sentito in tutti questi anni: “Abbiamo bisogno – dice Fassino in una intervista all’Unità dell’8 giugno – di una sinistra che non abbia paura dell’innovazione… La sinistra, nei suoi comportamenti concreti, spesso sviluppa un’attitudine conservatrice. Mi batto per una Sinistra che non abbia paura. Che, ad esempio, non tema la globalizzazione… che non abbia paura della flessibilità”. Ma da quanti anni la parte più rilevante della sinistra ripete pedissequamente questi spot pubblicitari della borghesia? E infatti l’effetto che si è prodotto è che non è la sinistra che ha paura dell’innovazione, ma sono i lavoratori che hanno paura dell’innovazione della sinistra quando essa significa, come ha significato, cancellazione della scala mobile, controriforma delle pensioni, tagli alla spesa sociale, privatizzazioni, flessibilità della forza lavoro, centralità dell’impresa, competitività e profitto come nuovi valori, eccetera. “Un’operaia tessile nella provincia di Torino – ammette Fassino più avanti – guadagna 1.500.000 lire al mese; se c’è qualcun altro che lavora in famiglia, va bene. Se è sola, è un reddito con il quale in provincia di Torino è difficile vivere. Un operaio di IV livello, la categoria su cui sono addensati il maggior numero di lavoratori della Fiat, guadagna 1.750.000 lire … Ma guai se passando all’opposizione noi cavalcassimo questo tema in termini massimalistici. La Sinistra in Italia e in Europa negli ultimi 20 anni, proprio con le politiche di risanamento si è liberata di un vecchio limite culturale”. C’è poco da commentare. Queste posizioni del principale candidato a segretario della Quercia fanno capire a tutti con grande chiarezza le cause della sconfitta del centro-sinistra e sono l’emblema della grave crisi politica, sociale, identitaria, strategica in cui è precipitato il partito dei DS.

Innovatori e conservatori

A proposito dell’intervista di Fassino, per fare un dibattito serio nella sinistra bisognerebbe innanzitutto sgomberare il campo da un approccio metodologico che ha fatto tanti danni, quello di etichettare come “innovatrici” le posizioni più di destra e “conservatrici” quelle di sinistra. Potremmo andare molto più indietro nel tempo, anche nello stesso dibattito interno al PCI, ma partendo dagli anni ’80, Craxi che voleva tagliare la scala mobile era “l’innovatore” e Berlinguer che gli fece un referendum contro “un conservatore”; Occhetto che voleva sciogliere il PCI era l’innovatore e Ingrao e Cossutta i conservatori. I sostenitori del sistema maggioritario erano gli innovatori e i difensori del proporzionale i conservatori. I fautori della concertazione gli innovatori e quelli del conflitto sociale i conservatori. Emma Bonino e la Confindustria che sostengono il referendum per favorire i licenziamenti dei lavoratori sono gli innovatori e i sindacati sono i conservatori. Con questo approccio, persino la guerra della NATO è il nuovo che avanza di cui Fassino ci raccomanda di non aver paura, e “il vecchio limite culturale” è la pace, l’articolo 11 della Costituzione, l’ONU.
Con questo approccio, persino Berlusconi non è di destra, ma è innovatore perché vuole smantellare la sanità pubblica e la Costituzione. Basta, bisogna rifiutare questo modo di discutere, che evita di proposito il merito delle diverse posizioni allo scopo di far passare le posizioni più liquidatrici e reazionarie mascherate da innovatrici

