Siracusa, 3 Aprile – Intervento di Andrea Catone

Cari compagni
Non riesco ad essere con voi come mi ero impegnato a fare, perché non posso mancare ad una riunione importante e delicata del Comitato politico regionale in Puglia, dove più consistente è stata la scissione capeggiata dal “governatore” della Regione Niki Vendola.

Pensando a un seminario di formazione di base per giovani compagni – attività che è fondamentale nella costruzione di un partito comunista degno di tale nome e adeguato alle sfide del XXI secolo – avevo preparato uno schema generale, una cronologia essenziale della Resistenza, attraverso cui fare il punto sui problemi essenziali della lotta popolare di Liberazione. Metodologicamente, credo che avere a disposizione una cronologia (controllata e rielaborata sulla base delle tante esistenti) sia cosa comunque utile e a tal fine ve la consegno.

Ho impiegato qui, nella proposizione precedente due espressioni, tra loro certamente collegate, ma non completamente sovrapponibili: Resistenza e lotta popolare di Liberazione.
La Resistenza è concetto è più ampio, non si limita alla lotta partigiana, comincia con l’affermazione del fascismo, è l’opposizione ad esso, costretta ben presto nella clandestinità con il varo delle Leggi speciali e l’attività del Tribunale speciale e dell’OVRA (la polizia segreta istituita ad hoc dal regime per sorvegliare e reprimere gli antifascisti). Il partito comunista, con i suoi dirigenti più importanti in galera (a partire da Gramsci) o rifugiati all’estero, seppe, a costo di enormi sacrifici e apprendendo da alcuni errori, mantenere una struttura organizzata in grado di tenere i legami con la classe operaia e fare agitazione e propaganda anche attraverso il lavoro sotterraneo nelle organizzazioni di massa del fascismo. Grazie a questa struttura, fu non l’unico, ma certo il motore essenziale e il perno della Resistenza al fascismo, sapendo collaborare con altre forze operaie, quali i socialisti, e democratico-borghesi, quali gli esponenti del “liberal-socialismo” che costituiranno il partito d’azione.

Quando i disastri della guerra imperialista scatenata dai nazifascisti erodono le basi di consenso che il regime fascista aveva costruito negli anni Trenta e mettono in crisi il regime mussoliniano, i comunisti emergono come la forza principale della resistenza. Gli scioperi del marzo 1943 nelle grandi fabbriche del Nord Italia danno un segnale forte, che, accompagnato con la disfatta militare (lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia nel giugno 1943), spinge la monarchia, che aveva favorito l’ascesa del fascismo in funzione anticomunista, e una parte di gerarchi fascisti a destituire e far arrestare Mussolini nella speranza di salvare trono e potere. È il 25 luglio 1943. Si forma il governo del generale Badoglio, uomo di punta delle guerre imperialiste del regime, che non proclama la fine della guerra contro gli anglo-americani, spara e lascia sparare sui manifestanti antifascisti (come il 28 luglio a Bari), lascia tutto il tempo alle armate tedesche di rafforzare le loro postazioni in Italia. Solo 40 giorni dopo, l’8 settembre, sarà data notizia dell’armistizio, lasciando i comandi militari allo sbando.
Quasi contemporaneamente, il 12.9.1943, i paracadutisti tedeschi comandati da Otto Skorzeny liberano Mussolini dalla prigione del Gran Sasso e lo trasportano in aereo a Monaco di Baviera, per riportarlo in Italia, sul lago di Garda, dove a fine settembre il duce costituisce la Repubblica di Salò, la Repubblica sociale italiana, rispolverando molti temi del programma “antiplutocratico” e anticapitalista del 1919, e chiamando alla leva le giovani generazioni in nome della “difesa della patria” tradita dal re, per combattere a fianco (ma in realtà agli ordini e al servizio) dei nazisti.

La resistenza armata contro le truppe naziste comincia all’indomani dell’8 settembre. Vede la confluenza di giovani militari che decidono di non consegnare le armi e difendere contro i tedeschi la propria terra, di giovani renitenti alla leva ordinata dalla repubblica fascista di Salò, di operai e di intellettuali che comprendono che è giunta l’ora di agire e combattere. Particolarmente significativo il ruolo svolto dal comunista, e raffinato latinista, Concetto Marchesi, che invita gli studenti in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Padova a partecipare attivamente alla lotta partigiana per dar vita ad una nuova Italia, non più dominata dalla borghesia che aveva portato al fascismo e alla guerra [cfr. doc. 1]. La lettera scritta dal ventiquattrenne Giaime Pintor qualche giorno prima di essere fucilato dai tedeschi è una lucida testimonianza di questa nuova consapevolezza. La resistenza ebbe un’altissima carica morale. Contro ogni revisionismo storico, bisogna ricordare l’altissima moralità della resistenza, senza la quale non sarebbe stato possibile affrontare un nemico agguerrito e feroce.

