Sotto quel pino Marceau sembrava rievocare Platone e i suoi discepoli.
Eravamo a Montepulciano nel luglio 1982, per la prima volta in Italia un lungo stage (un mese) con il Maestro ed ogni pomeriggio, dopo le lezioni, ci si radunava all’ombra, tutti attorno a Marcel Marceau che ci parlava dell’Arte del Silenzio, rispondeva volentieri a ogni domanda e c’incantava con il racconto dei suoi incontri con i grandi del teatro contemporaneo.
Dopo qualche giorno venne a seguire lo stage come allievo anche Lyndsay Kemp, che già era famoso e aveva sconvolto l’Italia ancora bacchettona con il suo Flowers, splendido spettacolo dall’alta vena erotica. Da Marceau aveva appreso a muovere mani e dita in modo leggero, lui che soffriva della natura delle sue mani fisicamente grossolane.
Marcel Marceau nato nel ’22 a Strasburgo ed allevato a Lille, ebbe il padre deportato nel 1944: questo segnò la sua vita e la sua arte. Non pensava affatto al mimo Marcel, voleva fare l’attore: l’incontro con Etienne Decroux – suo maestro dal 44 al 48 – fu decisivo: all’arte del mimo avrebbe consacrato la sua vita.
Tra le due guerre e dopo, in tutta l’Europa sconvolta dalla distruzione ferve l’esigenza di salvare quanto possibile per le future generazioni: nel teatro questo avviene con Copeau in Francia, Stanislawski in Russia, Max Reinhardt in Austria, Piscator e Brecht in Germania, Strehler in Italia.
Che non si perdesse la memoria di quest’arte ritrovata e perfezionata sarà il leitmotiv del Maestro.
Sì, libri foto e filmati ne possono tramandare la memoria, ma ci vogliono attori vivi e pulsanti a fare il Teatro, a comunicarne l’emozione.
La sua prima pantomima L’assassino impressionò Decroux, lui pacifista ad oltranza in una sorta d’atto terapeutico sublimava e vendicava la morte del padre in un lager.
Marceau si emancipò dal suo maestro inventore della statuaria mobile, genio dello studio del movimento e reinterpretò l’antica arte della pantomima utilizzando oltre al corpo anche le espressioni del viso, ma in modo rigoroso e codificato. Decroux disconobbe il suo talentuoso allievo e i due non si videro più, con gran dolore di Marceau che comunque, per tramandare l’arte del suo maestro volle alla sua scuola il figlio Maximilien che tutt’ora vi insegna.
Per 14 anni girò il mondo con la sua compagnia cui versava anche i suoi guadagni da solista.
Nel 1969 ebbe la sua prima scuola di mimodramma a Parigi e finalmente dal 1979 l’Ecole Internationale de Mimodrame Marcel Marceau in rue st. Martin, sovvenzionata dallo stato.
Non più giovane si lega ad Anne Sicco da cui ha una figlia: Aurelia.
Fino all’ultimo, finchè il suo corpo ha retto, ha girato il mondo in tournèe come solista.
Osannato all’estero più che in patria (non succede solo in Italia!) ebbe anche l’Oscar televisivo negli Stati Uniti.
Dagli appunti:
“Con l’arte del gesto dobbiamo far esplodere gli atteggiamenti interiori di ogni azione, renderli fisici e riproporli nella loro essenza coinvolgendo il nostro spirito e il nostro cuore. La nostra società – automazione e informatica- ha difficoltà ad esprimersi gestualmente.
L’Arte del Mimo deve far risaltare gli atteggiamenti interiori, renderli fisici, coinvolgendo la nostra anima, la nostra memoria e la nostra emozione.
Se il mondo si disumanizza il grido del mimo chiede il ritorno alla fonte delle emozioni.
Il grido dell’uomo rivela la sua angoscia di fronte ai limiti dell’esistenza.
Per allontanare quest’angoscia, solo il sogno resta il più potente alleato di noi stessi.
Il grido del mimo si esprime con il silenzio
E la musica non è che la sua eco.”
Se ne va in silenzio il Maestro di quest’arte, per me anche maestro di vita, ricordato dai media tra l’enfasi del tormentone di un delitto estivo e l’ennesima strage che incrudelisce le nostre emozioni sempre più sopite.
Gherardo Dino Ruggiero tiene stage in Italia e all’estero, insegna Mimo e Studio del Movimento all’Upter di Roma.
Info: [email protected]