L’Electrolux Zanussi è arrivata all’attenzione della politica nazionale ed internazionale, con l’ultimo contratto integrativo di gruppo. Il gruppo Electrolux Zanussi Italia (13.000 dipendenti) è parte della multinazionale Electrolux, che conta circa 150.000 dipendenti in tutto il mondo. Il Gruppo Zanussi è presente in prevalenza a Nord-Est: Veneto e Friuli. Altri stabilimenti sono presenti in Lombardia, Emilia Romagna, e Toscana. Si producono elettrodomestici da casa e grandi impianti per collettività. Ci sono alcuni stabilimenti di componentistica. Questo gruppo è stato usato dal sindacato come luogo di sperimentazione contrattuale. Il modello sperimentato è stato quello della partecipazione istituzionale. L’evoluzione del modello è stata decennale, si è concretizzato nel 1997 in un “testo unico della partecipazione”. Questo modello di relazioni tra sindacato ed impresa è stato improntato ad una crescente centralizzazione dei rapporti a livello nazionale, ed uno svuotamento progressivo del ruolo delle Rsu. La contrattazione di fabbrica è stata cancellata, sostituita con una serie di commissioni paritetiche (composte da sindacato ed impresa) sia a livello di stabilimento sia a livello nazionale. Ogni commissioni ha compiti specifici (ambiente, pari opportunità, qualifiche, emigrazione…) ed è libera di decidere, con delibera, sui vari capitolo. Queste commissioni non rispondono alle Rsu elette dai lavoratori, e nel caso la Rsu ritenga la delibera di una commissione sbagliata può ricorrere ad una commissione nazionale di garanzia, formata da tre sindacalisti nazionali e il gruppo dirigente dell’Electrolux Italia. Le decisioni di questa commissione sono vincolanti per tutti. Lo sciopero è vietato, lo si può attuare solo dopo una trafila di convocazioni di diversi livelli di commissioni, che termina con l’intervento della commissione di garanzia. Gli scioperi indetti fuori dal sistema vengono puntualmente sanzionati dalla Commissioni di garanzia con decurtazione del monte ore per l’agibilità sindacale. Questa premessa di sistema è propedeutica per capire cosa sta accadendo nel gruppo Zanussi e perché il veto dei lavoratori, sul contratto aziendale di gruppo (70% di No al referendum sul “Job on call”), sia stato il contrario di quello della Rsu, che lo aveva approvato con il 70% di Sì. Da alcuni anni la capacità di incidere sulla tutela delle condizioni di lavoro, in particolare dei ritmi e della salute, sono andate perdendosi. I delegati delle Rsu svuotati del loro ruolo, attribuito ora alle commissioni, si sono in gran parte deresponsabilizzati. Le commissioni si sono spesso impantanate in elementi procedurali, ben orchestrate in questo dai componenti aziendali (in genere laureati in legge), aiutati da componenti sindacali che denotano spesso impreparazione (salvo alcuni casi) o limiti di interesse, quando non collusi con l’impresa. Questa situazione è generalizzata a gran parte dei soggetti attori di questo sistema. Quindi un primo fattore unificante del gruppo lo si può ricercare nella inefficacia del ruolo della rappresentanza di fabbrica (delegati), acuitasi con l’entrata in vigore del testo unico della partecipazione. I vincoli all’azione sindacale di fabbrica, introdotti dal sistema di relazioni Zanussi, sono la causa principale, voluta, che ha finito con il rendere asfittioa la rappresentanza. Questo malessere crescente per la condizione operaia ha finito per colpire anche fasce crescenti di lavoratori professionalizzati e di area impiegatizia, costituendo la base per dei risultati usciti nel referendum.
Un segnale chiaro in questo senso è emerso con il questionario sulle priorità da inserire in piattaforma, distribuito tra tutti i lavoratori della Zanussi di Susegana, dal circolo di fabbrica di Rifondazione comunista, dove emergevano chiare le priorità che i lavoratori ponevano per il contratto integrativo. Dal malcontento per la condizione, alla paura per un ulteriore peggioramento della situazione, alla contrarietà per le crescenti discriminazioni, prima tra tutte quella salariale introdotte con i salari d’ingresso nel 1998. I lavoratori nuovi assunti percepiscono 600.000 lire al mese in meno dei loro compagni di lavoro, per un periodi di 24 mesi, a parità di mansioni e prestazioni. Con una paga di 1.300.000 al mese si è creato il paradosso di non riuscire con il proprio lavoro, spesso a tre turni, a vivere. In media l’affitto di un mini appartamento, per chi lo trova, costa più di 700.000 al mese, se poi sei uno straniero, o arrivi da fuori, il prezzo come l’incanto aumenta. Il risultato è che praticamente tutti i lavoratori assunti con questi salari sono costretti ad arrotondare con secondi e terzi lavori per vivere. I lavoratori chiaramente “a nero”: bar, pizzerie, ristoranti, pulizie… tutti posti dove si possono trovare lavoratori e lavoratrici Zanussi impegnati a “sbarcare il lunario”. In questo quadro si è inserito l’ultima piattaforma Zanussi. Piattaforma partita male perché decisa, preparata, e scritta senza una discussione critica con i lavoratori, calata dall’alto, spiegata e fatta votare in un’ora. Risultato è andato a votare il 40% circa dei lavoratori.