La resistenza non fu mai soltanto lotta militare. Le formazioni partigiane – tra cui le più organizzate e numerose, erano le brigate Garibaldi, dirette dai comunisti – avevano il commissario politico, discutevano della “città futura”, delle prospettive politiche. La lotta armata delle formazioni partigiane fu sostenuta dagli scioperi crescenti nelle fabbriche, nelle ferrovie, nei trasporti; fu sostenuta dalla popolazione, che subì la rappresaglia feroce di tedeschi e repubblichini (così per disprezzo venivano definiti i seguaci della repubblica fascista), come a Sant’Anna di Stazzema (Lucca), a Marzabotto, alle Fosse Ardeatine…

Vi furono anche brevi esperienze di repubbliche partigiane in alcune zone liberate, a Montefiorino, in Val d’Ossola, in Carnia. Si sperimentano forme di autogoverno e di solidarietà sociale. Ma nessuna delle zone liberate poteva essere tenuta permanentemente, dato il rapporto di forza militare sfavorevole ai partigiani, che imparano a loro spese che l’unica forma di guerra a loro favorevole è quella di movimento e non quella di posizione.

Una delle questioni più dibattute concerne il carattere della lotta di liberazione, la possibilità di imprimere ad essa un’accelerazione verso la rivoluzione sociale, come avviene nei vicini Balcani, dove l’esercito partigiano comandato dal maresciallo Tito si pone l’obiettivo di realizzare, insieme con la liberazione nazionale, anche la rivoluzione sociale (con l’esproprio dei capitalisti e la nazionalizzazione dei mezzi di produzione).
Un filone di “sinistra” imputa a Togliatti, tornato in Italia dopo due decenni di esilio, per propugnare la partecipazione al governo Badoglio in nome dell’unità antifascista e dell’interesse prioritario di sconfiggere il nazifascismo (“svolta di Salerno”, aprile 1944), la responsabilità del mancato sviluppo della lotta di liberazione nazionale (resistenza come guerra patriottica, con l’unità delle forze antifasciste, social-comuniste e borghesi) in rivoluzione proletaria.
Nella vicina penisola balcanica gli jugoslavi vi riuscirono, i partigiani comunisti greci furono invece massacrati dalle forze reazionarie interne e dall’esercito degli imperialisti anglosassoni.
L’Italia era considerata una pedina importante nel Mediterraneo e l’imperialismo inglese non era assolutamente disposto a cederla ai comunisti. Vi furono molteplici tentativi inglesi di fermare la resistenza armata (il proclama del generale Alexander nell’autunno 1944) , o di sottrarla all’egemonia comunista (la nomina del generale Cadorna alla guida del CVL, Corpo volontari della libertà, nel giugno del 1944), facendo leva su forze liberal-borghesi del partito d’azione, che hanno rappresentato a lungo gli interessi anglosassoni in Italia, anche dopo lo scioglimento di quel partito. Gli inglesi puntano a sconfiggere il fascismo, ma al contempo ad evitare che la resistenza si sviluppi come moto di popolo. Se applicassimo la categoria di Gramsci, si potrebbe dire che puntano alla resistenza antifascista come rivoluzione passiva, come fu il Risorgimento ad egemonia moderata: il popolo deve essere subalterno, alla borghesia fascista va sostituita una borghesia antifascista, ma senza spazi perché si intacchino i rapporti di proprietà.

I comunisti seppero sconfiggere l’attendismo (la tendenza ad attendere, ad aspettare che la liberazione dal nazifascismo venisse tutta per l’avanzata dell’esercito anglo-americano) e la passività, sapendo egemonizzare il CLN e costruire alleanze. Contro ogni attendismo, cfr. la direttiva per l’insurrezione generale (doc. 4).
Aprirono così lo spazio alla Repubblica, alla Costituente e alla strategia togliattiana della “democrazia progressiva” per l’attuazione integrale della Costituzione del 1948, che dominò per un trentennio la scena politica italiana.
Sulle ragioni dell’abbandono di quella strategia alla fine degli anni 1970 varrebbe forse la pena riaprire una discussione.