Sinistra: l’esigenza dell’unità

Nell’aula prima della Facoltà in cui insegno campeggia una serie di scritte idiote. La più risibile delle quali recita così: “Fuori i nazisti Ds dall’Università”. Intorno si affollano motti inneggianti all’indipendenza del Paese Basco dalla Spagna, e altro ancora. Si potrebbe facilmente ironizzare sul fatto che l’indipendentismo piace quando è basco, non quando è quello di Bossi. Ma sarebbe facile ironia, soprattutto con persone che non hanno la più pallida idea del problema basco, che ignorano le diversissime posizioni compresenti tra i Baschi, ai quali ormai l’indipendentismo bombardiero fa solo ribrezzo in quanto segno di totale immaturità politica. Ma veniamo al gioiello di questa collezione di graffiti parietali. È evidente che solo un cretino può definire “nazisti” i militanti Ds ovvero il loro partito nel suo insieme. Non mette neanche conto discutere una veduta simile, quale che sia il giudizio sulla efficacia, o scarsa efficacia, della politica condotta da quel partito. È possibile tentare di instaurare una qualche forma di “unità” con i gruppi cosiddetti “autonomi” che concepiscono siffatti pseudo-pensieri politici? Evidentemente no. Purtroppo non è neanche possibile tentare una rieducazione politica di siffatti insipenti: un grande come il compagno Stalin avrebbe saputo farlo, ma in una diversa situazione storica, e disponendo di mezzi che oggi non abbiamo.

Il segretario di Rifondazione comunista è invece persona di molte letture e di cultura varia. Con lui la discussione politica (e non solo) può essere un vero piacere. Un punto debole della sua pratica politica è però il gusto del paradosso. Ricordo una sua celebre formulazione, di alcuni anni addietro: “Quando arrivo in un aeroporto, e lo trovo bloccato da uno sciopero, sono preso dall’entusiasmo per la lotta in corso”. (La citazione non è purtroppo ad litteram, ma il concetto è esattamente questo). Oggi sappiamo molto sulla deriva corporativa del sindacalismo, soprattutto “autonomo” e soprattutto dei “servizi pubblici” (i quali rivestono la massima utilità sociale e coinvolgono l’esistenza di migliaia e migliaia di lavoratori). Probabilmente oggi Bertinotti non direbbe più una siffatta boutade: siamo tutti consapevoli della necessità di distinguere e capire prima di trinciare. Peraltro il sindacalismo meramente corporativo è sempre stato considerato, com’è noto, dai comunisti (sin dal tempo di Stalin) come una forma aberrante e impolitica di lotta di classe: è un classico strumento per dividere i lavoratori e metterli gli uni contro gli altri, votandoli alla sconfitta. Ho fatto questi due esempi, così diversi tra loro, ma entrambi interessanti, perché il problema dell’unità a sinistra, in tanto può essere posto in quanto ciascuno dei soggetti interessati alla meritoria iniziativa sappia relativizzare le proprie immediate pulsioni istintuali e ragionare con lucidità e consapevolezza scientifica. Da sempre i comunisti hanno l’abitudine di studiare a fondo la società in cui si propongono di operare; rifuggono dal fare politica a base di slogan più o meno dannunziani o ad effetto, come era usuale nel rumoroso gruppo sociale degli studenti universitari nel 1968. (Erano, certo, borghesi, e talvolta alto-borghesi: e si può capire che avessero una formazione lontana dal comunismo, ma, piuttosto, estetizzante e iper-volontaristica).

L’unità delle forze di sinistra è una necessità urgente. Chi non capisce questo – avrebbe detto Lenin – non capisce niente. Tutti gli atteggiamenti settari dividono la sinistra e la condannano alla sconfitta. Come porre rimedio all’evidente disagio in cui versa la sinistra italiana, caratterizzata attualmente dal massimo di divisione e dalla quasi nessuna unità? Non ci sono ricette immediate. Un suggerimento potrebbe essere quello di invitare a ritirarsi dalla politica attiva tutti coloro che, al vertice delle varie formazioni della sinistra, possono ritenersi comunque compartecipi, se non corresponsabili, dell’attuale stato di pre-agonia della sinistra italiana. Occorrono forze umane nuove, ed occorre un programma minimo (minimo) comune che possa ottenere le più larghe adesioni. La sinistra italiana ha poco tempo davanti prima di essere scaraventata all’opposizione sterile per un’intera fase storica. Se i dirigenti delle sue varie formazioni e “anime” non sapranno affrontare con urgenza il problema dell’unità, significherà che erano gente indegna di pretendere la guida non dico del paese ma di quel poco o tanto di classe lavoratrice alla cui testa sono stati posti dalle varie burocrazie di partito.