Questa debolezza è stata subito colta dall’azienda, che con l’appoggio tacito prima, esplicito poi di Fim e Uilm, ha presentato una propria piattaforma. Proposta che è diventata la base sulla quale a lungo il sindacato ha trattato. Ad opporsi sin dall’inizio all’ipotesi aziendale è stato una parte della Fiom-Cgil: Alternativa Sindacale, attraverso una serie di documenti di spiegazione e critica puntuali ed efficaci.
La piattaforma aziendale sin dall’inizio, aprile 2000, prevedeva:
1. l’introduzione del lavoro a chiamata: “iob on call”, che è un’assunzione a tempo indeterminato, composta da un periodo di lavoro predefinito e continuativo di 300 ore anno, mentre per il rimanente periodo dell’anno il lavoratore è in aspettativa non retribuita, in attesa di essere chiamato la lavoro, con l’obbligo se chiamato di presentarsi al lavoro entro 72 ore; l’eventuale mancata presentazione al lavoro in caso di chiamata dev’essere giustificata, pena il licenziamento;
2. l’aumento del 15% della prestazione del lavoro, un puro aumento dei ritmi di lavoro;
3. la reperibilità 24 ore al giorno per rientrare il tutto per un aumento di 1.200.000 lire lorde in tre anni, legate agli obiettivi di efficienza, produttività, qualità e disponibilità a rispondere tempestivamente ai bisogni del mercato (la piattaforma sindacale chiedeva 2.000.000). Nessuna modifica di rilievo ai salari d’ingresso che era uno dei cavalli di battaglia della piattaforma sindacale.
Su questi elementi c’è stata una lunga trattativa che non ha modificato la proposta presentata dall’azienda. Stante la rigidità dell’azienda rispetto alla sua piattaforma e l’arroganza di Fim e Uilm, la larga maggioranza della Fiom si è opposta all’accordo, posizione sancita anche da un documento del Comitato centrale della Fiom, votato all’unanimità. La rottura si è fatta subito sentire nelle fabbriche e si è aperto uno scontro, da una parte la Fiom, con alcuni dissensi interni “l’ala riformista”, composta da tre segretari provinciali Barbierato Tv, Comi Fo e Palli Fi e una ventina di delegati Rsu Fiom; dall’altra Fim e Uilm e la maggioranza della Rsu del gruppo Zanussi (circa il 65%) tutti d’accordo con le proposte dell’impresa. SI è arrivati così alla firma separata dell’accordo. Flm e Uilm hanno firmato, dopo il mandato votato dalle Rsu. Il referendum tenutosi il 19 luglio ha rovesciato i pronostici con un 70% dei lavoratori che ha votato No. È stata una vera rivolta di classe, una lezione di democrazia, che non va tradita nei risultati da conseguire. Il sindacato deve costruire un accordo degno di questo nome, senza la paura di ricorrere ad azioni di lotta, sino ad ora inspiegabilmente evitate. I lavoratori della Zanussi, come tutti i lavoratori non ne possono più di vedere una contrattazione che per una manciata di commissioni paritetiche, un salario virtuale legato a mille vincoli, si introducono precarietà, flessibilità e aumenti dei carichi di lavoro.
Serve una svolta nella contrattazione dove al centro c’è l’operaio, la sua condizione di lavoro e salariale. Un lavoratore con il proprio lavoro deve poter far fronte ad una vita dignitosa, senza essere costretto a fare due o tre lavori. Costretto suo malgrado ad essere un evasore per sopravvivere.
Urge un cambiamento di linea nel sindacato confederale, nella Cgil e nella politica del nostro paese. Il prossimo congresso della Cgil potrebbe essere un’occasione per incidere sulla costruzione di questo cambiamento. Tutti i compagni comunisti devono sentirsi impegnati perché avvenga ed abbia il massimo successo possibile. È utile anche alla sinistra alternativa, al nostro partito, alla politica la presenza di un documento d’opposizione interna, che chieda una svolta, al sindacato confederale e alla Cgil, sull’attuale linea antisociale, filo capitalista e liberista sostenuta e praticata sulla pelle degli operai e dei lavoratori.