Una nuova fase

La vittoria di Berlusconi apre una nuova fase. La situazione politica è completamente diversa da quella precedente. Ieri il centro-sinistra governava e Rifondazione Comuni-
sta gli faceva l’opposizione. Oggi le diverse sinistre sono tutte all’opposizione. Pertanto si pone la necessità di incalzare le sinistre più moderate all’unità d’azione nella opposizione al governo Berlusconi. Su tre terreni:
1) Sul principale terreno sociale. Innanzitutto per respingere il nuovo assalto della Confindustria contro le pensioni, la sanità, lo statuto dei lavoratori, i contratti. Come farà, per esempio, il partito dei DS a continuare a sostenere la “flessibilità” della forza lavoro, ora che sarà Berlusconi ad agitare e a praticare questo dogma neoliberista ? Come faranno i DS a proseguire con le aperture al privato nel sistema previdenziale, nell’assistenza sanitaria, nell’istruzione, ora che sarà il nuovo governo di centro-destra a proseguire in peggio questa politica? Ma non sarà sufficiente una azione di difesa dei diritti dei lavoratori e dello stato sociale. E` necessario accompagnare a questa giusta azione difensiva una iniziativa offensiva sulla grande questione del salario (per una nuova scala mobile) e della distribuzione della ricchezza. Come faranno i DS a sostenere la ripresa delle lotte sociali e sindacali contro la politica del governo e contemporaneamente a difendere ancora la concertazione che ha prodotto, con gli accordi di luglio ’92 e ’93, la caduta del potere d’acquisto, il radicale indebolimento del movimento dei lavoratori e il rafforzamento dei profitti e del potere delle grandi imprese ? E’ evidente che per preparare una controffensiva sociale è necessario prestare molta attenzione al congresso della CGIL, che è ancora la più grande organizzazione sociale di massa, per la costruzione di una sinistra sindacale di lotta, fuori e dentro la CGIL.
2) Rilanciare la battaglia per cambiare in senso proporzionalistico la legge elettorale, incalzando le contraddizioni esistenti sia nel centro-destra che nel centro-sinistra. Non è detto, come appare in questo momento ancora sull’onda della campagna elettorale, che la tendenza prevalente sia quella che va nel senso di rafforzare il bipolarismo e quindi il sistema maggioritario. Nel centro-destra, nonostante le apparenze, sono in crescita le tensioni fra le destre (An e Lega che sono uscite indebolite dalle elezioni) e il centro, che con Forza Italia è uscito molto rafforzato dalle elezioni e che è sostenuto e contemporaneamente condizionato dai poteri forti (Confindustria. Agnelli, il Vaticano, il governo americano). In modo simile, dall’altra parte, il successo della Margherita, per quanto dovuto all’effetto Rutelli, apre una nuova dialettica con l’area della sinistra moderata. Il rafforzamento e l’autonomizzazione crescente da una parte e dall’altra del centro politico, potrebbe portare a proseguire il processo di ricostruzione di un grande centro, in continuità con l’esperienza democristiana e nell’ambito del Partito Popolare europeo di cui fanno parte, lo ricordiamo, sia Forza Italia che il PPI. Questo processo è in contrasto con il sistema maggioritario e aprirebbe la strada ad un ritorno al proporzionale, magari riveduto e corretto sul modello tedesco.
3) Sulla politica estera, è necessario incalzare il centro-sinistra ad una politica contraria a quella bipartizan desiderata sia da Berlusconi che da Fassino (sempre nella già citata intervista). Anche su questo terreno è necessaria una forte opposizione ad una politica governativa, che si preannuncia ancora più servile agli ordini e agli interessi dell’imperialismo americano (dalla questione dello scudo spaziale al ruolo della NATO, alla vicenda dei parametri di Kioto, ecc.). Molto importante è a questo scopo la lotta contro la globalizzazione, a partire dall’appuntamento di Genova, per ricostruire una coscienza anticapitalista nelle nuove generazioni e un nuovo movimento antimperialista di massa nel nostro paese.

Oggi si può

Tuttavia è bene non illudersi e non illudere i lavoratori. Questi venti anni di sconfitte del movimento operaio e della sinistra dimostrano che in tutti i paesi europei, e in particolare in Italia, la condizione necessaria per l’esistenza di una sinistra degna di questo nome e di un movimento dei lavoratori in grado di contrastare la forza del capitalismo risiede nell’esistenza di un partito comunista, forte, organizzato e radicato nella società com’era il PCI prima dello snaturamento della sua identità comunista e di classe avviato nella seconda metà degli anni ’70. Ogni sforzo di quanti vogliano costruire un argine (e poi una alternativa) al dilagare della cultura e della pratica capitalistica, anche di quanti non si sentono comunisti, deve pertanto essere indirizzato a contribuire o almeno a non ostacolare questo processo di ricostruzione.
Ogni sforzo distolto da questo obbiettivo è, anche in perfetta buona fede, un modo per distogliere l’attenzione dal problema principale che dobbiamo risolvere, e dunque un modo, in fin dei conti, per non costruire nessun argine alla vandea liberista.
Questo obbiettivo non è velleitario, ma anzi diventa sempre più probabile. Va nella direzione di ciò che succede nel resto d’Europa; è in sintonia con la storia del nostro paese; raccoglie una esigenza di coerente lotta contro le disuguaglianze e le ingiustizie sociali che diventano sempre più larghe e profonde; riempie il vuoto politico e sociale, soprattutto fra masse di lavoratori, creato dalla sconfitta e dalla crisi dei DS. Per questo motivo oggi più che mai sarebbe possibile e necessario aprire una offensiva incalzante sulla crisi dei DS, su tutti i comunisti dentro e fuori dei DS, affinché il ciclo fallimentare della svolta occhettiana della Bolognina possa chiudersi con la ricostruzione di un partito comunista forte e con vasti consensi elettorali, ben oltre quelli pure importanti, vitali, che ha ottenuto Rifondazione Comunista. E’ da anni che ce n’è un immenso bisogno, ma oggi si può.